Il biologico risparmia energia
Uno studio condotto dalle Università di Pisa e Firenze evidenzia che il bilancio energetico tra agricoltura tradizionale e agricoltura biologica avvantaggia quest’ultima, la quale in particolare fa molto meno ricorso ai carburanti fossili. Di contro, però, la sua produttività risulta inferiore.
Da ormai nove anni è in corso al centro di ricerca “Enrico Avanzi” dell’Università di Pisa (in collaborazione con l’Ateneo fiorentino) una sperimentazione che mette a confronto il sistema di coltivazione tradizionale (ossia intensivo) e quello biologico, per valutare il consumo energetico che essi comportano.
Sono stati dedicati al progetto 24 ettari di terreno, 12 per ciascuno dei due tipi di agricoltura. Le specie coltivate sono grano duro e grano tenero, mais, favino e girasole.
Ciò che i ricercatori sono andati a tracciare è un vero e proprio bilancio energetico delle differenti colture, ossia hanno preso in considerazione ogni tipo di apporto energetico necessario ad arrivare dal seme alla materia prima alimentare. Sono inclusi nel computo, ad esempio, il carburante utilizzato dai macchinari che arano i campi come anche l’energia spesa per produrre le sostanze diserbanti, i concimi e gli antiparassitari.
L’analisi ha condotto alla conclusione che la coltivazione tradizionale comporta un consumo energetico di gran lunga superiore a quello necessario all’agricoltura biologica.
“Considerando le sole energie da carburanti fossili”, dichiara Marco Mazzoncini, neodirettore del Centro Avanzi di Pisa, “per le coltivazioni tradizionali servono circa 21.000 MJ (megajoule) per ettaro all’anno, mentre nel caso del biologico ne occorrono solo 12.000, con un risparmio di circa il 50% di energia immessa nel sistema”.
Il consumo largamente superiore da parte delle colture tradizionali deriva proprio dall’uso massiccio di sostanze chimiche. In termini di prodotti per concimare il terreno e difendere il raccolto dai parassiti, l’agricoltura convenzionale utilizza il corrispondente di 14.103 MJ all’anno per ettaro, mentre nel biologico si registra un consumo di solo 5.279 MJ: quest’ultimo, dunque, risparmia il 60%.
Il consumo largamente superiore da parte delle colture tradizionali deriva dall’uso massiccio di sostanze chimiche.La differenza si riscontra anche nell’ambito dell’energia impiegata per l’uso dei macchinari, ma in questo caso (come intuibile) essa è molto meno significativa: l’agricoltura biologica necessita 6.625MJ all’anno per ettaro contro i 7.004MJ di quella convenzionale.
In definitiva la pratica della coltura biologica permette di risparmiare molto in energia impiegata per “trasformare” il seme in cibo. Questa valutazione riguarda però i soli flussi in entrata, vale a dire l’energia immessa nel sistema. Per effettuare un bilancio (che è quanto i ricercatori pisani intendevano svolgere) occorre prendere in considerazione anche i flussi di uscita, cioè quanta energia il sistema è in grado di fornire all’esterno.
Quello appena espresso appare un concetto astratto, ma in termini pratici il flusso d’uscita indica il potenziale nutritivo del prodotto finale. Il grano e il mais coltivati saranno utilizzati dall’organismo di coloro che se ne ciberanno per produrre energia, necessaria alla propria sopravvivenza e al movimento.
Questa energia è valutabile e misurabile (in MJ), esattamente come fatto per quella in ingresso al sistema (del resto sulle etichette degli alimenti è riportata l’energia di quest’ultimi in chilocalorie e in joule, appunto).
Sul piano delle uscite purtroppo l’agricoltura biologica perde punti e viene scavalcata da quella convenzionale, la quale è in grado di fornire 153.730 MJ annui per ettaro di terreno coltivato, contro i 126.512 MJ del biologico. Si tratta di circa un 20% di differenza a favore del sistema classico.
Guardando le percentuali, il bilancio resta comunque positivo per l’agricoltura biologica, ma certamente non abbastanza vantaggioso come ci si augurerebbe. Se, quindi, si convertissero al sistema biologico tutte le colture mondiali, si otterrebbe un grandissimo risparmio di energie da combustibili fossili, ma si riscontrerebbe anche una produzione minore.
Secondo gli ultimi dati forniti dalla FAO gli affamati nel mondo sono cresciuti del 9% nel 2009, raggiungendo la vetta di 1,02 miliardi.Resta comunque che il biologico fa un uso dell’energia estremamente efficiente, ossia con sprechi molto limitati. Quest’ultimo infatti produce un po’ più di 1kg di alimento con 1MJ di energia, mentre nell’agricoltura convenzionale si hanno in media solo 0.3kg: l’indice di produttività è dunque quasi quattro volte superiore.
Qual è dunque la conclusione? In realtà non ce n’è una definitiva: “Si hanno due estremi”, sottolinea Mazzoncini, “da un lato l’agricoltura intensiva, dall’altro quella biologica. Pensare che l’adozione dell’uno o dell’altro sistema possa risolvere il problema della fame nel mondo è un’illusione”.
Secondo gli ultimi dati forniti dalla FAO gli affamati nel mondo sono cresciuti del 9% nel 2009, raggiungendo la vetta di 1,02 miliardi, il valore più alto registrato dal 1970.
“La questione è complessa”, conclude il neodirettore del Centro Avanzi, “forse ciò di cui abbiamo bisogno è un cambio radicale di paradigma che, a partire dall’agricoltura, coinvolga il sistema distributivo e l’intera filiera produttiva”.
La pratica dell’agricoltura biologica è dunque solo uno spicchio di un sistema di produzione, distribuzione e consumo che va totalmente ripensato e organizzato in termini più efficienti. In alcuni casi, del resto, la povertà e la fame sono prodotte dal sistema economico attuale, che pone i carburanti fossili al centro di scontri politici nonché armati.
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