La Rivoluzione Verde secondo Woodrow Clark
“Dimenticatevi la cosiddetta economia tradizionale”. Parola dell’americano Woodrow W. Clark, economista e Premio Nobel per la Pace 2007 (vinto insieme ad Al Gore), che ha tenuto ieri sera, al Teatro Regio di Torino, una lectio magistralis sui temi sostenibilità e sviluppo, nell’ambito del forum Democrazia 2.0.
“L’epoca della seconda rivoluzione industriale deve necessariamente concludere la sua parabola. In fretta. Per aprire la strada a una terza rivoluzione industriale”, in cui il mondo abbandoni le tradizionali energie a combustibile fossile e scelga quelle rinnovabili, come il sole, l’acqua, il vento, il calore della Terra. Una rivoluzione già partita in Europa – come già ricordava Jeremy Rifkin - prima che in altre parti del mondo. “Bisogna definire oggi il mondo in un modo nuovo. E’ una sfida ma anche un destino, perché non ci può essere altra via che lo sviluppo di un’economia verde per l’auto-conservazione e il sostentamento della Terra”, chiarisce Clark senza esitazione.
Un destino inevitabile, dunque, quello delle fonti rinnovabili. Un confronto che vince, già in partenza, sulla concorrenza/alternativa rappresentata dal nucleare: troppo costoso, troppo pericoloso, troppo difficile da gestire, poco profittevole su lunga scala e per lunghi tempi. In un’intervista esclusiva a Greenews.info lo scienziato californiano ci spiega perché solo le fonti rinnovabili sono compatibili con i parametri di crescita mondiali.
“Basta guardarsi intorno: prendiamo la velocità a cui è cresciuta Shanghai negli ultimi 18 anni. Nel ’92, quando l’ho visitata la prima volta, non c’erano che biciclette, lontana anni luce da tutte le auto che ha oggi. Così la Cina: detiene la palma d’oro del paese più inquinante e continua a investire per costruire, ogni mese, una centrale nucleare e una a carbone. Prendiamo poi Dubai, l’esempio opposto: da qualche anno si è decisa a voler diventare il primo stato della nuova economia verde. Io allora mi chiedo: che cos’è veramente l’economia verde? E’ la risposta che dobbiamo dare ai nostri figli per il loro futuro. Contro il riscaldamento globale del clima. Non voglio sapere come sarà tra 50 anni, voglio capire cosa stiamo facendo ora per evitare che tra 50 anni non ci sia futuro”.
L’uranio per Clark non è una risposta concreta e credibile. “Per una questione di sicurezza [safety, il primo punto con cui Clark smonta le tesi dei sostenitori del nucleare, NdR]. Negli anni ’90 lavoravo al Laurence Livermore Laboratory della California, il secondo più grande centro di energia atomica d’America. Stoccavamo le scorie radioattive nella Yucca Mountain. In una discussione con altri 25 colleghi, tra ingegneri, fisici, chimici, tecnici, ferventi difensori – a differenza mia – del nucleare, nessuno di loro ha detto con certezza di voler abitare vicino alla centrale. Avevano paura. Il problema dello smaltimento dei rifiuti d’uranio non ha al momento soluzione sicura, né l’avrà prima di 60 anni. Sono dati del Programma EITER, che coinvolge Francia, Giappone e Usa. Ora, posto che l’uranio è una fonte non rinnovabile che esisterà sulla Terra ancora per – fate bene attenzione – 60 anni, poi finirà, al pari del petrolio e del gas, un po’ prima del carbone, sarebbe assurdo buttare i propri dollari in un’opera ipercostosa come una centrale (si spendono tra i 6 e gli 8 miliardi di dollari per la costruzione) resa completamente sicura solo dopo l’esaurimento della risorsa che gli serve per alimentarsi!”.
Qui entra in gioco il secondo nodo del ragionamento anti-nucleare di Clark: la sostenibilità locale e la trasmissione dell’energia (transmission). “L’energia nucleare che fosse eventualmente prodotta, a costi elevatissimi, deve essere poi distribuita. Anche molto lontano dalle centrali. Perché non è che si possa costruire la centrale nel proprio cortile. In questo passaggio di trasporto, dal centro alla periferia, si perde circa 1/3 dell’efficienza. Non sarebbe dunque meglio avere tutti quanti in casa piccole centrali solari o a vento, che ci rendono completamente autonomi e autosufficienti?”. Il modello è quello delle 12 comunità sostenibili già attive nel mondo, come Clark spiega, durante l’intervento al Regio, alla folla di giovani presenti: realtà come Friedrichshafen, in Danimarca, che stanno investendo per liberarsi una volta per tutte di ogni forma di combustibile, biomasse comprese. Dalla conchiglia si può capire il mollusco, dalla casa l’inquilino, diceva Victor Hugo.
“Tutto quello che possiamo immaginare, la natura ce l’ha già dato – continua Clark nella nostra intervista – e Obama sbaglia di grosso se decide di sbloccare gli investimenti per la costruzione delle centrali ferme da 30 anni. Ha dei consiglieri inadeguati e si contraddice. Io sto lavorando per fargli cambiare idea, ma non mi risulta, in ogni caso, che abbia ancora firmato. La responsabilità dei governi è grande. Lo dico il più chiaramente possibile: devono disinvestire subito da quei progetti, rimuovere tutti i finanziamenti, i sussidi e gli incentivi fiscali a chi usa carburante di natura fossile. Fatto ciò, avranno i soldi per creare programmi di energie rinnovabili sufficienti per soddisfare il fabbisogno di uffici, palazzi governativi, stadi, grossi e piccoli magazzini, abitazioni dei privati”. Questa la prima mossa. Poi la seconda: la “rivoluzione verde” nelle nostre case. “E’ questione di educazione, di cultura di un popolo”, dice Clark. Chi pensa al bene altrui ha già assicurato il proprio.
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