Corriere della Sera - 10 agosto
1999
di: Mario Porqueddu
UN AVVOCATO PER GLI ANIMALI E' LA NUOVA MODA NEGLI USA
Si moltiplicano gli studi legali specializzati in cause animaliste.
Wwf e Legambiente: bello, ma in Italia siamo ancora lontani
Difendono scimmie elefanti e delfini e spesso vincono cause milionarie
MILANO - In piedi, entra la corte. Quindi viene letta la causa che si va a discutere:
il delfino Rainbow (in inglese Arcobaleno), contro l'acquario che lo ospita. Proprio
così. Capita da qualche tempo nei tribunali americani di assistere a cause intentate da
animali, o meglio da avvocati-animalisti a nome dei loro «assistiti». Legali agguerriti,
al servizio di privati o associazioni, che stanno creando precedenti in grado di cambiare
il sistema legale statunitense in materia di tutela degli animali. L'obiettivo dei sempre
più numerosi avvocati che concentrano la propria attività professionale nella «difesa»
di scimmie, elefanti, pesci o volatili, è ambizioso. Non tanto, o non solo, combattere
gli episodi di crudeltà e maltrattamenti nei confronti degli animali ma, soprattutto,
sovvertire il principio secondo cui un animale è da intendersi esclusivamemte come
proprietà di qualche essere umano o istituzione, facendone invece veri e propri soggetti
di diritto. Insomma, la notizia, riportata dall'Herald Tribune in prima
pagina, non è una di quelle da archiviare fra le «curiosità d'oltreoceano». Fare
l'avvocato degli animali è un modo di esercitare la professione redditizio e qualificato.
E adesso università importanti, scuole di diritto del calibro di Harvard e Georgetown
annunciano per il prossimo anno accademico corsi di «animal law», letteralmente
giurisprudenza animale. Una importante legittimazione per questa «nuova branca del
diritto», come l'ha definita Joyce Tischler, direttore dell'organizzazione legale in
difesa degli animali. Il cui spirito è ben illustrato da Steven Wise, il legale del
delfino Rainbow al quale Harvard ha affidato le lezioni: «La nostra -
dichiarava al Tribune - è una strategia a lungo termine, volta a
dimostrare che un animale non è "una cosa da usare" per gli uomini». Ma
un «sentient being», e cioè un essere sensibile.
Forti di questo convincimento, i legali-animalisti vincono cause milionarie, si battono
a tutela degli elefanti usati dai circhi, garantiscono agli scimpanzè degli zoo
condizioni di vita soddisfacenti, lottano contro l'abbattimento dei cani che hanno morso
qualcuno. I detrattori ci scherzano sopra: «Ma allora anche i batteri hanno diritti?»,
si chiedeva il professor Richard Epstein da Chicago. Beh, pare di sì. E di sicuro ne
hanno gli uccelli, se è vero che la Corte suprema della Pennsylvania ha accettato il
ricorso presentato da alcuni avvocati contro l'annuale gara di tiro al piccione di Hegins.
Un altro esempio della nuova considerazione di cui godono gli animali nelle aule di
giustizia americane arriva dal Massachusetts, dove il solito Wise (in inglese il suo
cognome significa «saggio») ha fatto risarcire i padroni di 7 pecore uccise dai cani dei
vicini di casa, non solo per il valore di mercato ma anche per i danni che derivavano
dall'aver perso la compagnia.
E in Italia? Siamo lontani da una «sensibilità» del genere. Spiega Fulco Pratesi,
presidente del Wwf: «Una norma a tutela degli animali esiste; è l'articolo 727 del
Codice penale che prevede il reato di maltrattamento. Ma nel complesso si fa poco anche se
nuove leggi, magari contro gli eccessi della caccia potrebbero servire».
«Tra l'altro - sottolinea l'ufficio legale del Wwf - prima che la Corte di Cassazione
intervenisse a stabilire che gli animali sono esseri viventi capaci di provare dolore, lo
spirito della norma in Italia era teso principalmente a tutelare gli uomini, che
potrebbero provare repulsione o pietà alla vista dell'animale maltrattato». Mentre a
detta del presidente di Legambiente, Ermete Realacci: «Sarebbe un successo se in tutti i
comuni d'Italia venissero applicate le norme esistenti a tutela degli animali. Non sempre
succede, ci sono città che non hanno un'anagrafe canina, anche se la legge le prevede».
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