Matador a rischio, processo alla corrida
Dibattito in Catalogna: nel parlamento di Barcellona messa in discussione la mattanza dei tori nell'arena
MADRID — Se tra qualche mese la «fiesta» finirà, in Catalogna, probabilmente una parte del merito— o della colpa, secondo i punti di vista — andrà a questo scienziato sessantenne dallo sguardo bonario, il sorriso un po’ triste, la voce pacata e un’insospettabile abilità nel maneggiare spada e banderilla. Nell’aula del parlamento catalano, Jorge Wagensberg, docente di Teoria dei processi irreversibili, sfila la lama dal fodero senza l’enfasi di un torero, esamina la punta aguzza di una banderilla come fosse quella di un ombrello difettoso. Ma vibra ineluttabili stoccate: «Questo non fa male?», chiede, garbatamente retorico, ai deputati, filosofi, scrittori, allevatori di tori e matadores riuniti per tre giorni, quale giuria popolare, a discutere il futuro delle corride in Catalogna.
Questo fisico, che impugna con compassione per il toro i ferri del mestiere del torero, oscurerà nelle cronache le argomentazioni di una trentina di esperti che si alternano dalle dieci al mattino alle otto di sera in difesa o contro la tauromachia. Con virulenti scambi d’accuse di cinismo e ipocrisia, appelli alla tradizione, alla supremazia dell’arte e degli interessi economici che avvolgono la plaza. S’innescano repliche velenose, che arrivano fino a Madrid dove la Comunità Autonoma, retta dal Partito Popolare, conservatore, decide seduta stante di consacrare la corrida come un «bene di interesse culturale». Scende in campo lo stesso presidente del partito, Mariano Rajoy, per rintuzzare i paragoni degli animalisti fra i soprusi perpetrati ai danni dei tori e quelli, «non meno tradizionali in Spagna», contro le donne. Sollevano un vespaio le tesi del cattedratico di Logica, Jesús Mosterin, secondo il quale se ogni tradizione andasse difesa in quanto tale, anche l’infibulazione godrebbe dello stesso diritto in Africa.
Ma l’apparizione delle armi, che dagli spalti dell’arena eccitano il pubblico, gelano il sangue nel concistoro catalano, e in particolare quello della scrittrice Espido Freire, seduta proprio a fianco dell’efficace Perry Mason antitaurino: «Il toro— spiega Wagensberg — muore affogato nel suo sangue. La punta della spada cerca il cuore, attraversando i polmoni». Sempre che il matador sia abbastanza preciso da raggiungerlo al primo colpo, continua, sviluppando implacabilmente la sua premessa iniziale: «Non è ammissibile uno spettacolo che si basa o richiede la sofferenza di un essere vivente».
È prematuro ipotizzare che l’arringa del professore abbia fatto breccia tra i parlamentari, chiamati a pronunciare la sentenza definitiva entro maggio o giugno prossimi. La legge di iniziativa popolare, sostenuta da 180.000 firme per l’abolizione della corrida in tutta la Catalogna, desta grande inquietudine nei due partiti di maggioranza, i nazionalisti di «Convergencia i Unió» e i socialisti catalani. La dirigenza ha concesso libertà di voto ai suoi rappresentanti. Se il PP pare piuttosto compatto in difesa della fiesta tradizionale, «Esquerra Republicana» e «Iniciativa per Catalunya» caldeggiano a sinistra la fine di sangue e arena. Salvador Boix, il procuratore del torero più acclamato di Spagna, José Tomás, non aspetta il verdetto dell’urna: «Questo parlamento — proclama, offeso — ci deve delle scuse».
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