Vien voglia di non credergli. Per un estremo
istinto di autodifesa e di sopravvivenza, scorrendo quelle pagine si cerca l'errore,
l'esagerazione, l'estremismo. Non ci sono. Dalle parole di Jeremy Rifkin - presidente
della Foundation on Economic Trends di Washington e docente alla Wharton School of Finance
and Commerce dove tiene i corsi dell'Executive Education Program sul rapporto tra
l'evoluzione della scienza e della tecnologia e lo sviluppo economico - traspare solo la
dura realtà, la cruda realtà, la realtà della bistecca. E della cultura che l'ha
prodotta.
Ecocidio (Mondadori, pp. 373, L. . 35.000) è una affascinante quanto rigorosa
ricostruzione storica dell'ascesa della cultura della carne dagli albori dell'umanità
fino ai nostri giorni, all'epoca della mucca pazza. E se tutto conosciamo ormai
sull'encefalopatia spongiforme bovina e dintorni, molto abbiamo invece da imparare sui
meccanismi che hanno portato le società industrializzate a fare della carne un pilastro
portante della propria economia, del proprio modus vivendi, con tutte le conseguenze che
ciò comporta sull'ecosistema mondiale.
Sulla base degli elementi tratti dalla ricostruzione storica, economica e sociopolitica,
Jeremy Rifkin non soltanto lancia un appello all'umanità, affinché superi nel
ventunesimo secolo la cultura della bistecca, ma emette una sentenza dal sapore più che
profetico: la specie umana, se vuole salvare se stessa e il pianeta che la ospita, è
destinata ad andare "oltre la carne". Lo smantellamento del complesso bovino
globale e l'eliminazione della carne dalla dieta umana sono un obiettivo fondamentale dei
prossimi decenni. Nel nuovo mondo che si va formando, secondo l'autore di La fine del
lavoro (1995) e di Il secolo bio-tech del 1998 (entrambi editi da Baldini & Castoldi)
e del volume L'era dell'accesso. La rivoluzione della new economy (Mondadori, 2000), la
natura non è più un nemico da sottomettere e domare, ma una comunità primordiale di cui
far parte. Le altre creature non sono più oggetti o vittime, ma compagni partecipi di
quella grande comunità della vita che costituisce la natura e la biosfera.
Api, il dio toro, rappresentava per i popoli del Nilo la forza e la virilità, ci racconta
Jeremy Rifkin nel capitolo dedicato a "Il bestiame e la costruzione della civiltà
occidentale", immergendoci per un attimo con una scrittura quasi fiabesca nella
mitologia degli antichi egizi: "Api simboleggiava il vigore della giovinezza e
l'eternità della vita, ed era incarnato in un toro in carne e ossa che veniva custodito
in un santuario e accudito dai sacerdoti, alla fine dell'anno, Api veniva macellato
secondo un elaborato rituale; la sua carne veniva consumata dal re, che acquistava così
la fiera forza dell'animale, la sua maestosa potenza e la virilità, in modo da diventare
immortale". "Dopo la macellazione e il pasto rituale delle carni del dio Api -
continua a narrare Rifkin -, i suoi resti venivano mummificati e sepolti in una camera
speciale, celata da un gigantesco sarcofago pesante più di cinquanta tonnellate".
Poi, il brusco, teatrale risveglio nei box degli allevamenti intensivi statunitensi, dove
gli animali vengono castrati, imbottiti di farmaci e messi all'ingrasso. Raggiunti i
cinquecento chilogrammi, i vitelli maturi sono ammassati in giganteschi camion; il viaggio
verso il mattatoio è duro e brutale: ore, giorni, lungo i percorsi autostradali, senza
soste, nutrimento e acqua. "Al termine del viaggio, gli animali ancora sani vengono
fatti scendere; gli altri, schiacciati sul piano di carico del camion, incapaci di alzarsi
o di camminare, vengono agganciati per gli arti rotti e trascinati giù dal camion fino
alla rampa di carico, dove attendono il proprio turno di macellazione".
Ma la massima crudezza, Rifkin la raggiunge nel capitolo di Ecocidio dedicato alla
"industrializzazione dei bovini", là dove descrive la catena all'interno degli
impianti di macellazione: "L'animale morto si muove lungo una catena di smontaggio.
Alla prima stazione viene scuoiato. Poi la carcassa viene decapitata, la lingua tagliata e
rimossa; la testa e la lingua vengono attaccate a ganci che scorrono lungo la catena di
smontaggio. La carcassa, quindi, viene eviscerata: fegato, cuore, intestini e altri organi
interni vengono rimossi. Nella stazione successiva, la carcassa viene squartata con una
motosega lungo la colonna vertebrale e privata della coda. La carcassa squartata viene
lavata con un getto di acqua tiepida, avvolta in un tessuto e mandata nelle celle
frigorifere. Il giorno seguente i macellai muniti di seghe a nastro smembrano la carcassa
nei tagli canonici: filetto, costata, girello, spalla. I tagli vengono posti su un nastro
trasportatore per la selezione e il confezionamento. I tagli di carne, affettati, pesati e
confezionati sotto vuoto raggiungono così i banchi refrigerati dei supermercati di tutto
il paese, dove vengono esposti e offerti in vendita".
Il pregio di questo libro - scritto nel 1992 e che per grande coraggio editoriale o
estrema cautela politica la Mondadori ha deciso di pubblicare ora, soltanto dopo l'apice
della crisi della mucca pazza in Italia (sarà per questo che l'Ecocidio di Rifkin sta
transitando nelle nostre librerie quasi sotto totale silenzio stampa?) - non sta tanto,
anzi non sta affatto, nel facile sensazionalismo che può indurre la descrizione di un
mattatoio o di un allevamento intensivo. Sta invece nell'attenta analisi delle conseguenze
e dei costi per l'umanità che ha comportato il consumo della carne dai tempi dei
conquistadores spagnoli delle Americhe fino alla giungla automatizzata della "carne
moderna" dei nostri giorni.
"Vacche ovunque", titola il primo capitolo della parte quarta, dedicata al tema
"Nutrire le bestie e affamare la gente". "Più di un miliardo di vacche
pascolano nei cinque continenti. Un quarto delle terre emerse è usato per nutrire bovini
e altro bestiame". Questo significa, spiega Rifkin prendendo ad esempio gli Stati
uniti, che il 70 per cento dei cereali prodotti in America viene utilizzato per
l'alimentazione animale. Ma, a fronte di un utilizzo di 157 milioni di tonnellate di
cereali per il nutrimento del bestiame da macello, la carne consumata dall'uomo è pari a
meno di 28 milioni di tonnellate di carne.
"Sfortunatamente - conclude Jeremy Rifkin - tra gli animali domestici i bovini sono i
convertitori meno efficienti di energia, anzi possono essere considerati le Cadillac degli
animali d'allevamento". E, poiché la domanda mondiale di cereali per l'alimentazione
animale è in continua crescita, le multinazionali incoraggiano i paesi del terzo mondo
alla conversione dell'agricoltura a cereali per il nutrimento dei manzi dei paesi ricchi.
Quando in Etiopia la grande carestia mieteva vittime su vittime, la gran parte di quella
terra era utilizzata per la produzione di mangimi a base di semi di lino esportati in Gran
Bretagna. "Con un terzo della produzione cerealicola mondiale destinata
all'alimentazione animale e la popolazione mondiale in crescita al ritmo del venti per
cento ogni dieci anni, si sta preparando una crisi alimentare di proporzioni
planetarie". E l'impatto distruttivo dei bovini si manifesta anche nella progressiva
desertificazione di ampie fasce di territorio non soltanto nelle due Americhe ma anche in
Africa e in Asia: foreste abbattute, terre fertili trasformate in deserti, minacce di
profonde e devastanti modifiche climatiche.
Risvegliare nel consesso umano la coscienza del saccheggio dei bovini è un compito
difficile e ingrato. Ma con questo libro Jeremy Rifkin può almeno dire di aver fatto il
possibile. |
I bovini e il male occulto
Il moderno complesso bovino è pervasivo. Le sue attività hanno contribuito in misura
rilevante al deterioramento dell'ambiente del pianeta. Ma 1'impatto dei bovini sul
consorzio umano non è stato ancora affrontato: il silenzio che circonda il complesso
bovino e la carne moderni è ancora più sconcertante, alla luce dell'effetto che produce
sulla creazione di una delle più inique modalità di produzione e distribuzione del cibo
che la storia abbia mai conosciuto. Nel ventesimo secolo, il complesso bovino moderno ha
aperto la strada a una campagna mondiale senza precedenti volta a trasferire la produzione
cerealicola mondiale dall'alimentazione umana a quella animale, negando a milioni di
persone la propria sacrosanta quota di ricchezza mondiale.
Nel capitolo IX abbiamo appreso che un terzo della produzione mondiale di cereali viene
utilizzato per alimentare bovini e altro bestiame, mentre più di un miliardo di esseri
umani soffre di malnutrizione. Oggi, europei, americani e giapponesi si trovano al vertice
di una catena alimentare artificiale, che li costringe a ingozzarsi di carne bovina venata
di grasso.
In termini umani, il pedaggio imposto dal complesso bovino mondiale è impressionante. Nei
paesi in via di sviluppo, milioni di persone sono state allontanate dalla loro terra per
lasciare posto a pascoli, la maggior parte di esse sono emigrate in squallide periferie
urbane, dove sopravvivono a stento. Cronicamente affamate, sono vittime di una grande
varietà di malattie legate alla malnutrizione. In molti paesi del Terzo mondo, un bambino
su dieci non arriva al primo compleanno. Per molti di quelli che sopravvivono, la vita non
è che un lento scivolare verso la morte, per mano di disastri ambientali e malattie
parassitiche che minano il loro già indebolito sistema immunitario.
I ricchi consumatori del Primo mondo si godono i piaceri di una dieta carnea, ma patiscono
le conseguenze degli eccessi che la posizione dominante nell'artificiosa scala delle
proteine comporta: con il corpo intasato di colesterolo, vene e arterie occluse dai grassi
animali, sono vittime delle "malattie del benessere", degli attacchi cardiaci,
dei tumori del colon e della mammella, del diabete. Il moderno complesso bovino
rappresenta una nuova specie di forza malvagia che agisce nel mondo. In una civiltà che
ancora misura il male in termini individuali, il male istituzionale, nato dal distacco
razionale e perseguito freddamente con metodi calcolati di espropriazione tecnologica,
deve ancora trovare una posizione sulla scala morale.
La riprovazione morale continua a essere legata ad atti d'individuale malvagità; se un
membro della società commette un atto di violenza, priva il suo prossimo della vita,
della proprietà o della libertà, 1'individuo e il suo gesto sono universalmente
condannati. Il male è manifesto, visibile, diretto e passibile di giudizio. Il mondo
moderno riconosce il male individuale che cagiona un danno diretto ad altri individui. Non
sa ancora riconoscere una nuova e ben più pericolosa forma di male, che ha premesse
tecnologiche, imperativi istituzionali e obiettivi economici. La società contemporanea
continua a tutelarsi dal male individuale e diretto, ma ancora non è riuscita a integrare
nella propria griglia morale di riferimento il senso di giusta indignazione e di
riprovazione morale nei confronti della violenza istituzionalmente certificata.
Sebbene sia vero che alcuni, limitati esempi di violenza istituzionale sono isolati e
puniti, i crimini, in generale, hanno natura individuale e diretta: un funzionario,
aziendale o pubblico, viene condannato per malversazione, discriminazione o negligenza di
qualche genere. Ma cosa accade di un altro genere di malvagità: quella implicita
all'origine, nelle premesse medesime su cui si fondano le istituzioni? La chiesa accenna,
con molta timidezza, all'idea di combattere "le potenze e i principati terreni",
ma anche qui riconosce solo un concetto tradizionale di moralità, ispirato ai Dieci
Comandamenti. Cosa dire, invece, del male che scaturisce da metodi razionali di confronto,
obiettività scientifica, riduzionismo meccanicista, utilitarismo ed efficienza economica?
Il male inflitto al mondo moderno dal complesso bovino ha questa natura: avidità,
inquinamento e sfruttamento hanno accompagnato il complesso bovino durante tutta la
millenaria migrazione verso ovest. La nuova dimensione del male è intimamente connessa
con il complesso bovino moderno, che ha acquisito i caratteri di un male occulto, e
discende direttamente dai principi illuministi su cui si fonda gran parte della moderna
visione del mondo.
Questo male occulto viene inflitto a distanza; è un male camuffato da strati sovrapposti
di veli tecnologici e istituzionali; un male cosi lontano, nel tempo e nel luogo, da chi
lo commette e da chi lo subisce, da non lasciar sospettare o avvertire alcuna relazione
causale. E' un male che non può essere avvertito, data la sua natura impersonale.
Lasciare intendere che un individuo sta facendo il male coltivando cereali destinati
all'alimentazione animale o consumando un hamburger, può sembrare strano, perfino
perverso, a molti. Anche se i fatti fossero espliciti e incontrovertibili, e il percorso
del male fosse tracciato nei suoi più minuti dettagli, è improbabile che molti, nella
società, avvertirebbero il medesimo senso di riprovazione morale che provano di fronte a
un male diretto e individuale, come una rapina, uno stupro, la deliberata tortura del cane
dei vicini.
E' probabile che i proprietari dei negozi in cui si vende carne di bovini nutriti a
cereali non avvertano mai, personalmente, la disperazione delle vittime della povertà, di
quei milioni di famiglie allontanate dalla propria terra per fare spazio a coltivazioni di
prodotti destinati esclusivamente all'esportazione. E che i ragazzi che divorano
cheeseburgers in un fast-food non siano consapevoli di quanta superficie di foresta
pluviale sia stata abbattuta e bruciata per mettere a loro disposizione quel pasto. E che
il consumatore che acquista una bistecca al supermercato non si senta responsabile del
dolore e della brutalità patiti dagli animali nei moderni allevamenti ad alta tecnologia.
In una civiltà completamente imbevuta di principi illuministi, come la meccanizzazione e
1'efficienza economica, la sola idea che questi medesimi principi siano, potenzialmente,
causa del male è censurata. La maggior parte delle relazioni che regolano le società
moderne sono mediate dalla razionalità, dal distacco obiettivo, dalla ricerca
dell'efficienza, da considerazioni utilitariste e interventi tecnologici. Il moderno
complesso bovino, come abbiamo appreso attraverso le pagine di questo libro, è stato fra
le prime forze istituzionali a mettere in pratica le idee dell'Illuminismo, a integrare
gli standard ingegneristici della moderna visione del mondo in ogni aspetto della propria
attività.
Nell'era moderna, queste idee e questi standard sono stati utilizzati efficacemente per
tagliare gli intimi legami fra uomo e natura. I principi fondamentali dell'Illuminismo
hanno spogliato la natura della propria vitalità e derubato le altre creature della
propria essenza originale e del proprio valore intrinseco.
Nel mondo moderno, freddo e calcolatore, abbiamo scambiato la salvezza eterna con
1'interesse materiale personale, il rinnovamento con la convenienza, la capacità
generativa con le quote di produzione. Abbiamo appiattito la ricchezza organica
dell'esistenza, trasformando il mondo che ci circonda in astratte equazioni algebriche,
statistiche e standard di performance economica. Il male occulto viene perpetuato da
istituzioni e individui mossi da principi organizzativi razionali, che a far loro da guida
per scelte e decisioni hanno solo forze di mercato e obiettivi utilitaristici. In un mondo
di questo genere, ci sono ben poche occasioni per onorare la creazione, essere in sintonia
con le altre creature, gestire 1'ambiente e proteggere i diritti delle future generazioni.
L'effetto sull'uomo e sull'ambiente del modo moderno di pensare e di strutturare le
relazioni è stato quasi catastrofico: ha indebolito gli ecosistemi e minato alla base la
stabilità e la sostenibilità delle comunità umane. La grande sfida che dobbiamo
affrontare è rappresentata dal lato oscuro della moderna visione del mondo: dobbiamo
reagire al male occulto che sta trasformando la natura e la vita in risorse economiche che
possono essere mediate, manipolate e ricostruite tecnologicamente per adeguarle ai
ristretti obiettivi dell'utilitarismo e dell'efficienza economica.
Oltre la carne
Risvegliare nel consesso umano la coscienza del saccheggio dei bovini e la consapevolezza
del male occulto è un compito ingrato. Nel nome del progresso e del profitto, il moderno
complesso bovino ha distrutto ecosistemi naturali e trasformato parte del pianeta in una
desolata terra semidesertica, inadatta a essere abitata da uomini, animali e vegetali. Nel
nome della razionalità e dell'obiettività, il moderno complesso bovino ha ridotto la
natura, e perfino il lavoro umano, a una risorsa economica, manipolabile e scambiabile in
un libero mercato. Nel nome dell'efficienza, il moderno complesso bovino ha trasformato
vacche, lavoratori di impianti di macellazione e consumatori, in dati di produzione e di
consumo, utensili e target, privi di qualsiasi valore intrinseco o spirituale, involucri
vuoti mossi in sincronia per tenere il ritmo degli allevamenti tecnologici, delle linee di
lavorazione e delle casse dei fast-food.
La mitologia della carne è stata utilizzata continuamente per affermare il dominio
maschile, sottolineare le divisioni di classe, promuovere gli interessi del nazionalismo e
del colonialismo, perpetuare la disuguaglianza sociale e lo sfruttamento economico su
scala mondiale.
La storia della lunga relazione dell'umanità con i bovini è la storia della relazione
dell'uomo con la propria capacità generativa. Il toro e la vacca, antiche icone della
nostra virilità e fertilità, sono stati dissacrati e snaturati, spogliati della loro
vitalità e trasformati in macchine per produrre. Sono stati sottratti a se stessi,
decostruiti in pura materia manipolabile, ridotti a cose. In un mondo fondato
sull'utilità, sulla convenienza, con solo il mercato a dare senso e significato, la vacca
continua a essere lo specchio ideale dell'evoluzione della nostra coscienza: la cruda
visione di come il mondo che abbiamo costruito ci abbia trasformati. Abbiamo sostituito
meccanismi a organismi, utilitarismo a spiritualità, standard di mercato a valori civili,
trasformandoci da esseri in risorse.
Il complesso bovino è stato fra le più importanti palestre dell'economia moderna. Oggi i
bovini vengono al mondo con 1'inseminazione artificiale, il trasferimento di embrioni e
tecniche di clonazione. Allevati con 1'occhio all'efficienza economica più che
all'adattamento della specie, sono alimentati forzatamente, imbottiti di farmaci,
monitorati da macchine, costretti e controllati, segregati e manipolati per soddisfare le
caratteristiche imposte dalla moderna zootecnia: dalla nascita alla macellazione sono
trattati come prodotti industriali. Contengono più grasso, pesano di più, maturano più
rapidamente delle bestie allo stato selvatico, ma sono molto meno sani, spesso non sono in
grado di riprodursi autonomamente e sono infestati da malattie parassitiche e
opportuniste; per sopravvivere necessitano di complessi apparati tecnologici e supporti
farmacologici. La loro maggiore produttività comporta una diminuzione della capacita
generativa. Finché la produttività industriale resterà 1'unico parametro con cui
misurare il nostro rapporto con i bovini e con altre specie animali e vegetali, non
potremo sviluppare un'etica economica pienamente compatibile con le regole e i ritmi che
governano la sostenibilità.
In natura, la capacita generativa, non la produttività, è misura della sostenibilità.
La capacità generativa è una forza che afferma la vita: la sua essenza è organica; la
sua teleologia e rigenerativa. La produzione industriale è, spesso, una forza di morte:
la sua essenza è la manipolazione della materia; la sua teleologia è consumista. Il
mutamento della nostra relazione con i bovini - dalla venerazione della capacità
generativa al controllo della produttività - rispecchia il mutamento della coscienza
della civiltà occidentale, nella lotta per definire se stessa e il proprio rapporto con
1'ordine naturale e lo schema cosmico.
Nel primo stadio del nostro rapporto con i bovini, i nostri antenati veneravano una
"forza generatrice" da cui gli animali erano posseduti e su cui avevano poco o
nessun controllo: la loro relazione con essi era, al tempo stesso, intima e sacra, basata
sulla paura e sulla dipendenza. I nostri antenati rendevano omaggio ai bovini per
compiacere gli dei, per garantirsi la benedizione di un'esistenza feconda e ricca; i loro
riti erano pensati per manipolare le forze cosmiche a loro vantaggio, in modo da
prosperare; mangiavano carne per assimilare lo spirito divino, per partecipare al grande
ciclo dell'eterna rinascita.
Nella seconda fase di questo rapporto, ci siamo sostituiti agli dei e abbiamo trasformato
i bovini in una risorsa produttiva manipolabile. Abbiamo conquistato il controllo sui
bovini e, per estensione, sulla forza generatrice della natura, rendendoli entrambi
dipendenti dai nostri scopi razionali. Abbiamo annullato la nostra dipendenza dalla
natura, ma, nel farlo, abbiamo perso il senso del sacro e della comunione intima con il
resto del creato. Abbiamo consumato carne per ottenere il potere sulla natura e sugli
altri esseri umani.
Oggi, siamo al principio della terza fase della saga uomobovino. Scegliendo di non
mangiare carni bovine, manifestiamo la volontà di fondare una nuova alleanza con queste
creature: una relazione che trascenda gli imperativi del mercato e la dissolutezza del
consumo. Liberare i bovini dal dolore e dall'umiliazione che patiscono nei moderni
allevamenti industriali e nei macelli è un atto umano di enorme importanza pratica e
simbolica: liberare queste creature da un processo che le vede castrate, private delle
corna, bloccate nelle funzioni riproduttive, sottoposte a dosi massicce di ormoni e di
antibiotici, irrorate d'insetticidi e sottoposte a una morte brutale in un macello
automatizzato, sarebbe un atto di contrizione e di riconoscimento del danno che noi
moderni abbiamo inflitto all'intero creato, nell'affannosa ricerca di un potere assoluto
sulle forze della natura.
Andare oltre la carne significa trasformare radicalmente il nostro modo di pensare su
quello che è 1'atteggiamento più giusto nei confronti della natura. Nel nuovo mondo che
si va formando, 1'attività umana è legata tanto alla forza generativa intrinseca della
natura quanto agli artificiosi dettati del mercato. Iniziamo ad apprezzare le fonti del
nostro sostentamento, la creazione ispirata da Dio che merita di essere nutrita e richiede
di essere tutelata. La natura non è più un nemico da sottomettere e domare, ma una
comunità primordiale di cui facciamo parte. Le altre creature non sono oggetti o vittime,
ma compagni partecipi di quella grande comunità della vita che costituisce la natura e la
biosfera.
Eliminando la carne dalla dieta umana, la nostra specie può compiere un significativo
passo in avanti verso una nuova consapevolezza, che contempli uno spirito di comunione con
i bovini e, per estensione, con le altre creature viventi con cui condividiamo il pianeta.
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