Diffidare di chi usa il mattone della vita
È ovvio che la CO2 è un mattone della vita, ma nonostante questo può dare problemi al clima. Chi usa nel dibattito sul clima l’argomento del “mattone della vita”, spesso incorre in altri errori. Non fa eccezione una recente intervista al Colonnello Malaspina.
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Quando sento citare, nel dibattito sui cambiamenti climatici, l’argomento che “la CO2 è un mattone della vita”, è come se suonasse un campanello d’allarme: ho imparato che è probabile che seguiranno sorprese, altri argomenti molto deboli, spesso palesemente sbagliati.
Insomma, dovrebbe essere una cosa scontata che la CO2 è un mattone della vita, che la fotosintesi ci serve parecchio. Si studia alle scuole elementari, è così noto e incontestato che non ha senso ripeterlo. C’è anche il rischio di essere associati ad un famoso comico che usava la risposta “fotosintesi clorofilliana” come risposta jolly per tutte le occasioni.
In un dibattito sulla protezione dalle alluvioni o sugli annegamenti estivi, chi tirasse fuori l’argomento che “l’acqua è un mattone della vita”, verrebbe guardato con sconcerto.
Il fatto, ovvio, è che sia la CO2 che l’acqua sono sì mattoni della vita, ma possono dare altri problemi. Chiedetelo agli alluvionati o ai quasi annegati.
“You call it pollution, we call it life” è stato per tanto tempo uno slogan dell’Exxon Mobil e di altre lobby negazioniste statunitensi.
È quindi di un argomento retorico, un slogan utile quando non si hanno argomenti più solidi.
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È questo il caso delle argomentazioni usate dal Colonnello Fabio Malaspina nell’intervista a Riccardo Cascioli pubblicata su Avvenire del 13/12/2009.
“Processo alla CO2? Non scherziamo, l’anidride carbonica è uno dei mattoni della vita, è grazie alla CO2 che c’è il processo di fotosintesi che permette alla vegetazione di crescere”.
Come prevedibile, anche Malspina infila nell’articolo una serie di imprecisioni o di infortuni.
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Secondo Malaspina, le concentrazioni di CO2 sono “le più alte degli ultimi secoli”. Questo non è sbagliato, ma è almeno reticente. Le attuali concentrazioni di CO2 sono sicuramente le più alte degli ultimi 800.000 anni, ossia da ben prima dell’esistenza dell’Homo Sapiens. Come hanno mostrato gli ultimi importanti lavori scientifici, molto probabilmente i livelli attuali sono superiori a quelli degli ultimi 5 milioni di anni, ossia prima che comparissero sul pianeta le prime scimmie antropomorfe. Fra “ultimi secoli” e “5 milioni di anni” la differenza non è piccola.
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Prosegue Malapsina: “La temperatura globale del medioevo è stata più calda dell’attuale per il nostro pianeta”: questa affermazione non trova fondamento nella letteratura scientifica, in cui invece si trovano numerosi lavori che mostrano il contrario, ossia che le attuali temperature sono le più alte degli ultimi 2000 anni (si veda qui, qui o qui).
L’argomento delle temperature medioevali, tanto superato in campo scientifico quanto ricorrente al di fuori, è comunque irrilevante per diminuire la preoccupazione per l’attuale riscaldamento. Anzi, se i dati del passato testimoniassero una maggiore variabilità naturale delle temperature, questo starebbe ad indicare una maggiore sensitività climatica, ossia una maggiore risposta del sistema climatico alle forzanti. E quindi farebbe preoccupare di più per i possibili aumenti di temperatura del futuro.
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Malspina incorre in altre imprecisioni laddove sostiene che la CO2 attualmente è intorno allo 0,035 % e prima dell’industrializzazione - nel 1750- era circa lo 0,03 %. Detta così sembra un aumento dello 0,005 %, ossia 50 ppm. Invece, l’aumento dal periodo industriale (280 ppm) ai livelli attuali (oltre 387 ppm) è di più di 100 ppm, ossia più del doppio di quanto indicato.
Secondo Malaspina, la CO2 ha un impatto sul sistema climatico (giusto!) …come lo può avere ogni azione umana (sbagliato). Eh no, non è vero che ogni attività umana influenza il clima: molte altre non lo fanno. Tanto che un argomento negazionista molto usato è che l’uomo è troppo piccolo per modificare il clima del pianeta.
Malaspina cita la teoria di Ruddiman, secondo cui i nostri antenati agricoltori, primi responsabili dell’emissione di gas serra in atmosfera con le prime attività agricole, abbiano portato a significative modifiche al clima del Pianeta. La teoria di Ruddiman (basate su simulazioni condotte con un modello climatico, per giunta di 6 anni fa, di quelli tanto detestati dai negazionisti perché in grado di indicare gli effetti pericolosi del riscaldamento globale) è oggi poco considerata dagli esperti della materia, essendo stata confutata dal gruppo di Thomas Stocker. Con elevata probabilità l’uomo non ha influenzato il clima in quell’epoca. In un convegno della scorsa estate in Austria, dove c’erano tutti i protagonisti della discussione, si è visto che anche lo stesso Rudimann si e’ ormai quasi rassegnato.
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Gli errori più gravi arrivano nel finale, nell’ultima risposta. Il Colonnello sembra mettere in discussione il contributo umano sulle emissioni in atmosfera e all’aumento della CO2 (risponde “No” alla domanda se sia possibile “almeno quantificare il contributo umano alle emissioni sul totale o alla concentrazione di CO2 nell’atmosfera”) dimostrando almeno poca fiducia negli inventari delle emissioni e di non considerare gli studi che hanno mostrato con tecniche isotopiche l’origine fossile dell’aumento di CO2.
Subito dopo, Malaspina sostiene che “La crisi economica ha infatti provocato una riduzione del 3% delle emissioni antropiche. Al momento la concentrazione di CO2 in atmosfera continua a crescere. e ciò viene spiegato con l’effetto trascinamento del sistema. Ma nei prossimi anni dovremo valutare l’effetto reale delle emissioni antropiche sulla concentrazione di CO2”.
La riduzione delle emissioni del 3%, è una proiezione effettuata dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (proiezione che, insolitamente, viene data per già realizzata, senza alcuna incertezza), ma riguarda le sole emissioni da attività energetiche, che sono una quota importante ma non tutte le emissioni di gas serra. Se si legge il rapporto si capisce molto bene che per l’IEA si tratta di una riduzione temporanea, legata alla crisi economica, e che secondo l’EEA il mondo è ancora molto lontano dal raggiungere il picco delle emissioni di gas serra (notare che l’IEA nello stesso raporto scrive: “The message is simple and stark: if the world continues on the basis of today’s energy and climate policies, the consequences of climate change will be severe.”).
Il fatto è che subito dopo aver citato la riduzione del 3% delle emissioni, il discorso sembra adombrare la possibilità che la CO2, a seguito di questa riduzione del 3%, non debba più crescere (e che quindi cresca per un “effetto di trascinamento”), e che ci siano dubbi sul futuro aumento della CO2 nell’atmosfera (dovremo valutare l’effetto reale delle emissioni antropiche…).
Su questo c’è poco da valutare: nei prossimi anni la CO2 salirà di sicuro. Anche se ci fosse una riduzione (del 3% o anche del 10 %), lo sbilanciamento fra emissioni e rimozioni di CO2 è talmente grande che la CO2 continuerà a crescere. Per arrestare l’aumento della CO2 è necessario emettere solo quanto la biosfera e gli oceani sono in gradi di rimuovere. Ad esempio, per stabilizzare la CO2 ad un livello di 450 ppm servirebbe nel 2050 una riduzione delle emissioni fra il 50 e l’85 % (rispetto ai livelli del 2000). E sono queste riduzioni l’obiettivo, ambizioso, delle politiche climatiche tutt’ora in discussione.
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Testo di Stefano Caserini, con un contributo di Paolo Gabrielli.
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