c Rifondare l’uguaglianza per superare la violenza - 08/03/2010 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 08/03/2010]
[Categorie: Filosofia ]
[Fonte: Terra]
[Autore: Livia Profeti ]
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Rifondare l’uguaglianza per superare la violenza
LIBRI. Nelle librerie “L’identità umana. Nati uguali per diventare diversi” di Livia Profeti (L’Asino doro, pp. 191, euro 18), che rivede il percorso dall’epoca primitiva alla nascita della filosofia mostrando che un nuova idea di umanità è possibile.

«Quei primi filosofi non compresero cioè che se il pensiero umano, come vedremo nel prossimo capitolo, in effetti è unico, il suo modo di conoscere è diverso. Non contrario né opposto ma diverso, come diverso è il suo oggetto di conoscenza: il mondo naturale e la realtà umana. Natura e realtà umana che sono a loro volta diversi e non opposti né contrari, perché il pensiero umano immateriale nasce dalla materia e appartiene allo stesso mondo fisico. Analogamente diverse, non opposte né contrarie, sono le rappresentazioni mentali legate alla memoria: figure (copie della memoria cosciente) e immagini (creazioni della memoria inconscia). Come già i paleolitici avevano intuito, utilizzando appunto due diversi tipi di rappresentazione: figurativa e ripetitiva per il mondo naturale, astratta e creativa per la realtà umana. Forse i filosofi presocratici sarebbero anche riusciti nel loro intento se i loro antenati non avessero sacrificato la Creta-Ifigenia, o condannato Dioniso al rapporto con Apollo invece che con le Baccanti.

Ovvero forse ci sarebbero riusciti se avessero avuto un rapporto migliore con la donna, diversa da loro. Però ciò non è accaduto, e così Eraclito e Parmenide (che assumiamo come esemplari di un movimento molto più vasto), uomini che ancora non conoscevano la scissione occidentale, per amore di quell’unità precaria sacrificarono uno dei due poli diversi del problema: Eraclito l’immateriale umano nell’armonia de gli opposti materiali, come l’appartenenza alla tradizione della magia agricola gli richiedeva; Parmenide la materia, trovando in un essere immateriale l’identità di pensiero ed essere, come l’appartenenza alla tradizione dei pastori nomadi gli richiedeva. Essere eterno e astrale che non può non-essere, e quindi da esso è esclusa qualsiasi nascita che poi, nel tempo, morirà. Unità che non erano unità, saranno destinate a spaccarsi in altrettanti scissioni sancendo nel logos, a loro volta, la scissione come paradigma fondante della nostra civiltà.

Un paradigma che, come ha giustamente notato. Reale e come ha dimostrato l’epistemologo Thomas Kuhn, è impossibile da superare rimanendo all’interno dello stesso paradigma, ovvero in quello del logos religioso e razionale che appunto la fonda. Con Platone la psyché assumerà definitivamente i connotati di anima divina e razionale: essa partecipa della Verità eterna e immutabile ed è quindi immortale, originariamente separata dal corpo dal quale si separa nuovamente dopo la morte, non prima di aver combattuto la sua lotta “divina” contro le altre due anime (irascibile e concupiscente), mortali e legate al corpo. Aristotele critica il netto dualismo platonico sostenendo che la psyché-anima è “forma” del corpo al quale dona la vita, tripartendosi in vegetativa, sensitiva e intellettiva-razionale. L’intelletto però, principio di conoscenza e di riflessione, è anche in questo caso originariamente separato dal corpo, immortale e divino.

Ci penseranno quindi Platone e Aristotele a proseguire il cammino a partire da quelle due unità che non erano unità, risultate dal non riuscire a comprendere cosa poteva nascondersi dietro la psyché omerica: «Ignorare la favola orientale di Amore e Psiche, porta ad una mistificazione del linguaggio verbale per cui l’immagine di una fanciulla “più bella di Venere”, annullata, conduce allo spirito inconoscibile. “Conosci te stesso” chiedeva il rapporto uomo-donna, che faceva conoscere il diverso dal se stesso della veglia, coscienza, ragione». Prima di loro infatti ci sarà il passaggio forse obbligato di Socrate, che accolse il monito dell’orfico oracolo di Delfi e invitò a “conoscere se stessi” con una psyché che aveva però ben poco a che fare con la possibilità che nell’ombra omerica, unita al respiro, al sangue, alla carne e ai sogni dell’uomo, si potesse recuperare anche quell’immagine di fanciulla. (…)

L’essere razionale per il possesso e dominio, di antichissima origine patriarcale, ha ormai vinto e si afferma come paradigmatico. Da quel momento, non solo la realizzazione intellettuale e politica delle donne sarà una chimera, ma sarà negata la loro stessa appartenenza al genere umano, perché dall’essere ormai tout court sono escluse, come i bambini. Da allora in poi, la loro unica speranza risiederà nello stare in folta compagnia: «Nella nuova cultura stratificata la “società di uguali” costituita dalla classe superiore non ha un solo sottinteso, ma due: il primo sottinteso è che gli uguali sono i nobili; il secondo è che sono i maschi adulti della nobiltà. [...] Ciò esclude donne, bambini, mercanti, agricoltori e schiavi; come dire un buon 90% dell’umanità divisa in caste dopo il fallimento dell’arduo e contraddittorio sinecismo tra nomadi e sedentari nel terzo e secondo millennio a.C.».
©L’Asino d’oro edizioni

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