c DETERSIVI A GO GO - 25/03/2009 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 25/03/2009]
[Categorie: Varie ]
[Fonte: Aam Terranuova - Aprile 2009]
[Autore: Gabriele Bindi - Elisa Nicoli]
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DETERSIVI A GO GO
Si diffondono in tutta Italia i detersivi alla spina, ma non sempre rappresentano la scelta più ecologica. Vi spieghiamo perché.

Andrea faceva un lavoro particolare. Andava in giro sotto i portici di Bologna a spiegare come si fa la raccolta differenziata. Come tutor ambientale gli capitava di sentire spesso la stessa domanda intelligente: ma non sarebbe meglio ridurre i rifiuti alla fonte? Una domanda a cui Andrea ha risposto in prima persona, con l'apertura si Sampo, un piccolo negozio nel centro città che si occupa esclusivamente di detersivi sfusi alla spina. E, come un personaggio delle favole, si è messo a spillar saponi. "Nell'area del centro storico non si trovavano molte campane per la plastica. I cittadini erano sempre costretti a portare i rifiuti fuori, oltre i viali. Una pratica scomoda, a cui non tutti si mostravano ben disposti". Oggi lui gli risparmia la fatica. Il suo criterio, oltre a quello di ridurre il consumo di plastica, è stato quello di selezionare detergenti molto concentrati. "Con un tappino da 30 ml riesci a fare 5 kg di carico". Ci assicura "45 ml per i bucati particolarmente sporchi, perché il pre-lavaggio oggi non lo fa più nessuno!". La filiera corta è un'altra delle sue prerogative: si rifornisce presso un'azienda di Sant'Agata Bolognese, e con i fusti da 50 litri va a fare la ricarica.

Il Piemonte al primo posto
Se quella di Andrea è un'esperienza che parte dal basso, la grande distribuzione, spinta da qualche amministrazione più virtuosa, non è rimasta al palo. In Piemonte, grazie all'associazione Ecologos che ha coordinato il progetto su incarico della Regione, si contano già 45 distributori di detersivo self-service nella grande distribuzione organizzata. Con i calcolatori elettronici installati su ogni distributore è possibile conoscere in tempo reale il numero di flaconi ricaricati. Il risparmio complessivo, secondo le stime delle autorità regionali, è nell'ordine di 280 mila flaconi che equivalgono a 725 mila Kwh di energia e 70 milioni di litri d'acqua non utilizzata, con oltre 46 tonnellate di CO2 risparmiate all'atmosfera.
Altre iniziative analoghe, che utilizzano i saponi Pizzolotto o Solbat, si trovano in Umbria e Lazio. Nel frattempo anche le Coop non sono rimaste a guardare, con un progetto di diffusione che da Reggio Emilia si sta espandendo in altre aree geografiche.
Ma la notizia eclatante è un'altra. Quest'anno i detersivi sfusi hanno fatto il loro ingresso nella casa del Grande Fratello. Come dire, ormai li conoscono tutti. Anche i cani e i porci.

Le rose e la spina
Produrre meno rifiuti è semplice: basta non comprarli. Così recita lo slogan di Saponando, azienda leader che opera in franchising soprattutto nel Meridione. Per produrre un flacone di circa 60 gr si richiede infatti 1.5 kWh di energia con le relative emissioni di gas serra. I consumi d'acqua, sono addirittura di 250 litri! La Solbat "nominata" dal Grande Fratello, traduce le unità di misura in qualcosa di più concreto. Fare a meno di un flacone significa eliminare il consumo di 25 lampadine da 100 W accese per un'ora e 2 vasche da bagno piene di acqua. Dunque, se son rose fioriranno, ma le rose hanno anche le spine. E la spina nel fianco la mette uno studio sul Life Cycle Assestment commissionato nel 2008 da Assocasa-Federchimica. Il responso definitivo dello studio è piuttosto imbarazzante: se il liquido non confezionato percorre più di 500 km per arrivare al punto di distribuzione non si arriva mai ad un beneficio ambientale rispetto al riciclo della plastica, anche nel caso in cui si volesse utilizzare lo stesso flacone per 100 volte. In casi più favorevoli, con distanze inferiori, si dovrà riutilizzare il flacone almeno 5 volte per rendere effettivamente sostenibile il riutilizzo rispetto alla possibilità di riciclare la plastica.
Il meccanismo ce lo spiega Fabrizio Zago, chimico industriale e consulente ecolabel, autore del celebre sito biodizionario.it e considerato il massimo esperto di ecodetersivi in Italia: "Mettiamo che il prodotto venga trasportato in fusti da 100 o da 1000 kg nel punto vendita, dove si mesce il detersivo. Nella logistica si deve prevedere anche un viaggio di ritorno con il fusto vuoto. Ho quindi un doppio trasporto. In più bisogna sommare un trasporto supplementare per i flaconi e per i tappi. Insomma, invece di un trasporto di un prodotto ne faccio 3. Se utilizzo un flacone da 1 litro e ho tutte le condizioni favorevoli, meno di 500 km alla mescita ed un riciclo mediamente sviluppato delle materie plastiche, si arriva ad avere almeno 5 ricicli per avere un beneficio energetico. In compenso al Italia meridionale dove la raccolta differenziata è molto ridotta, il beneficio potremmo averlo prima."

I limiti della spina
Il problema è stato affrontato con trasparenza anche dalla coop, che nel proprio notiziario per i soci di inizio anno, ha ammesso che si devono superare come minimo 1 4-6 utilizzi per ottenere dai detersivi alla spina un minimo di vantaggi ambientali, insieme ad un risparmio economico.
Sappiamo che nei supermercati si trovano erogatori con serbatoi da 1000 litri. Ma il deficit ambientale dei detersivi sfusi vale anche per i contenitori di piccola taglia? Ce ne parla Luca Urbinati di officina Naturae, realtà economica nata all'interno del Gas di Rimini. "Per la signora Maria la tanica è un rifiuto domestico, ma nel momento in cui ce lo spedisce indietro, per legge diventa rifiuto speciale. Noi dovremmo avere un registro di carico e scarico, metterlo in un luogo di raccolta di eventuali liquami. Inoltre, prima di essere riutilizzate le taniche vanno lavate ed asciugate. Un processo dagli alti costi di manodopera e con grande consumo di acqua, sanitizzanti, tappi, etichette ed energia elettrica! Infine anche le acque di lavaggio vanno smaltite come rifiuto speciale. Risultato: l'impronta ecologica dell'intero processo è notevole e il costo economico è molto più elevato di quello relativo al singolo flacone vuoto!".
In effetti, di solito è molto difficile risalire alle procedure utilizzate per il lavaggio delle taniche. Maria Antonietta, di Mondo solidale, produttore in Italia della linea Lympha, gioca però a carte scoperte: "Da noi i contenitori vengono capovolti ed inseriti su di un ugello che spara acqua nebulizzata. Questo sistema consente di ridurre al minimo la quantità di acqua necessaria. La fase di lavaggio è composta da tre cicli: nel primo viene utilizzata solamente acqua, nel secondo acqua additivata di detergente alcalino in quantità di 1 grammo al litro, nell'ultimo acqua e aria compressa. L'utilizzo totale di acqua per lavare una tanica da 20 litri è di circa 3 litri".

Taniche o flaconi?
Certo, se fossimo un po' più attenti nell'utilizzo delle taniche sicuramente il problema potrebbe essere superato. "Le nostre taniche in plastica da 20 kg, in condizione di conservazione normale, possono essere riutilizzate minimo per 5 o 6 anni" ci spiega. "Dall'aprile 2007, inizio della nostra produzione, non è ancora stata buttata nessuna tanica fra quelle tornate indietro per il riuso".
Officina Naturae invece ha fatto un'altra scelta: quella di raddrizzare il tiro. "possiamo ancora spedire una tanica da 25 litri con il rubinetto" spiega Urbinati "ma la tanica vuota non la ritiriamo. Preferiamo spedire direttamente delle ricariche da 5 litri, in buste riciclabili di PE. In questo modo si evita il trasporto e il lavaggio della tanica con un risparmio sui costi e sull'ambiente".
Con i gruppi d'acquisto solidale la politica di Officina Naturae è diventata addirittura quella di sconsigliare lo sfuso a tutti i costi. "E' inutile trasportare una tanica da 20 litri che mi deve poi tornare indietro" prosegue Luca. "Meglio una da 5, che ha il minore peso di plastica rispetto al contenuto". Già, perché per sostenere il peso bisogna irrobustire necessariamente la confezione. Il calcolo si fa con una semplice bilancia: una tanica vuota da 5 litri, rispetto a 5 flaconi singoli da 5 litri, pesa fino a 600 grammi in più!

Pulito senza macchia
Finora abbiamo parlato di contenitori e poco di contenuti. La domanda a questo punto è: quanto può essere ritenuto ecologico un detersivo alla spina? Una questione, passateci il gioco di parole, assai spinosa. Gia, perché oltre all'impatto ambientale per la produzione e lo smaltimento della plastica non dobbiamo dimenticarci del detersivo vero e proprio, il cui impatto ambientale, in particolare a carico delle falde acquifere, è spesso assai pesante.
"La maggior parte dei prodotti alla spina sono detersivi convenzionale" chiosa Fabrizio Zago. "L'ecologia è una scienza molto dinamica e complessa, difficile definire cosa davvero è ecologico. Comunque la maggior parte dei detersivi alla spina sono detersivi assolutamente convenzionale e poco ecologici. Anche se non mancano quelle che hanno fatto una scelta di ecologia e qualità".

Attenzione agli etossilati
Il fatto che il prodotto si autoproclami ecologico, i lettori di questa rivista lo sanno bene, significa ben poco. Anzi, è proprio il caso di spulciare bene l'etichetta, sempre che sia scritta in modo chiaro. Anche la decantata presenza di "tensioattivi di origine vegetale" non vuol dire nulla, certo meglio di quelli derivati da petrolio, ma succede spesso che per migliorare le loro prestazioni, i tensioattivi di origine vegetale vengono sottoposti a un processo di etossilazione. >per noi profani. E’ una sorta di gioco di prestigio: la molecola di origine viene aggregata ad una molecola di origine petrolchimica che alla fine può infiltrarsi nella sostanza di origine fino al 70%. Il risultato è un ibrido vegetal-petrolchimico riconoscibile solo da chi sa leggere la tabella degli ingredienti (INCI) che per legge ogni produttore è obbligato a rendere noto: se nel nome dell'ingrediente è presente il suffisso "eth-" o la parola etossilato (per esempio: Sodium coceth sulfate) sui tratta di un tensioattivo etossilato derivato dall'oliodi cocco.
I tensioattivi più diffusi e a basso costo e di facile lavorazione rimangono comunque quelli di origine petrolifera, come il famigerato Sodium Laureth sulfate, comunemente usati per il basso costo di produzione e per il fatto che consentono di abbattere ulteriormente i costi in fase di produzione. c'è tuttavia chi riesce a farne a meno. "I nostri prodotti con il freddo si addensano come l'olio extravergine d'oliva" testimonia Luca di Officina Naturae. "La materia prima non etossilata diventa dura come un torrone. Quando produciamo dobbiamo scaldarla per renderla fluida, un processo a caldo che ovviamente rappresenta un costo aggiuntivo. certo, con il Sodium laureth sulfate, il prodotto rimarrebbe liquido e tutto diventa più facile".

Olio di cocco o di oliva?
un detergente che voglia definirsi "pulito" deve poter rispondere anche ad un'altra questione: la provenienza delle materie prime. Dobbiamo chiederci ad esempio quanto sia sostenibile usare l'olio di cocco, per produrre il quale si stanno distruggendo gli ecosistemi del Sud-Est asiatico. Roberta Mosca, che commercializza la linea di detergenza "Colori di primavera", guarda avanti. "Pur di rinunciare al petrolio usiamo l'olio di cocco, ma allo stesso tempo stiamo pensando di reintrodurre anche ingredienti come la soda e l'olio di oliva, usati da sempre per preparare detergenti. C'è tutto un mondo da scoprire anche nelle nostre tradizioni locali senza dover per forza importare prodotti dall'estero".
a garanzia di un uso sostenibile delle risorse, l'alternativa è di affidarsi alle certificazioni biologiche ed equo-solidali. mondo Solidale, che vanta quattro progetti di importazione diretta, ne ha uno che riguarda proprio la materia prima dei detergenti: l'olio di cocco "babassù", proveniente dal Nord-est del brasile. "Nel nostro caso" spiega Maria Antonietta Perfetti "la pianta cresce spontanea, viene raccolta da una cooperativa locale, gestita nel pieno rispetto delle condizioni di vita dei lavoratori, e viene certificata successivamnete come biologica da Icea".

Come orientarsi
"Il prodotto più ecologico è quello che lava meglio!". Fabrizio Zago sembra si diverta a provocare la nostra sensibilità ambientalista. in realtà le sue motivazioni sono ben ragionate e coerenti: "meglio utilizzare una sostanza che lava di più perché posso usarne meno. Potrebbe anche essere di origine sintetica, ma basta che abbia una tossicità ridotta, comprovata dai test, sulla fauna acquatica. d'altra parte non tutto ciò che è naturale è sempre facilmente biodegradabile".
Purtroppo la biodegradabilità, per legge, è testata solo sui singoli tensioattivi, mentre poco sappiamo del grado di biodegradabilità di un detersivo nel suo complesso, quindi l'unico modo per valutare un detergente è di leggere con attenzione l'elenco degli ingredienti. ogni prodotto, secondo il regolamento europeo 648/2004, deve riportare in etichetta la composizione degli ingredienti, per lo meno in forma abbreviata, ,ma in tal caso deve indicare un numero di telefono o email a cui richiedere la scheda completa con la nomenclatura INCI, non solo per il consumatore ordinario, ma anche per chi fa informazione.
noi stessi nello scrivere questo articolo abbiamo incontrato molta difficoltà, la sensazione è di avere a che fare con il gioco poco pulito (e dire che si parla di saponi!) di alcune aziende che non rispettano la legge. I riferimenti spesso non sono indicati in modo chiaro in etichetta e per recuperare la scheda degli ingredienti abbiamo dovuto faticare non poco, rimbalzando da un call center all'altro. per lo stesso motivo siamo stati costretti ad escludere dalla tabella riassuntiva alcuni marchi che non erano in possesso di un elenco INCI come richiesto dalla legge.
una volta scovati gli ingredienti, comunque, a meno che non siamo dei chimici provetti ,siamo ancora a metà strada. Con quel criterio possiamo dunque fare una scelta veloce al momento dell'acquisto? la via più breve è certo quella di fidarsi della certificazione di organismi di controllo per i prodotti biologici che hanno elaborato un disciplinare anche per i detergenti. seppur con alcune differenze, in alcuni casi sostanziali, tali disciplinari vietano l'impiago di sostanza dichiaratamente nocive per l'uomo e l'ambiente, anche se in alcuni casi ammettono la presenza di etossilati.
Con la nostra tabella di confronto tra i più diffusi detersivi alla spina presenti sul mercato abbiamo voluto offrire ai lettori la possibilità di comparare direttamente la composizione dei diversi prodotti, convinti che al di la delle leggi, marchi e disciplinari il sistema migliore di controllo risiede nella capacità del singolo consumatore di valutare la validità ambientale, merceologica e sociale di ciò che acquista.

Vedi anche la tabella:
"Detersivi alla spina a confronto"

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