Cardini: guerra vicina, l’unica bomba dell’Iran è l’euro
Una dittatura che si regge su brogli elettorali, che minaccia Israele, che si sta fabbricando l’atomica e quindi sta per essere isolata dal resto del mondo? «Calunnie, falsità totali». L’insigne medievista Franco Cardini non ha dubbi: sull’Iran sta per concentrarsi la stessa tempesta che travolse l’Iraq. Innescata dal medesimo copione basato su identiche premesse: disinformazione e menzogne. Perché a far tremare gli Usa non è l’improbabile atomica degli ayatollah, ma il nuovo “cartello” petrolifero del Golfo, basato non più sul dollaro ma sull’euro: «E’ quella l’unica vera bomba nucleare iraniana».
«Qualcosa di molto grave si sta profilando in Occidente: qualcosa che forse minaccia il mondo», scrive Cardini su “Diorama”, la rivista di critica politica fondata da Marco Tarchi. Scenario già visto: tra 2002 e 2003, Usa e Gran Bretagna «inscenarono una pietosa e vergognosa commedia cercando di far credere al mondo che l’Iraq di Saddam Hussein fosse in possesso di pericolose armi segrete di distruzione di massa». Chi poteva assumere informazioni sapeva che «si trattava di una colossale e infame menzogna». Ma i media e i politici insistevano a seguire il sentiero tracciato «dal sinistro signor Bush». Risultato: una guerra e un’occupazione che perdura «e dalla quale gli stessi italiani non sanno come uscire».
Secondo Cardini, «sette anni dopo, siamo alle solite: analogo scenario, analoghe sfrontate bugie». Vittima designata ora è l’Iran. Cardini si augura che il coro dei media non preluda alla stessa “soluzione finale”. Contro un regime, quello degli ayatollah, che «non rispetta alcuni diritti della persona» (come del resto gli Usa a Guantanamo), ma che non è certo «un regime totalitario», bensì «un sistema assembleare per certi versi paragonabile a una repubblica protosovietica controllata da un “senato” di teologi-giuristi».
Nata da uno strappo violento «che ha sottratto trent’anni fa agli Usa il suo più sicuro e fedele alleato-subordinato e che ha fatto tabula rasa d’importanti interessi petroliferi occidentali», osserva Cardini, la repubblica islamica dell’Iran «è strutturalmente avversaria della superpotenza americana: dal momento che essa individua in Israele il principale supporto della politica statunitense nel Vicino Oriente, essa avversa radicalmente anche quest’ultimo». Malgrado ciò, i media insistono con quattro capi d’accusa: Ahmadinejad avrebbe truccato le elezioni, programmerebbe di distruggere Israele, starebbe fabbricandosi un arsenale nucleare ma, per fortuna, sarebbe isolato dal resto del mondo. «Si tratta sostanzialmente di quattro calunnie», sostiene Cardini, «per quanto ciascuna di esse riposi su un qualche elemento di verità».
Mancanza di legittimità popolare? Secondo l’esperta Farian Sabahi, intervistata da “Panorama”, gli eventuali brogli non possono aver falsato il responso delle urne, perché Ahmadinejad ha conquistato la maggioranza degli iraniani «non grazie alle sue tracotanti minacce contro Israele, bensì con una politica sociale» a favore dei più deboli: cure mediche gratuite per 22 milioni di iraniani, stipendi aumentati, pensioni accresciute del 50%. A dispetto degli avversari, bravissimi a far breccia su Twitter dalla capitale, e dei media che non sanno raccontare l’Iran.
Secondo fronte, Israele. La confusione, secondo Cardini, nasce dalla «maldestra e odiosa misura propagandistica» di Ahmadinejad riguardo alla contestazione della Shoah. Ma, quanto alle minacce, «il presidente iraniano non ha mai affermato che Israele vada distrutta (cioè che gli israeliani siano eliminati o cacciati), bensì che la pretesa di uno stato ebraico che si presenti come etnocratico e confessionale ma che nello stesso tempo pretenda di essere un modello di democrazia all’occidentale è evidentemente insostenibile». Minaccia nucleare contro Tel Aviv? «Come può il leader di uno stato che non è ancora arrivato nemmeno al nucleare civile minacciare di distruzione nucleare un paese che invece dispone sul serio di un nucleare militare? Tutto ciò è assurdo».
Riguardo al presunto, futuro arsenale atomico di Teheran, «siamo al ridicolo e all’infamia al tempo stesso». L’11 febbraio, l’ambasciatore iraniano presso la Santa Sede Alì Akbar Naseri – totalmente ignorato dai nostri media – ha ribadito che il 4 febbraio l’Iran aveva formulato all’authority internazionale nucleare, l’Aiea, una proposta flessibile e ragionevole: accettazione della prassi elaborata dal gruppo dei 5 1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Germania) nell’ottobre scorso, sulla base della quale l’Iran consegnerà partite di uranio arricchito al 3,5% alla Russia, che lo porterà al 20% e lo passerà alla Francia per poi restituirlo all’Iran.
Date però le circostanze e il macchinoso sistema elaborato, Teheran – temendo che l’uranio le venga sottratto – chiede semplicemente che lo scambio avvenga in territorio iraniano e che ad ogni cessione di uranio al 3,5% l’Iran venga risarcito con una pari quantità, già arricchita al 20%. «Non si capisce – protesta Cardini – perché il governo statunitense abbia rifiutato come “non interessante” una proposta del genere e si ostini a pretendere dall’Iran la pura e semplice cessione del minerale, senza contropartite né garanzie. Ciò corrisponde solo a un vecchio e abusato trucco diplomatico: formulare pretese assurde e irricevibili per poi accusare l’avversario, reo di non averle accettate».
Cardini ricorda che per avviare il nucleare militare serve uranio arricchito all’80%, mentre l’Iran non è ancora in grado nemmeno di arricchirlo al 20%, limite indispensabile per gli usi civili. Teheran del resto ne ha diritto, avendo firmato il trattato di non-proliferazione (a differenza di Israele, che non accetta di discutere i propri arsenali atomici). Malgrado ciò, l’Occidente continua a perseguitare l’Iran: Adres Fogh Rasmussen, segretario generale della Nato, ignorando le offerte di Teheran continua a pretendere che l’Iran consegni tutto il suo uranio che verrà arricchito all’estero, senza controlli né contropartite. «Chi mai potrebbe accettare imposizioni del genere?».
Quarto fronte, il presunto isolamento internazionale. «Si continua acriticamente a ripetere che ormai l’Onu sarebbe pronta a inasprire l’embargo all’Iran: si tratterebbe solo di convincere la Cina» a studiare sanzioni «che colpiscano il governo iraniano, ma non la popolazione». Proposito «ipocrita», perché le sanzioni «colpiscono sempre le popolazioni, e in genere rinsaldano la loro solidarietà con i loro governi». Ipocrisia anche dell’Italia, aggiunge Cardini: il nostro governo accampa «ragioni umanitarie», mentre in realtà «è in ansia per il grosso business iraniano dell’Eni», che le sanzioni comprometterebbero.
Ad ogni modo, afferma lo storico, le sanzioni contro l’Iran non funzioneranno, date le strette relazioni di Teheran non solo con Cina e Russia, ma anche con Siria, Venezuela e Turchia. Non solo la Russia è contraria a un inasprimento delle sanzioni, ma si conferma intenzionata a fornire all’Iran i sistemi missilistici difensivi antiaerei S-300. «Insomma, il regime iraniano può non piacere: ma non ha la possibilità e forse nemmeno l’intenzione di costruire armi nucleari, e non si trova affatto in una posizione di assoluto isolamento diplomatico».
Ma allora perché gli Usa sembrano così preoccupati da Ahmedinejad al punto di arrivare alle esplicite minacce? «L’atomica, i diritti umani e le minacce a Israele non c’entrano», sostiene Cardini. «C’entra invece il modesto isolotto di Kish sul Golfo Persico, che gli iraniani hanno scelto a sede di una futura rete di scambi petroliferi mirante alla costituzione di un “cartello” che si fonderebbe sull’unità monetaria non più del dollaro, bensì dell’euro. Questa è la bomba nucleare iraniana che davvero gli americani temono».
Se è così, avverte Cardini, lo spettro della guerra è più vicino di quanto si pensi: «Un ricco business» per le potentissime lobby industriali e finanziarie. La guerra «è rimasta l’unica attività produttiva statunitense che davvero “tiri”». Commesse rinnovate, arsenali svuotati e riforniti, «generaloni» del Pentagono «che ostentano nomi da conquistatore romano, tipo Petreus», ma anche «generalucci della Nato» e «generalicchi italiani», per tacere degli «strateghi-peopolitici da Tv». Senza contare «il sacrosanto spiegamento di fondamentalisti cristiani, ebrei e musulmano-sunniti che non vedono l’ora di saltar addosso al demonio sciita», nonché «i poveri cristi che aspettano di venir ingaggiati come in Afghanistan e in Iraq, la folla dei portoricani in caccia della magica green card che fa di loro dei quasi-cittadini statunitensi, i sottoproletari che sognano di ascendere al rango di contractors».
Forze «potentissime» che convergono verso un unico obiettivo: la guerra, un ottimo affare per tutti. A scongiurarla non sarà sufficiente il doppio veto di Russia e Cina all’Onu: «Basterà la Nato, come in Afghanistan nel 2001, poi l’Onu sarà costretta ad avallare». Oppure la scorciatoia degli israeliani, che non vedono l’ora di aggredire l’Iran. Secondo Cardini, la guerra «è molto più facile di quella all’Iraq del 2003», perché «il sunnita e “laico-progressista” Saddam poteva contare su molti amici negli Usa, in Europa e nel mondo musulmano», mentre «l’Iran fondamentalista e sciita non ne dispone».
Poi, tra qualche anno, «qualcuno in gramaglie verrà a dirci che no, ci eravamo sbagliati, la bomba nucleare proprio l’Iran non ce l’aveva e nemmeno i terribili missili puntati contro l’Occidente». Il rischio è serio: stiamo per infilarci «in un pantano sanguinoso e costoso, peggiore di quelli afghano e irakeno messi insieme». Un pantano, conclude Cardini, nel quale sguazzeranno «imprenditori, militarastri e sottoproletari del “finché-c’è-guerra-c’è-speranza”», ovvero «“produzione e consumo” in alto, patacche e promozioni a mezza tacca, “posti di lavoro” in basso», compresa l’inevitabile «nota comica» del ministro italiano Ignazio La Russa, «che già ora s’inorgoglisce dei suoi picchetti d’onore e delle sue finte uniformi militari» (info: www.diorama.it, intervento ripreso da “Megachip”, www.megachip.info).
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