terraterra da "il manifesto"
Le buone pratiche per salvare il suolo
13 Luglio 2007
Negli ultimi cinquant'anni le attività umane hanno denudato i suoli del pianeta di tanta parte della copertura vegetale: l'unica efficace protezione contro l'erosione. Il taglio massiccio, il sovrappascolo, le arature profonde hanno provocato la perdita della ricchezza del suolo accumulata in lunghe ere geologiche. Come conseguenza fra le altre, il declino della produttività biologica della terra e quindi della stessa produttività agricola. Alcuni paesi stanno cercando di intervertire il trend, come racconta all'Inter Press Service il presidente dell'Earth Policy Institute Lester Brown. I precedenti non mancano. Negli anni 30 del secolo scorso gli Stati uniti vissero un'esperienza scioccante: le Grandi Pianure si stavano trasformando in deserto, colpite da un circolo vizioso fatto di scarsissime precipitazioni, temperature elevate, venti, infestazioni di insetti, tempeste di sabbia. La depressione agricola che ne derivò contribuì economicamente e psicologicamente alla Grande depressione. Ma il trauma portò cambiamenti rivoluzionari nelle pratiche agricole della nazione. Fra queste l'importanza assegnata alle cinture verdi - file di alberi destinate a rompere i venti e a ridurre l'erosione conseguente - e a tecniche di coltivazione a strisce per permettere che le aree lasciate a maggese accumulassero sostanza nel suolo. Da allora negli Usa come in Europa è pratica corrente - ma insufficientemente diffusa - destinare a copertura vegetale permanente le terre a maggiore rischio di erosione, pagando i coltivatori per non coltivare; è la nota pratica del set-aside. È stato calcolato che la forestazione su 14 milioni di ettari e l'uso di pratiche di conservazione sul 37% di tutte le terre coltivate abbiano ridotto l'erosione dei suoli statunitensi da 3,1 miliardi di tonnellate a 1,9 miliardi negli anni fra il 1982 e il 1997. Un'utile pratica conservativa del suolo è il non dissodamento. Riduce l'erosione, aiuta a trattenere l'acqua, riduce la quantità di energia necessaria nelle pratiche agricole. I paesi dove il non dissodamento è maggiormente praticato sono Stati uniti, Argentina, Brasile, Canada e Australia. I governi, sostiene Brown, possono fornire incentivi economici o richiedere come obbligo queste pratiche di conservazione del suolo nella concessione dei sussidi agricoli. E in effetti la buona pratica si sta diffondendo, secondo recenti rapporti della Fao, anche in Europa, Africa e Asia. Svoltare verso colture arboree perenni è un'altra strategia antierosione da incoraggiare. Nel 2005 il governo del Marocco, messo di fronte a una grave siccità, oltre a cancellare i debiti dei contadini li ha incentivati a preferire ai cereali gli ulivi e gli alberi da frutto. In Nigeria, nello sforzo di frenare l'avanzata del deserto, il presidente Olusegun Obasanjo ha proposto la «Grande muraglia verde», una striscia di cinque chilometri lunga 7.000 che attraversi tutta l'Africa. A favore dell'idea il Senegal, che perde ogni anno 50.000 ettari di terre agricole. Anche la Cina ha un suo piano di Grande muraglia verde. E paga gli agricoltori delle province minacciate perché coltivino piante sul 10 per cento delle terre finora destinate a cereali. In Mongolia si cerca di stabilizzare le dune di sabbia piantando arbusti nel deserto e in molte aree sono state messe al bando capre e pecore. Ridurre le greggi erranti è l'unico modo sostenibile per contenere il sovrappascolo che colpisce i due terzi delle superfici coperte da vegetazione spontanea - erbe e arbusti - e in genere non adatte alla coltivazione. Ovviamente, conclude Brown, proteggere la vegetazione che rimane sul pianeta implica la messa al bando del taglio incontrollato delle foreste, che porta a grandi perdite di suolo finché la foresta non si rigenera; e a ogni taglio successivo, la produttività declina ulteriormente. Recuperare la copertura arborea ed erbacea della terra protegge il suolo dall'erosione, ri
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