Eleganza sostenibile: quando la moda si fa verde
“Verde” non è il colore che va di moda quest’anno, ma anche l’attenzione ai temi della sostenibilità comincia ad entrare nel mondo dell’abbigliamento e dello stile. Un universo che va dall’eco-chic delle passerelle dell’alta moda ai capi etnici equo-solidali, dall’abbigliamento di seconda mano alle creazioni realizzate con materiale completamente riciclato. Ma anche fibre biologiche e prodotti biodegradabili. Vestiti e accessori davvero speciali, che non comunicano solo stile e originalità, ma si fanno anche veicoli di valori come il rispetto della natura, la sostenibilità e il rifiuto della cultura consumistica e dello spreco.
Bello fare shopping. Un maglioncino nuovo, un paio di scarpe all’ultimo grido, quella sciarpa che proprio mancava alla collezione. Per non parlare della fantastica borsa vista nella vetrina della boutique o del cappotto perfetto per il prossimo inverno. E quello vecchio? Non va più, è superato, è di un colore decisamente “out”, anche se magari è stato indossato davvero poche volte. In media una trentina. È questo secondo una ricerca effettuata nel 2007 dal quotidiano inglese Observer il numero di volte che una donna britannica indossa un capo d’abbigliamento. Nello studio è emerso che negli ultimi dieci anni è raddoppiato il numero di vestiti acquistati, mentre negli anni Ottanta, prima di disfarsene, un capo veniva indossato in media 80 volte. La moda cambia rapidamente e i suoi prodotti raggiungono più rapidamente l’obsolescenza, e per adeguarsi allo stile del momento, accade che le persone comprino molti più vestiti di un tempo, talvolta anche a discapito della loro qualità: senza chiedersi in che modo sono stati prodotti, senza riflettere sul grado di sostenibilità di questo stile di vita o sullo spreco che spesso accompagna un frequente rinnovo del guardaroba.
In realtà oggi i modi per coniugare attenzione allo stile e sostenibilità sono tanti. Con un occhio all’etica e uno all’estetica, è possibile vestirsi bene, non solo nel senso della bellezza e dell’eleganza ma anche della qualità dei tessuti, dei materiali, del rispetto dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori. Senza contare che chi si avventura nel mondo della moda “verde” può rimanere stupito dalle infinite possibilità offerte dal riciclo e dal recupero, dalle opportunità offerte dai materiali più disparati, dall’originalità delle creazioni, dalla qualità dei tessuti biologici e naturali. E così fare shopping diventa un momento non solo di spensieratezza ma di scelta consapevole. Se non addirittura un antidoto ad un modello culturale che macina tendenze ed esercita un “pressing” comportamentale sugli individui all’insegna del conformismo e del consumismo.
Se anche il mondo della moda è stato contagiato dalla nuova coscienza ecosostenibile, perché non fare, viceversa, dell’abbigliamento e degli accessori eco-sostenibili una vera e propria moda? Ad una condizione: che la scelta di vestirsi “responsabile” vada di pari passo con uno stile di vita attento ai consumi e all’impatto ambientale delle scelte che si fanno ogni giorno.
Si è ormai imposta una corrente “eco-chic” nel mondo del glamour e della tendenza. Nella speranza che questo, al contrario di ciò che accade con altri, sia un trend che duri il più a lungo possibile.
Del resto già più di dieci anni fa una delle firme più famose, Armani, aveva lanciato la propria linea ecologica, con jeans realizzati utilizzando capi vecchi, giacche e gonne in canapa coltivata senza pesticidi e diserbanti. Ma Armani non è l’unico promotore dell’ecologico, la moda naturale è stata spesso protagonista delle passerelle di Milano, New York e Parigi. Recentemente, anche la stilista inglese Stella McCartney, figlia dell’ex Beatles Paul, ha dato una svolta ecologica alle sue creazioni. Da sempre attivista per i diritti degli animali e per la salvaguardia dell’ambiente, ha lanciato lo scorso inverno la sua prima collezione a impatto zero, dai materiali alternativi e rispettosi dell’ambiente, stile e colori ispirati alla natura.
Ma per farsi un’idea di tutto quello che il mercato della moda ecologica può offrire, un’opportunità la dà una visita a Greentouch, il sito web dedicato alla sostenibilità a 360 gradi, la ricetta per dare quel “tocco verde” di cui forse solo le nuove generazioni possono poi fare tesoro: novità, arredamento, benessere, cibo, viaggi e perfino matrimoni. Con una finestra aperta proprio sul settore “moda e accessori”. La sezione offre una carrellata completa su articoli e capi realizzati “secondo natura”. L’originalità la fa da padrona: dagli stivali in eco-pelliccia alle scarpe da ginnastica realizzate riciclando la stoffa dei vecchi jeans. Bikini prodotti con cotone biologico, bambù, soia ed altre fibre naturali, confezionati in packaging assolutamente biodegradabili. Uniscono riciclaggio e solidarietà invece le borse Basura, ricavate dalla spazzatura raccolta dalle strade dell'Honduras. I ricavi delle vendite servono ad aiutare le famiglie in difficoltà dell'Honduras e ad assicurare un'istruzione ai bambini. Completamente biodegradabili sono le cinture di plastica Tie-Ups, marchio che realizza anche una gamma di cinturini colorati per orologi in plastica riciclabile al 100%, anallergica e idrorepellente, senza derivati da pelli animali e senza nessuna parte metallica.
La creatività è un ingrediente fondamentale nel mondo della moda eco-sostenibile. Lo dimostra Momaboma, il marchio delle borse che sembrano “fatte con i giornali”. Ideate, progettate e interamente realizzate a San Lazzaro di Savena, alle porte di Bologna, questi modelli unici di borse vengono realizzati a mano interamente con materiali di recupero e riproducono modelli celebri sdrammatizzandoli. Per esempio, il 90% dei materiali utilizzati è rappresentato da “reclame” di vecchie riviste, recuperate dalle cantine da mercatini e da collezionisti sparsi in tutta Italia.
E le esperienze in giro per l'Italia si moltiplicano: a marzo 2010 esordirà sul mercato la nuova linea moda ecosostenibile Kin 2012 della Maxam srl di Jesi. Si tratta di un nuovo marchio "verde" che contraddistinguerà una linea di calzature e abbigliamento creati da un’azienda la cui filosofia è quella di operare "a impatto zero" a 360 gradi, quindi per quanto riguarda i prodotti e il packaging, ma anche la gestione operativa e la logistica.
Oggi accanto alle fibre naturali lana, cotone, canapa, seta e lino sono molto diffuse per la produzione di abbigliamento le fibre artificiali, ottenute sottoponendo a trattamenti chimici materie di origine naturale, o quelle sintetiche, derivate da sottoprodotti del petrolio. Un successo dovuto al loro minor costo, praticità e maggiore versatilità d’impiego. Al momento dell’acquisto di questi capi però bisognerebbe anche considerare che per produrli è necessario un notevole consumo energetico dovuto all’uso del petrolio, oltre a valutare la scarsa capacità traspirante e il pericolo di reazioni allergiche.
Altri rischi sono quelli derivanti dall’utilizzo di sostanze nocive usate nella tintura e nei trattamenti protettivi cui vengono sottoposti tessuti e capi d’abbigliamento. Questo però è un problema che riguarda anche le fibre naturali. Secondo Icea, l’Istituto di certificazione etica e ambientale che garantisce anche il bio-tessile, sul cotone convenzionale viene versato il 25% degli insetticidi impiegati nel mondo. Non solo. Il cotone Ogm rappresenta oggi il 35% delle coltivazioni di cotone mondiali, mentre, nelle fasi di lavorazione industriale, vengono impiegate sostanze chimiche che possono rappresentare seri rischi per l’ambiente e la salute dei lavoratori, oltre a causare disturbi sulla salute di chi indossa i capi così prodotti, come sempre più frequenti dermatiti allergiche da contatto. In generale, secondo molti dermatologi, sono in aumento i fenomeni di allergia e di intolleranza da contatto con i tessuti. Dalla produzione del filo alla composizione dei materiali, intervengono trattamenti con coloranti, appretti, conservanti, prodotti antitarme che possono causare problemi alla salute.
Un’alternativa è dunque il cotone biologico ed etico.
H&M, il colosso svedese della moda a piccoli prezzi, ha lanciato nel 2007 una linea di abbigliamento in bio-cotone, coltivato senza l'uso di pesticidi nocivi né fertilizzanti sintetici. L’obiettivo della multinazionale è anche quello di incoraggiare i coltivatori di cotone a convertire le loro produzioni in coltivazioni biologiche. H&M ha continuato ad aumentare la produzione in cotone biologico e ora l’obiettivo è arrivare ad una produzione del 50%. Ma nella collezione ci sono anche vestiti ottenuti da poliestere riciclato da bottiglie in Pet, da residuati tessili di lana o di cotone riciclato.
Ha scelto il cotone biologico anche la fashion designer Sheila Salvato per la borse e presto anche per le magliette della sua linea Petite Mademoiselle, una collezione di abbigliamento e accessori per ragazze incentrata su stampe dai disegni semplici e romantici.
Tra le fibre più utilizzate da chi ama l’abbigliamento naturale c’è anche la canapa, coltura ecologica che non richiede pesticidi o erbicidi e rende fertili i terreni. Tessuto che sembrava ormai estinto, la sua reintroduzione è fortemente voluto dal Consorzio CanapaItalia di Ferrara. Proprio il Ferrarese in passato era l'area di maggiore e migliore produzione di canapa in Italia, con ben 35mila ettari di terreno dedicati a questa coltura. Con la canapa si possono confezionare jeans, maglie, camice, scarpe, borse e accessori. Ad esempio quelli prodotti dalla modenese Simint (una delle aziende di CanapaItalia) per la Armani Jeans.
Canapa, lino e cotone organico sono alcuni dei materiali utilizzati dal Raggio Verde, realtà di Rubiera specializzata in prodotti ecologici per la scuola la casa e l’ufficio, ricavati da materie prime naturali e dal riutilizzo di materiali di alta qualità, con un occhio anche al design, sempre originale e ricercato. I prodotti tessili del Raggio Verde sono garantiti dal marchio Organic Fibre Made in Italy with Love e comprendono ad esempio l’ecobavaglino in cotone organico o in spugna di canapa, le ecomaglie in canapa stampata contenute in shopper di fibra naturale e quelle in cotone organico personalizzabili con serigrafie ecologiche. Anche le confezioni sono sostenibili, come le scatole realizzate in cartone riciclato.
Vestire sostenibile non significa solo avere a cuore l’ambiente ma pensare anche ai diritti dei lavoratori che hanno prodotto quei capi, assicurandosi che siano stati pagati in modo equo per il loro lavoro e che non sia stato sfruttato il lavoro minorile, specialmente quando la produzione avviene dei paesi in via di sviluppo, dove è disponibile manodopera a basso costo. Per questo Coop ha lanciato una linea tessile equo.solidale: si chiama “Solidal Coop” ed è costituita da diversi articoli d’abbigliamento provenienti dal Sud del mondo: polo, T-shirt, jeans, camicie, tutti realizzati secondo le regole che caratterizzano il Fair Trade. Le polo arrivano dall’India Centrale e sono al centro del progetto bioRe, che garantisce alle industrie tessili locali e ai piccoli coltivatori di cotone della filiera produttiva, condizioni di lavoro dignitose e contratti poliennali. Le coltivazioni di cotone si basano sui metodi dell’agricoltura biologica e i contadini dopo cinque anni possono diventare azionisti della società che acquista il cotone. Per ogni capo, Coop versa un contributo aggiuntivo del 2% sul prezzo, quota che serve ad alimentare il fondo sociale per la comunità dove viene confezionato, destinato a una scuola per la formazione professionale, infrastrutture di servizi, pozzi, impianti per irrigazione; centri di assistenza sanitaria. I pantaloni sono prodotti in cotone Fairtrade che proviene dalle cooperative agricole dell’Africa occidentale (Cameroun, Sénégal, Mali e Burkina Faso).
Per saperne di più sul cotone biologico certificato Fairtrade, marchio di garanzia del commercio equo e solidale, sul canale You Tube di Ermes Ambiente sono a disposizione tre video (Fairtrade People 2009) che raccontano come nascono i prodotti equo-solidali, quali sono i progetti alla base della loro produzione neI paesi in via di sviluppo e le iniziative sostenute dal commercio Fairtrade, attraverso le storie dei protagonisti. Uno dei tre documentari è dedicato proprio alla produzione del cotone biologico in Burkina Faso, uno dei paesi più poveri dell’Africa, dove le coltivazioni di questa fibra rappresentano di frequente l’unica forma di sostentamento. Qui sempre più spesso i produttori locali decidono di unirsi in cooperative per coltivare cotone senza l’uso di pesticidi né fertilizzanti. Il circuito Faitrade assicura loro non solo di essere pagati il giusto prezzo ma anche il finanziamento di progetti sociali nei villaggi, nel campo dell’istruzione, dello sviluppo sostenibile e per la realizzazione di infrastrutture.
Riuso e riciclo, ancora una volta sono le parole magiche, contro lo spreco, il consumismo sfrenato. Attività, però, che stimolano la nascita delle idee più originali. Pietra Pistoletto, fashion designer, crea gonne e top con i calzettoni usati, borse con i pantaloni di seconda mano, e ha addirittura trasformato in quadro i rimasugli dei fili usati per cucire una serie di indumenti. Il suo principio è “non si butta via niente”. Perfino i gioielli sono ricavati dai rocchetti delle tende e dal ciarpame che le aziende buttano. Le sue creazioni sono opere che finiscono in mostra anche in Giappone.
Ormai celebri sono invece le borse sportive Freitag, ricavate da teloni di autocarri, cinture di sicurezza delle automobili e camere d’aria delle biciclette. In meno di un anno l’azienda di Zurigo nata nel 1993, trasforma oltre 100 tonnellate di teloni in borse. Il risultato è un accessorio funzionale, impermeabile e resistente, ideale per spostarsi in bici e mantenere all’asciutto il contenuto, anche sotto la pioggia.
Una buona abitudine è quella di consegnare ad esempio alla Caritas gli abiti che non si usano più. Oppure alle aziende di abbigliamento stesse. È stata la Patagonia, azienda americana che produce abbigliamento per la montagna, la prima a permettere ai clienti di lasciare nei suoi negozi al dettaglio i capi usati, al fine di riciclare il materiale per produrre nuovi indumenti. Anche alcuni marchi svedesi di vestiti per bambini, rilanciano ora la moda del riciclo e dello scambio. La Polarn Och Pyret tre anni fa ha deciso di permettere ai loro clienti di usare il proprio sito internet per rivendere gratuitamente gli abiti usati. La Boomerang offrirà un servizio di riciclo abiti usati, e chi porta i propri abiti usati presso i loro negozi ha uno sconto sui successivi acquisti. Gli abiti usati vengono poi lavati e rivenduti.
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