Petrolio al 2030 e i dati "gonfiati" dalla Iea
Un nuovo studio svedese sulle riserve mondiali di greggio conferma i sospetti che i dati dell'International Energy Agency siano gonfiati. La stima Iea presupporrebbe ritmi di scoperta e sfruttamento oggi improbabili. Saranno 75 milioni e non 105 i milioni di barili al giorno disponibili al 2030: troppo poco per un mondo ancora dipendente dall'oro nero.
I governi europei devono aprire gli occhi e muoversi rapidamente per affrontare il problema della futura carenza di petrolio, ma soprattutto devono fare le proprie stime in maniera indipendente perché non ci si può fidare di quelle dell’International Energy Agency (Iea). Arriva da un nuovo report appena pubblicato dall’Università di Uppsala (vedi allegato) un nuovo colpo alla credibilità dei dati forniti dalla Iea, dopo la rivelazione fatta dal Guardian qualche giorno fa – secondo la quale l’agenzia mente consapevolmente sovrastimando la disponibilità di greggio (Qualenergia.it - “L’Iea mente sulle risorse petrolifere?”). Gli autori di "The Peak of the Oil Age", questo il titolo del report, sono molto chiari: la stima della quantità di petrolio disponibile al 2030 fatta dall’agenzia è irrealistica e il rapporto Iea non è che “un documento politico”, redatto per conto di paesi che hanno interesse a tenere i prezzi bassi.
Secondo il pool internazionale che ha redatto il nuovo studio, finanziato dall’Agenzia statale per l’energia della Svezia, la produzione di greggio possibile al 2030 non sarebbe di 105 milioni di barili al giorno come sostiene la Iea, ma di soli 75.
La stima dell’agenzia internazionale, si spiega, è poco coerente con quanto avvenuto finora: presuppone che nei prossimi anni si scoprano e si sfruttino nuovi giacimenti ad un ritmo mai visto, senza giustificare questo assunto. Considerando che gran parte dei giacimenti sono in paesi politicamente caldi e in siti di difficile accesso, il presupposto Iea, che da oggi al 2030 si scoprano e si riescano a sfruttare nuovi giacimenti a ritmi senza precedenti nella storia dell’estrazione, appare infondato. La produzione dunque non aumenterà abbastanza da soddisfare il reale fabbisogno così come ipotizzato, ma, secondo i ricercatori dell’Università di Uppsala, il picco (il momento di massima produzione cui segue un declino) lo stiamo probabilmente vivendo in questi anni.
Che il greggio sia probabilmente molto meno di quanto sostiene l’istituzione mondiale di riferimento - che pure negli ultimi anni ha rivisto nettamente al ribasso le sue stime (Qualenergia.it - “La cruda realtà dell’energia mondiale”) - d’altra parte, su queste pagine lo abbiamo messo in evidenza più volte.
A rimarcare l’improbabilità che la produzione di greggio possa crescere sui livelli indicati dalla Iea ricordiamo l’ultimo lavoro in cui si fa una sorta di analisi della letteratura esistente in materia, quello dell’UK Energy Research Center (Qualenergia.it - “Un petrolio sempre più scarso”). Vi si legge che circa due terzi della produzione attuale dovranno essere sostituiti da qui al 2030: occorrerebbe allora scoprire “ un’Arabia Saudita ogni 3 anni”. I sospetti sull’attendibilità dei dati Iea, nutriti da diversi studiosi e rilanciati dalle rivelazioni delle fonti anonime del Guardian interne all’agenzia, paiono tutto sommato confermati. Un problema di non poco conto, visto che stiamo parlando di un’istituzione che è un punto di riferimento in base al quale gli Stati decidono le proprie politiche energetiche.
“L’unica risorsa che si sta esaurendo più velocemente del petrolio – titola George Monbiot nel commentare le ultime notizie – è la credibilità di quelli che ne misurano la quantità”. Come ci si deve muovere? “Un piano d’emergenza per prevenire gli effetti del calo della produzione di petrolio, sostituendo parte delle risorse energetiche, – scrive Monbiot – secondo quanto indicato da uno studio del Dipartimento per l’energia Usa, richiederebbe almeno 20 anni per essere attuato. Ma è poco probabile che abbiamo a disposizione tutto questo tempo”
|