No dell'Australia al nucleare. "Ci sono altre risorse!"
Il nucleare è antieconomico, lo dimostrano le ricerche, e mentre Europa e governo australiano imparano la lezione, l'Italia percorre lo stesso sentiero in senso inverso.
Il governo australiano ha deciso: l'Australia non seguirà la via del nucleare. La notizia ufficiale è di qualche giorno fa, e a darla è stato il ministro all'ambiente Peter Garrett durante una conferenza stampa ad Hobart in Tasmania. Sicuramente non è il primo e probabilmente non sarà l'unico grande stato del "primo mondo" a fare un annuncio del genere, ma la cosa per l'Australia è doppiamente importante e rilevante.
Anzitutto l'Australia è il paese al mondo con le più grandi riserve di Uranioz e in secondo luogo, secondo i risultati di un recente sondaggio Nielsen, gli Australiani negli ultimi anni sono passati dal ruolo di profondi oppositori dell'energia atomica - nel 2002 solo il 38% era a favore - a, quanto meno, quello di simpatizzanti - oggi è a favore ben il 49%.
La cosa si spiega facendo due considerazioni. La prima è che gli australiani negli ultimi anni sono stati sottoposti ad una bombardante campagna in favore dell'atomo, la seconda è che questa è stata sviluppata in un contesto di crescente emergenza climatica, cosa in grado di far passare il nucleare se non per una energia "verde", quanto meno per il male minore nella scelta di una fonte di approvvigionamento energetico.
Se ha fatto presa sulla popolazione australiana, la campagna non ha evidentemente conquistato il favore del nuovo governo di sinistra e del suo ministro all'ambiente: "Ci sono e ci saranno sempre sondaggi, che compaiono in periodi diversi, che danno letture diverse delle opinioni su questo problema. Ma la cosa fondamentale é che questo governo ha un piano globale per affrontare il pericoloso cambiamento climatico. Abbiamo scartato l'elettricità nucleare perché disponiamo di una serie di risorse energetiche sulle quali possiamo basarci, perché dobbiamo lottare contro il cambiamento climatico e fornire dei mezzi di sussistenza sostenibili agli australiani per le ragioni future".
Così mentre mentre in Australia la via sembra tracciata, in Italia, incomprensibilmente, si percorre lo stesso sentiero in senso opposto. Il nucleare infatti è ormai da tanti anni una scelta energetica in declino, al punto che i paesi che 50 anni fa, in piena euforia atomica, fecero questa scelta stanno, oggi, cercando di uscirne.
Un esempio per tutti: gli USA. Gli Stati Uniti saranno fortunati, racconta Jay Hanson, se produrranno tanta energia quanta ne hanno consumata per la costruzione degli impianti e la loro messa in opera. Il tasso di efficienza energetica delle centrali nucleari è pari a 3,4:1; un tasso molto basso se paragonato a quello di altre forme di energia decisamente meno controverse, senza contare che questa stima non prende in considerazione i costi di smaltimento degli impianti e dello stoccaggio, quanto meno a medio termine, delle scorie radioattive.
Il tasso si abbassa ancora se vengono poi considerati nel conto costi/benefici del nucleare le conseguenze in termini di sussidi alle popolazioni ospitanti gli impianti, inquinamento - solitamente delle falde acquifere indispensabili al raffreddamento dell'impianto stesso - e il degrado ambientale. Tutto ciò rende le centrali nucleari attuali, oltre che pericolose per le persone e l'ambiente che le circonda - solo settimana scorsa un operaio al lavoro nella centrale dismessa di Fugen, a pochi chilometri da Tokio, è stato sottoposto a causa di un guasto ad altissimi livelli di radiazioni - anche profondamente antieconomiche.
Gli scienziati raccontano che il presente e il futuro del nucleare sono o le centrali autofertilizzanti, che arricchiscono l'uranio, oppure le centrali a fusione nucleare che dovrebbero riprodurre le reazioni che normalmente accadono all'interno del sole e che vengono da tempo considerate la vera soluzione energetica finale.
Le prime, trasformando l'u-238, il tipo di uranio più presente in natura ma NON fissile, producono il plutonio-239, isotopo estremamente fissile ed esplosivo e per questo utilizzabile oltre che nella produzione di energia, anche per la costruzione di armi atomiche - questo il motivo della grande pressione su Corea del Nord e Iran in merito ai loro programmi nucleari - le seconde, invece, sono da sempre il sogno degli scienziati atomici ma nonostante i numerosi programmi scientifici in tal senso e la grande quantità di soldi investiti, non paiono essere in grado ancora di rispondere alle necessità di costruzione di una centrale energetica.
Fatte queste considerazioni, il nucleare, com'è oggi e come sarà ancora per diversi anni, non appare quindi una soluzione realistica... almeno non in Australia, che come abbiamo visto scoppia di uranio, e tanto meno in Italia dove purtroppo tenteranno di farcelo accettare comunque. E sì che giovedì scorso a Stoccolma la seconda conferenza dell'European Strategic Technology Plan ha triplicato gli investimenti europei nelle tecnologie energetiche a bassa emissione di CO2, investimenti che dovranno essere spesi hanno auspicato cinque scienziati, tra cui il nostro Carlo Rubbia (premio Nobel nel 1984), bene: «E' arrivato il tempo di cambiare radicalmente il sistema energetico mondiale e le analisi del ciclo di vita così come l'economia verde sono delle condizioni indispensabili per pensare la politica del futuro. Le attività umane in materia di energia devono essere sviluppate in maniera da non avere un impatto radicale sulle terre, le acque e l'aria. Tutte le opzioni in materia di energia per il futuro devono basarsi sull'energia sostenibile e su dei materiali di costruzione per principio riciclabili o sostenibili».
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