Barcellona Climate change talks: l'ottimismo del bicchiere mezzo pieno mentre Copenhagen si avvicina
LIVORNO. Yvo de Boer, il segretario esecutivo dell'United nations framework convention on climate change (Unfccc) ha aperto i Climate change talks in corso a Barcellona fino al 6 novembre rivolgendosi ai 4.000 delegati di tutto il mondo con una constatazione ed un'urgenza: «Dopo quasi due anni di negoziati, vi do il benvenuto agli ultimi cinque giorni di tempo dei negoziati ufficiali prima di Copenaghen. L'orologio ha quasi ticchettato fino allo zero. E, come sempre, il tempo volerà. Questi ultimi cinque giorni sono critici per la strada di un successo a Copenhagen. Bisogna usarli in maniera oculata per promuovere gli obiettivi della road map di Bali. Questi climate change talks sono la continuazione della sessione di Bangkok, dove sono stati fatti validi progressi. Questo ha bisogno di essere rafforzato. I libri di Bangkok devono essere riaperti ed i progressi già realizzati devono essere realizzati. Bangkok ha visto crescente la convergenza, la razionalizzazione dei testi e delle opzioni in maniera più precisa Queste opzioni comprendono un'azione globale per l'adattamento, cooperazione tecnologica tangibile, azione per ridurre le emissioni derivanti dalla deforestazione nei paesi in via di sviluppo e miglioramento del capacity-building. Su questi punti stanno emergendo opzioni mediane praticabili che potrebbero essere portate avanti e concretizzate.
Il buon lavoro iniziato a Bangkok deve essere continuato qui a Barcellona, con particolare riguardo a preparare il terreno per una sua rapida attuazione adesso e fino al 2012. I Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di interventi urgenti per la mitigazione del cambiamento climatico. La chiarezza su una rapida implementazione sarà un importante passo avanti verso un accordo avanzato a Copenaghen, con concrete potenzialità ed un'azione immediata. Un positivo accordo ha bisogno di acquisire un livello di ambizione che sia commisurato alle dimensioni del problema. Questo significa ambiziosi obiettivi su base individuale dell'Annex I e progressi urgenti in materia di negoziati nel quadro del protocollo di Kyoto. Esso comprende anche la necessità di chiarezza a livello nazionale sulle azioni di mitigazione adeguate da parte dei Paesi in via di sviluppo. Ciò significa anche maggiore chiarezza sui finanziamenti a lungo termine e rapidi finanziamenti start-up per dasre il via a Copenaghen ad un intervento urgente nei Paesi in via di sviluppo. Sento un enorme desiderio che questi negoziati abbiano successo. I leader mondiali del Nord e del Sud chiedono un risultato ambizioso e globale a Copenaghen. Ed i cittadini interessati di tutto il mondo stanno chiedendo un'azione più forte in materia di cambiamento climatico. L'arte del progresso sta nella creazione di fiducia e nel rafforzamento della cooperazione. Un esito positivo dio un accordo che amplifichi a l'azione oggi, fino al 2012 e oltre, sarà impossibile senza questo.
I Barcellona talks devono compiere progressi chiari e mettere in campo una solida base per un successo a Copenaghen. Ci sono solo cinque giorni per raggiungere questo obiettivo. Ci sono solo cinque giorni di tempo per impostare il tono per un successo. Ci sono solo cinque giorni per ridurre ulteriormente le opzioni e lavorare sui testi per Copenhagen. Ma io sono convinto che questo può essere fatto».
Fin qui il discorso ufficiale di Yvo de Boer pieno di ottimismo della volontà, che ha scelto di guardare al bicchiere (quasi) mezzo pieno, più preoccupata e concreta, e molto timorosa di un fallimento in casa propria, il ministro danese del clima e dell'energia Connie Hedegaard, che però prende atto con sollievo dei risultati del recente Consiglio europeo: «I ministri hanno promesso di indicare ai negoziatori di essere flessibili e costruttivi per raggiungere un risultato a Copenhagen. Trovare un accordo adesso non è facile. Ma non potrà esserlo l'anno prossimo o l'anno dopo»
Il quotidiano spagnolo El Paìs, pur sottolineando che fino a venerdi Barcellona sarà «l'epicentro del mondo per il cambiamento climatico», non sembra molto convinto che i Climate change talks di Barcellona riescano a cambiare qualcosa.
I quattro punti "minimi" evidenziati da de Boer per Copenhagen in un'intervista allo stesso El Paìs - obiettivi ambiziosi per le emissioni a medio termine nei Paesi sviluppati; limitazioni delle emissioni nei Paesi in via di sviluppo; sostegno economico dei Paesi industrializzati alle nazioni in via di sviluppo per combattere il global warming; chiarezza sulla gestione di tutto questo - secondo il giornale spagnolo devono fare i conti con una durissima realtà che due anni di negoziati hanno solo scalfito: «Il problema è che i quattro punti sono strettamente interconnessi e sono dipendenti da molteplici fattori. I Paesi in via di sviluppo richiedono tagli più ambiziosi rispetto ai Paesi ricchi. Mentre la Cina chiede di ridurre le loro emissioni di CO2 del 40% nel 2020 rispetto al 1990, gli Usa pensano di abbassarle solo del 7%, e il Giappone del 25%. L'Ue si è impegnata per il 30%, ma solo «Se c'è uno sforzo paragonabile» di Paesi come gli Stati Uniti. E questo non si saprà fino a che il Senato Usa non approverà la legge sul clima che i repubblicani cercano di ritardare. Intanto i finanziamenti restano in attesa, anche se l'Ue venerdì si è accordata sul fatto che i Paesi in via di sviluppo dovranno avere 100 miliardi di euro all'anno a partire dal 2020, ma non riesce anche a spiegare come sarà ripartito questo onere. Inoltre, nell'Ue i Paesi dell'Est cominciano a temere l'accordo».
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