L'espressione "Beyond GDP" è di moda tra i funzionari europei e i politici a Bruxelles.
40 anni dopo che il Presidente della Commissione Sicco Mansholt aveva già criticato il PIL, proponendo di porre fine alla crescita economica nei paesi ricchi, lo slogan a Bruxelles è ora "Economia verde: oltre il PIL ".
Ma non vi è ancora alcun riconoscimento ufficiale di una "decrescita che conduce ad una economia stazionaria ", se non come plausibile programma politico, almeno come un interessante campo di ricerca.
La crescita del PIL va di pari passo con una crescente pressione sulla biodiversità, cambiamenti climatici e la distruzione dei mezzi di sussistenza dell'uomo alla "frontiera delle merci". Gli attivisti ambientali sono rassicurati dalle critiche accademiche del PIL. In realtà, attiviste femministe e accademici (Waring, 1988) hanno costruito un argomento convincente molto tempo fa contro la contabilità del PIL, perché "ha dimenticato", non solo di contabilizzare i servizi della natura, ma anche il lavoro domestico non retribuito. Inoltre, un altro tipo di critica nei confronti della contabilità del PIL sta ora emergendo socialmente, il cosiddetto Easterlin Paradox aggiornato dal lavoro di psicologi sociali (con i Premi Nobel in economia). Sembra che l'aumento della felicità non sia correlato ad incrementi di reddito al di sopra di un certo livello di reddito pro capite (ad esempio 10.000 € all'anno). Tali critiche nei confronti della contabilità del PIL vanno ben oltre l'introduzione di misure complementari di progresso sociale come l'HDI (indice di sviluppo umano), che è strettamente correlato con il PIL pro capite nei diversi paesi. Esse vanno anche al di là dell’idea di rendere semplicemente il PIL più “verde", o l'introduzione di conti satellite (in termini fisici o monetari).
Tra gli indici fisici di sostenibilità, il più conosciuto è l’ Impronta ecologica (EF) che ha fatto il suo debutto nel 1992 ad una Conferenza di Economia Ecologica (Rees e Wackernagel, 1994). E 'stato un successo con le organizzazioni ambientaliste e il WWF pubblica i suoi risultati regolarmente. L'Impronta ecologica traduce in un unico numero in ettari l'uso pro capite di terra per il cibo, fibre, legno, oltre all’ambiente costruito (spazio asfaltato per case e strade), più l'ipotetico terreno che sarebbero stato utilizzato per assorbire l'anidride carbonica prodotta dalla combustione di combustibili fossili. Per le ricche economie industriali, il totale arriva a 4 o più ettari pro capite, di cui oltre la metà è la terra ipoteticamente necessaria ad assorbire l’anidride carbonica.
Andare oltre la contabilità del PIL in Europa dovrebbe significare qualcosa di diverso
dal "rendere più verde il PIL", o, all'altro estremo, inchinarsi dinanzi ad un unico indice ambientale, come l’Impronta Ecologica. Dovrebbe significare, piuttosto, andare verso una valutazione multi-criteri dell'economia, utilizzando otto, dieci, dodici indicatori sociali, culturali, economici e di performance ambientale (Shmelev e Rodriguez-Labajos, 2009).
Tutti gli indicatori possono forse migliorare insieme in un certo periodo della storia o, più probabilmente, alcuni migliorano, mentre altri si deteriorano. Ad esempio, la crisi economica del 2008-09 implica in Spagna una sostanziale diminuzione delle emissioni di anidride carbonica, meno incidenti sul luogo di lavoro, meno potenziali immigrati annegati in mare e un brusco rallentamento nel tasso di edificazione dei suoli, mentre significa anche maggiore disoccupazione e, forse, un aumento di alcune forme di criminalità.
Stiamo meglio adesso che nel 2007? O meglio, prima ancora, ci si potrebbe accordare su una metodologia di valutazione macroeconomica multi-criteri e partecipativa, basata su set di indicatori socialmente accettati?
"Beyond GDP" dovrebbe significare andare oltre l'imperativo unico della crescita economica nei paesi ricchi. Una radice comune ai movimenti della decrescita in Francia e in Italia è l’Economia Ecologica, in particolare il lavoro di Georgescu-Roegen. Alcuni dei suoi articoli sono stati tradotti e pubblicati trenta anni fa (da Grinevald e Rens, 1979) con il titolo “Domani la decrescita”, con la quale esplicitamente egli concordava. Questa sembra sia stata la prima volta che "Decrescita economica" è stata utilizzata come slogan. La maggior parte degli attivisti francesi e italiani nella decrescita e nei movimenti forse hanno letto alcuni articoli di Georgescu-Roegen, ma non i suoi libri in materia di energia, materiali e economia (1966 - introduzione, e nel 1971). Non sono disponibili in francese o in italiano e sono comunque difficili da digerire. Nondimeno, questo non impedisce loro, come attivisti, di cantare le lodi di Georgescu-Roegen. Nulla da criticare in tutto questo, motivo di rammarico per gli studiosi, ma nella natura dei movimenti sociali.
Gli attivisti della decrescita in Francia e in Italia sono in sintonia con un concetto di
ecologia industriale: il paradosso di Jevons o "effetto rimbalzo" (Polimeni e al, 2009). Hanno letto economisti antropologi, come Serge Latouche (2007), sono ispirati dai pensatori ambientalisti degli anni ‘70 come André Gorz e Ivan Illich. Ma la decrescita non è basata su
testi “icone”. Si tratta di un movimento sociale, nato dalle espereinze del co-housing, occupazione di proprietà, neo-ruralismo, riappropriazione delle strade, energie alternative, prevenzione e riciclaggio dei rifiuti. Si tratta di un nuovo slogan, un nuovo movimento e molto presto un nuovo programma di ricerca. Questo è un caso di scienza guidata da attivisti, verso una nuova branca nelle scienze della sostenibilità sociale, che potrebbe chiamarsi “studi sulla decrescita economica" strettamente collegati agli studi accademici sulla “transizione socio-ecologica" (Fischer-Kowalski e Haberl, eds., 2007, Haberl et al, 2009, Krausmann e al, 2008, Krausmann e al, 2009).
Non vi è alcun movimento simile sulla decrescita (ancora?) in Germania, Regno Unito,
Stati Uniti e Giappone, ma la convergenza di attivisti della decrescita con economisti ecologici ed ecologisti industriali ha prodotto già due conferenze scientifiche in Europa (Parigi, aprile 2008, Barcellona, marzo 2010,
www.degrowth.eu). Le parole "decrescita economica" sono state introdotte con successo in riviste accademiche. Una varietà di temi del programma di ricerca sulla decrescita sono elencati nel bando di documenti per la Conferenza di Barcellona, mentre una collezione di articoli dalla prima conferenza (a cura di Schneider, Kallis e Martinez-Alier, 2010) è stata pubblicata in una pubblicazione accademica, il Journal of Cleaner Production (una rivista di ecologia industriale) tra cui un articolo notevole di Christian Kerschner che spiega la critica di Georgescu-Roegen “all’economia stazionaria” di Daly (Daly, 1973, 1991, 2007). Kerschner guarda alla "decrescita" come a una tappa verso un’economia stazionaria. Un ottimo libro con articoli dalla Conferenza di Parigi del 2008 sulla decrescita è stato pubblicato in francese (Mylondo, 2009).
Forse la DG Ricerca della Commissione Europea farà presto una call per presentare proposte di ricerca nell'ambito della descrizione, "Oltre il PIL: Decrescita economica Socialmente Sostenibile. Aspetti ambientali, sociali, tecnologici, finanziari, socio-psicologici e demografici della decrescita economica che conduce ad una economia stazionaria in Europa e in altre economie avanzate ".
Ancora una volta, scienza guidata dagli attivisti.
[Traduzione dall'inglese di Cinzia di Fenza]
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