Petrella: se la green economy diventa un alibi ipocrita
«I paesi potenti non hanno alcun interesse a modificare le cause strutturali del disastro climatico. Al contrario tutti sembrano ormai convinti, al Nord come al Sud, che la soluzione alla crisi mondiale passi per il rilancio della crescita, dell’economia di mercato, ma di colore verde (automobile verde, energia verde, abitazione verde…)». Lo afferma Riccardo Petrella su “Le Monde Diplomatique”, contestando l’abuso della “green economy”: riconvertire l’industria serve a poco, se non si ferma la crescita che produce emergenze come quella dell’acqua e quella dei rifiuti.
«Nessuno potrebbe contestare l’importanza e l’urgenza di ‘mettere al verde’ le nostre economie», precisa Petrella. «Tuttavia, colorare di verde il sistema economico senza modificarne i principi e le modalità di funzionamento che sono all’origine della crisi, ha poco senso». Abbiamo davvero bisogno di altre centinaia di milioni di automobili e di camion, anche se verdi? Milioni di case passive «non risolveranno niente per miliardi di persone povere, senz’acqua potabile né servizi sanitari, senza abitazione decente, senza accesso alla sanità e all’istruzione base».
Sono parole, osserva Carla Ravaioli sul “Manifesto”, su cui dovrebbero riflettere i tanti ambientalisti che credono di poter arrestare il collasso degli ecosistemi affidandosi al “green business”, di fatto identificando il problema ambiente soltanto con il mutamento climatico; il quale certo, nell’impazzimento delle stagioni e nel moltiplicarsi di fenomeni meteorologici “estremi”, ne costituisce la conseguenza più grave, ma non può essere considerata la sola, col rischio di mancare l’intero obiettivo. Come appunto dice Petrella, la «vampirizzazione» dell’agenda-ambiente da parte della questione energetica «costituisce un’evidente mistificazione delle priorità del mondo».
A cominciare dall’acqua, gigantesco problema di cui Petrella è studioso di fama mondiale. L’acqua dolce, necessaria garanzia della nostra salute e insostituibile alimento di ogni forma di vita, oggi va facendosi sempre più scarsa: certo a causa del riscaldamento atmosferico e conseguente scioglimento dei ghiacciai, ma anche (e questo quasi sempre si dimentica) per via del moltiplicarsi delle attività industriali, non soltanto forti consumatrici d’acqua, ma agenti di gravi forme di inquinamento.
Per continuare, aggiunge la Ravaioli, con la quotidiana produzione di miliardi di tonnellate di rifiuti non trattati e non trattabili, tra cui scorie tossiche e radioattive; con mari e oceani sistematicamente invasi da idrocarburi e immondizie di ogni tipo, sovente secondo criminali operazioni di lucro; con milioni di intossicati e migliaia di morti da pesticidi tra i lavoratori agricoli; con malformazioni e tumori che si moltiplicano specie tra i giovani nei territori a intensa industrializzazione; con tossicità diffusa anche sotto l’innocua apparenza di sostanze e oggetti d’uso quotidiano come plastiche, vernici, colle, conservanti, detersivi.
E’ accettabile tacere tutto ciò e puntare solo sulla “green economy”, creando l’ottimistica attesa di un futuro libero da inquinamento e da scarsità energetica, con sicuro rilancio di produzione e consumi? «Negoziare il futuro dell’umanità unicamente a partire dall’energia è una grave colpa storica», è il duro giudizio di Petrella. che proprio sulla base di queste verità avanza ben poco ottimistiche previsioni circa la prossima Conferenza di Copenhagen.
Se il governo danese convoca un World Business Summit, «per ottenere il sostegno delle imprese e della finanza», dando priorità alle innovazioni tecnologiche, ai meccanismi di mercato e agli strumenti finanziari favorevoli al mondo dell’impresa privata, secondo Petrella «è difficile pensare che eventuali proposte contrarie agli orientamenti e agli interessi del mondo degli affari abbiano qualche possibilità di essere prese in considerazione». Di fatto, i responsabili del nostro futuro «hanno di nuovo imposto le logiche economiche, soprattutto finanziarie, per risolvere il disastro ecologico».
Una volta di più, insomma i cosiddetti “grandi” non solo sottovalutano la crisi ecologica e ignorano le vergognose iniquità che pure appartengono al mondo loro affidato, ma puntano a legittimare il dominio del capitalismo, il culto della ricchezza individuale, il primato del consumo. Consumo «sempre energivoro, ma verde», ribadisce Petrella, mentre sembra abbandonare ogni speranza nella prossima Copenhagen. Come dargli torto? E come immaginare, aggiunge il “Manifesto”, che si continui a tollerare la sceneggiata dei summit che si susseguono senza risultato? Una Seattle ecologista a Copenhagen sarebbe davvero impensabile? (info: www.megachip.info).
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