La mezza marcia indietro di Obama e Hu Jintao, “A Copenhagen un’intesa operativa”
Stati Uniti e Cina tornano a rivendicare l’iniziativa sul clima. A Copenhagen sarebbe sul tavolo un accordo dagli effetti concreti, anche se l’ipotesi di un trattato appare del tutto segnata. E mentre la diplomazia internazionale prende in consegna il vertice di Copenhagen, si rinnova il rischio della politica degli annunci.
Il presidente americano Barack Obama e il suo omologo cinese Hu Jintao tornano con parole nuove sulla lotta al cambiamento climatico. Il loro impegno durante la Conferenza di Copenhagen, hanno dichiarato oggi, sarà mirato a un ampio accordo che possa “chiamare a raccolta il mondo” sulle problematiche del clima. Nelle parole del presidente americano, dovrebbe trattarsi di un’intesa dagli “effetti operativi immediati” e non di un semplice documento di indirizzo politico. La conferenza stampa, svoltasi al termine dell’incontro bilaterale di Pechino fra i due presidenti, non prevedeva domande da parte dei giornalisti, secondo il costume cinese. Al momento non è stato dunque possibile conoscere ulteriori dettagli sui previsti “effetti operativi immediati”.
La dichiarazione segue le polemiche suscitate soltanto due giorni fa dall’esplicita rinuncia da parte dei due leader di giungere, nell’ambito della Conferenza di Copenaghen, a un trattato post-Kyoto sulle emissioni di gas inquinanti. E proprio l’improponibilità di un trattato sembra rimanere uno dei pochi punti fermi del minuetto diplomatico che si sta consumando a tre settimane dall’inizio dei lavori di Copenhagen. Le frizioni interne nella politica americana sul clima, le distanze negoziali fra i numerosi attori internazionali della Conferenza e i tatticismi di alcuni paesi in via di sviluppo – Cina in testa – che chiedono all’Occidente impegni più stringenti, rendono del tutto improbabile che vi siano i tempi, anche tecnici, per giungere a un nuovo trattato globale sulle emissioni di CO2.
Diverse voci insistono sulla possibilità che un nuovo trattato venga presentato alla Conferenza di Bonn a metà 2010, o forse in un appuntamento ancora successivo a Città del Messico. A Copenhagen potrebbe dunque definirsi una “road map” per giungere a un vero accordo entro un anno. Un’ipotesi che assomiglia a una semplice dilazione, anche in considerazione del fatto che un nuovo trattato sarebbe stato previsto proprio per Copenhagen da una precedente road map, definita a Bali dalle Nazioni Unite nel vertice di fine 2007. E se da un lato gli scienziati ammoniscono sull’urgenza dell’azione contro il riscaldamento globale, i cui effetti si accumulano con rapidità superiore al previsto, dall’altro esiste un’esigenza pratica e burocratica nel fare presto.
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Sarkozy e Lula si sono incontrati alcuni giorni fa, sottolineando esplicitamente la loro intenzione di guidare la battaglia al cambiamento climatico
Il futuro trattato dovrà essere ratificato dai parlamenti dei paesi sottoscrittori, e non entrerà in vigore finché almeno il 55% di questi non avrà reinviato la propria adesione alle Nazioni Unite. Si calcola che, dal momento della sottoscrizione di un nuovo trattato alla sua entrata in vigore, potrebbero trascorrere circa due anni. Poiché il Protocollo di Kyoto scade nel 2012, si corre il rischio di un periodo di vuoto normativo sulle emissioni globali, in attesa che entri a regime un nuovo accordo.
Il destino di un futuro trattato e della Conferenza di Copenhagen sembrano, dunque, nelle mani della diplomazia. All’ondivago fronte cino-americano pare contrapporsi un’intesa tra Francia e Brasile. Sarkozy e Lula si sono incontrati alcuni giorni fa, sottolineando esplicitamente la loro intenzione di guidare la battaglia al cambiamento climatico, in sfida alle ritrosie delle due superpotenze del ‘G2’. Francia e Brasile hanno utilizzato parole forti e previsto alcuni impegni per il futuro, come quello di Lula di ridurre dell’80% la deforestazione dell’Amazzonia. Intanto, fra due giorni il presidente francese si riunirà con la cancelliera tedesca Merkel e il presidente danese Rasmussen, per definire una posizione comune dell’Europa rispetto alla Conferenza di Copenhagen e, s’immagina, rispondere alle recenti dichiarazioni di Cina e Stati Uniti. L’Europa potrebbe volersi ritagliare una rinnovata leadership in materia ambientale. Politica degli annunci permettendo.
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