Gaza, Auschwitz, migranti: l’abominio non ha età
Ieri le navi cariche di ebrei in cerca di scampo dall’Europa antisemita, oggi i barconi dei migranti africani disperati e ricacciati in Libia. Non esiste il monopolio storico del dolore: l’attualità ripropone orrori abominevoli, che sarebbe ipocrita non riconoscere, ad esempio negando le tragiche similitudini tra il recente genocidio di Gaza e lo sterminio nazista degli ebrei. Lo afferma Moni Ovadia, commentando su “L’Unità” il botta e riposta a distanza tra il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, e Giorgio Israel, giornalista e storico della scienza.
Inaugurando il primo appuntamento pubblico per la creazione del futuro Museo della Shoah di Roma, Di Segni ha paragonato le attuali sofferenze dei migranti africani (in fuga da guerre e persecuzioni) a quelle degli ebrei che, per sfuggire al nazismo, cercarono scampio via mare. «Prima della Shoah c’era una nave piena di ebrei, la St. Louis, partita dalla Germania, che cercò aiuto a Cuba, poi a New York, ma nessuno concesse asilo ai passeggeri e fu costretta a tornare in Europa». Il carico di quei poveri esseri umani, continua il racconto di Di Segni, tornò ad Anversa, poco prima dell’occupazione nazista: e tutte quelle persone finirono nei lager. «La Shoah è unica, ma - avverte il rabbino capo di Roma - ci sono tanti segmenti di quella storia che si possono ripetere, e di fronte ai quali non possiamo restare indifferenti».
Sulla newletter dell’Ucei, l’Unione delle comunità ebraiche italiane, l’indomani (12 maggio) è comparsa la sdegnata reazione di Giorgio Israel: «Se diciamo che i barconi di immigrati respinti dal governo italiano sono come la nave St. Louis, non bisognerà lamentarsi quando qualcuno dirà che Gaza è come Auschwitz. I due paragoni – continua Israel – hanno lo stesso grado di fondatezza, cioè zero. Ed entrambi contribuiscono allo stesso modo alla banalizzazione della Shoah».
Il confronto di queste due posizioni, di fronte al fenomeno della tragedia di esseri umani «resi numeri» e «criminalizzati dalla definizione di clandestino», commenta Moni Ovadia, scherandosi con Di Segni, «è sconcertante». Il rabbino capo di Roma, pur rivendicando giustamente l’unicità storica della Shoah, aggiunge Ovadia, «sollecita il valore esemplare di quella immane sofferenza per esprimere solidarietà verso altre sofferenze», mentre il professor Israel e altri come lui, ebrei e non, «sacrificano al loro fondamentalismo filo-israeliano ogni pur minimo e parziale apparentamento tra le sofferenze dei perseguitati».
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