Nella
proposta originale di Obama gli Usa avrebbero dovuto mettere in piedi un sistema "cap and trade" con tutti i permessi ad emettere venduti all’asta. Secondo alcune prevision, i proventi della vendita dal 2012 al 2019 sarebbero arrivati
fino a 1.900 miliardi di dollari. Nella versione del Clean Energy Act, approvata alla Camera, il sistema cap and trade è poi stato ammorbidito, prevedendo che l’85% dei permessi fosse assegnato gratuitamente e solo il restante 15% messo all’asta.
Anche questa versione soft del Climate Bill, come sappiamo, è però lungi dall’avere la strada spianata.
Bloccata al Senato, deve scontrarsi con la contrarietà non solo dei repubblicani ma anche di parte dei senatori democratici. E la recente elezione di un nuovo senatore repubblicano per il Massachussets non migliora sicuramente le cose. Tanto che -
riporta il Wall Street Journal – Obama avrebbe iniziato a intravedere la possibilità di
dividere l’American Clean Energy and Securities Act. L'obiettivo è fare approvare almeno la parte su cui c’è più consenso, rinunciando così per ora al controverso sistema cap and trade.
Le politiche necessarie affinché gli Usa raggiungano il timido obiettivo di riduzione della CO2 annunciato a Copenhagen (taglio del 17% al 2020 rispetto al 2005, ossia 3-4% rispetto al 1990) sembrano dunque sempre più difficili da realizzare. Ma
la spinta verde dell’amministrazione Obama, frustrata dallo scontro col Congresso, riemerge ancora qua e là nel budget 2011 pubblicato lunedì.
C’è, ad esempio, l’intenzione di ridurre l’enorme flusso di denaro pubblico che va a sovvenzionare le fonti fossili, circa 70 miliardi di dollari all’anno (cui andrebbero aggiunti molti altri finanziamenti indiretti, come quelli per le spese militari). Il budget propone infatti di
tagliare 36,5 miliardi di sgravi fiscali in favore dell’industria del petrolio e 2,3 per quella del carbone. Una proposta che, prima di diventare realtà, dovrà confrontarsi con il Congresso e la cui approvazione sarà tutt’altro che semplice. Come
segnala il New York Times mai nella storia l’industria delle fonti fossili ha speso tanto in azioni di lobbying come durante questa legislatura.
Nel budget resta poi il forte sostegno economico alla
ricerca, aumentato nel complesso del 5,6% rispetto all’anno scorso. In particolare il programma per l’efficienza energetica del Dipartimento per l’energia (Doe) vede le sue disponibilità passare da 113 milioni a 2,4 miliardi. Ancora robusta la spinta alle
fonti pulite: si prevede un finanziamento a fondo perduto di 500 milioni di dollari come garanzia per prestiti dai 3 ai 5 miliardi di dollari per rinnovabili ed efficienza energetica.
In questo documento eocnomico, a differenza di quello passato, si parla poi anche di favorire la costruzione di nuove
centrali nucleari. Per l’atomo non è prevista una spesa diretta, come i 500 milioni per le fonti pulite, ma la creazione di un fondo di garanzia (di 54,5 miliardi di dollari), indispensabile per far sì che i progetti nucleari si smuovano, ma con il rischio di esporre a un certo rischio le finanze pubbliche.
In conclusione va detto che se la spinta verde resiste, l’ammorbidimento verso le posizioni repubblicane rispetto all’anno scorso è diventata particolarmente evidente.