L'analisi: la riunione di Copenaghen e il cambiamento climatico
Allarme: Il tema del vertice di Copenaghen non è nuovo. Tuttavia, la gravità rivelata dagli ultimi dati sulle conseguenze del cambiamento climatico eccede i calcoli antecedenti. Secondo le stime ogni anno gli eventi climatici causano almeno 330 mila morti. La FAO stima che i cosi detti “ rifugiati climatici” arriveranno a circa 200 milioni di persone nel prossimo anno, e si calcola che l'umanità consuma un 30 % in più delle capacità di riproduzione delle risorse naturali che offre il pianeta. È inoltre dimostrato che il sistema capitalista è intrinsecamente incompatibile con la reversibilità del danno ambientale .Per questo è in gioco il futuro stesso dell'umanità.
Il 18 dicembre, a Copenaghen si chiudono le porte della lunga riunione sul cambiamento climatico, e con ogni probabilità si accerterà il fallimento di questo vertice che convoca i governi di 192 Paesi.
La gravità della situazione che si sta dibattendo non è nuova , e alcune messe a fuoco suggeriscono che questa sarà l'ultima opportunità per invocare un cambio di paradigma di civiltà, in particolare in materia di consumo e modelli di produzione in tutto il mondo.
Possono essere tanti gli esempi sul come il cambiamento del clima sta colpendo la vita nel mondo. Le nuove proiezioni superano quelle anteriori in materia di allarme e catastrofi. La situazione si aggrava di più se si tiene in considerazione che il consumo è iniquo: solo il 20% più ricco , generalmente residente nei paesi denominati del primo mondo, possiede l'82 % di ricchezza generata.
Danno collaterale: il cinismo concettuale
Una rapida revisione dei contenuti del discorso, le proclamazioni, gli accordi parziali e in generale della propaganda che si auto celebra come ambientalista, fa credere che tutti gli abitanti della terra siano i colpevoli della contaminazione e della distruzione della natura.
Come si può rendere responsabili solo alcune persone delle 2.500 milioni di persone che oggi sopravvivono nel mondo sotto la soglia della povertà, per le emissioni di gas contaminanti, la principale causa del riscaldamento globale?
E' un caso che il consumo globale energetico non sia proporzionale alla ricchezza di chi lo sostiene? Non sarà che le guerre e la produzione stessa di armamenti distruggano popoli e l'ambiente intero? Dovranno essere le popolazioni indifese e invase ad essere processate, quando sono loro le vittime del cinico concetto di danno collaterale? Perchè sono i paesi più ricchi, dove risiedono i padroni dell'economia globale, quelli che sono a capo della lista dei principali contaminatori? Che succederà se finalmente (cosa assolutamente improbabile, soprattutto dopo il fallimento dell'ultimo vertice FAO) i tanto rinomati programmi di eliminazione della povertà approvati dalle Nazioni Unite giungeranno a compimento? Che succederà con le risorse naturali e con l'ambiente se queste popolazioni accederanno all'acqua potabile , telefonia, trasporti pubblici, luce elettrica o all' educazione , alla salute ad un alimentazione e ad una vita dignitosa? Come estirpare questa povertà, pattuita nelle cosi dette “ Mete del Millennio”, senza che questo presupponga un ultimatum virtuale alla sopravvivenza della natura?
Da più di 150 anni dalla sua apparizione nella società, la teoria marxista rivela drammaticamente la sua esattezza e attualità sull'incompatibilità del sistema capitalista con lo sviluppo umano. Partendo da questa premessa, la sopravvivenza del pianeta e l'eliminazione della povertà sono direttamente proporzionali allo sradicamento delle forme di sfruttamento capitalista.
Non sarà arrivata l'ora di riaffermare chiaramente che per salvare il pianeta è necessaria una radicale trasformazione della struttura di classe a livello globale? Attualmente la lotta di classe, passa , alcune volte come mai in precedenza, ad incorporare la questione storica della salvaguardia dell'ambiente , che la classe borghese si impegna a saccheggiare, non per confusione o per disprezzo di indole etica o politica, ma come risultato oggettivo del modo di produzione che incarna. Fino a questo agitato secolo XXI, il confronto tra le classi sociali era solito dirimersi a favore di una di queste, generalmente quella che emergeva nel seno della formazione socioeconomica precedente , e sopra le ceneri di questa si illuminava l'avvenire di un sistema rivoluzionato , con nuove forme di sfruttamento, fino ad arrivare alla piena applicazione della legge del plusvalore, mentre parallelamente esistevano spazio geografico e le risorse naturali per una continua ad espansione e sfruttamento fino ai livelli globali attuali.
Ma ora i confini, ( dello sfruttamento delle risorse naturali) si stanno esaurendo : ciò che si deve fare ora è salvare la razza umana dalla sua estinzione, concetto così semplice da comprendere e così complesso da raggiungere. Oggi nessuno di sensato si oppone all'idea della necessità di salvaguardare la natura . Persino la BBC, che non può essere tacciata di agenzia del comunismo internazionale, rivela in un inchiesta del Servizio Mondiale, che solo L'11% delle 29 mila persone intervistate in 27 paesi considera che il capitalismo funzioni bene.
Il problema è come , quando e chi saranno i protagonisti della lotta contro questo sistema. Il come passa per l'ampliamento della massa cosciente, incluso laddove la lotta per la sopravvivenza è un problema quotidiano, non astratto nè futuro; il quando, non ci sono dubbi che sia ora, urgente e prioritario, e ad imporlo saranno tutte quelle forze politiche e sociali predisposte per ragioni di classe: “ quelli che non hanno niente da perdere, solo le loro catene”. La battaglia sulla coscienza degli uomini deve portare ad una più grande coscienza anticapitalista, partendo dall'ampio consenso che evidentemente esiste, spogliato dei discorsi strettamente ambientalisti, dei settori liberali e progressisti che tentano di far credere che grazie alle loro campagne i padroni del capitale abbandoneranno volontariamente la loro condotta da padroni, spreco e lusso e che si potrà sostenere la crescita infinita della produzione e del consumo.
È chiaro che non si può lasciare nessuno spazio a false soluzioni liberiste che dichiarano la crescita infinita delle risorse e l'idea di un capitalismo buono per sostenere ancora una volta la priorità del mercato.
América XXI, Año VII, No. 56-57, diciembre 2009 – enero 2010
http://alainet.org/active/34853〈=es
Traduzione di Fabiola Correale
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