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[Data: 16/03/2010] [Categorie: Decrescita ] [Fonte: Libreidee] |
[Autore: Marino Badiale e Massimo Bontempelli] |
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Decrescita: oggi piacerebbe anche a Marx E’ noto che, in genere, fra coloro che continuano a ricavare ispirazione dal pensiero di Marx e coloro che in tempi recenti hanno iniziato a teorizzare la decrescita non corrono buoni rapporti. I primi tendono a vedere la decrescita, nel migliore dei casi, come un’aspirazione soggettiva di natura socialmente ambigua, mentre i “decrescisti” vedono nel pensiero di Marx nient’altro che una versione “di sinistra” dell’idolatria dello sviluppo che oggi domina il mondo e contro cui intendono combattere. Giudichiamo questa contrapposizione del tutto negativa. Da una parte, oggi ogni teoria ispirata a Marx ha bisogno della decrescita perché essa rappresenta l’unica formulazione possibile di un anticapitalismo adeguato alla realtà del capitalismo attuale; dall’altra, la decrescita ha bisogno del pensiero di Marx perché in esso si trovano alcuni fondamenti teorici indispensabili per l’elaborazione di una proposta teorica e politica adeguata ai problemi che la decrescita stessa individua. Solo dall’incontro fra il pensiero di Marx e decrescita può nascere un anticapitalismo che sia capace di confrontarsi, sul piano teorico e politico, con la realtà del capitalismo attuale. La nascita di una tale forma di anticapitalismo è ormai una necessità stringente. La dinamica dell’attuale fase capitalistica sta infatti spingendo il mondo verso un baratro spaventoso, ma la percezione sempre più diffusa, anche se in maniere ancora indefinite, di una tale tendenza, non riesce ancora a tradursi in un movimento politico in grado di incidere davvero sulla realtà. Noi crediamo che l’incontro fra il pensiero di Marx e la decrescita sia una precondizione perché si possano combattere con efficacia le dinamiche mortifere del mondo attuale. Il punto fondamentale da cui partire per comprendere la nozione di decrescita è la distinzione fra beni d’uso da una parte e merci dall’altra. “Merce” non è sinonimo di bene o servizio, ma è un bene o servizio prodotto per il mercato in vista di un profitto e dotato quindi di un prezzo. Non c’è sul piano teorico alcun rapporto necessario tra aumento quantitativo delle merci, diffusione del benessere e progresso delle conoscenze. Per un lungo periodo storico, fino a tutti gli anni Sessanta del secolo scorso, l’allargamento della scala di produzione di merci, pur con tanti risvolti negativi, è stato effettivamente associato, in un quadro storico complessivo, alla diffusione del benessere economico, all’ampliamento della libertà individuale, all’avanzamento dei costumi e delle conoscenze. A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, però, l’ulteriore aumento quantitativo dei beni prodotti per il mercato è stato sempre più correlato, non accidentalmente (come mostra una vasta letteratura economica e sociologica), alla crescita delle diseguaglianze sociali, alla riduzione delle risorse destinate alla protezione sociale, a minori diritti del lavoro dipendente, alla diminuzione del tempo libero dal lavoro, allo sviluppo di processi di de-emancipazione e di marginalizzazione, cioè a indicatori precisi di un diminuito benessere della maggioranza della popolazione e di una minore libertà individuale. Un altro punto da comprendere riguardo alla decrescita è che essa, proprio perché riguarda le merci e l’incorporazione di energia e materie prime nei prodotti, non i beni ed i servizi in quanto tali, non è affatto un progetto francescano di rinuncia alla ricchezza economica (o almeno non lo è nell’idea a cui qui si fa qui riferimento, ad esempio di Latouche o Pallante; certamente ci sono idee non condivisibili di decrescita, come al tempo di Marx c’erano idee non condivisibili di comunismo o socialismo). E’ un rifiuto dello sviluppo capitalisticamente inteso, cioè dell’unica nozione di sviluppo oggi diffusa e compresa, che schiaccia quanti non vogliono accettare investimenti economici che devastano il territorio. Ed è una presa d’atto delle necessità non di fruire di meno beni, ma di consumare meno merci, e soprattutto meno energia e meno territorio. Una disponibilità accresciuta di beni e servizi può essere realizzata anche in un contesto non di sviluppo, ma di decrescita. Un esempio: immaginiamo che il nostro sistema sanitario cominci a svolgere una seria attività di prevenzione ecologica delle patologie mediche, e, con un’immaginazione ancor più sganciata dalla realtà attuale, che il nostro sistema politico e amministrativo produca e faccia rispettare leggi che riducano drasticamente i rischi di infortuni sul lavoro e di contatto nell’ambiente con sostanze patogene. In una tale situazione il cittadino fruirebbe di migliori servizi sanitari e potrebbe maggiormente disporre di quei beni preziosi che sono cure mediche attente alle persone e basate su buone informazioni ambientali, nel quadro non di uno sviluppo, ma di una decrescita dell’economia. In Italia uno dei modi in cui si manifesta la nocività dello sviluppo è quello di progetti economici che tendono a invadere e distruggere il territorio con strutture e opere di vario tipo. Le nuove strutture devono invadere la vita quotidiana degli abitanti del territorio, sconvolgendola. Il punto cruciale sta però nel fatto che essa va nella direzione della critica dello sviluppo, anche se i suoi attori possono non averne coscienza. La prospettiva della critica dello sviluppo è l’unica che renda coerenti queste lotte, dando ad esse un valore e un respiro generali. E’ infatti del tutto chiaro che un sistema economico votato all’espansione senza limiti non è compatibile con la finitezza dell’ambiente naturale. La tendenza all’accumulazione illimitata non devasta solo la natura, ma la stessa società umana. Essa conduce infatti, alla fine, all’estensione del rapporto sociale capitalistico a tutti gli ambiti della società, anche a quelli la cui logica di funzionamento è del tutto incompatibile con esso (la scuola, per esempio). Arrivato il capitalismo nella fase del capitalismo assoluto, lo sviluppo capitalistico devasta la natura, la società e la psiche, e genera quindi forti resistenze sulle quali radicare una forza anticapitalistica. L’idea della decrescita è l’idea della graduale sostituzione del consumo di merci con quello di beni e servizi non mercificati, del consumo di beni prodotti intensivamente su larga scala e trasportati da lunghe distanze con quello di beni prodotti su piccola scala e trasportati su brevi distanze, di alti consumi di energia con bassi consumi di energia, della costruzione di nuove opere invasive del territori con il riuso e la manutenzione di opere già esistenti. La difesa dell’integrità del territorio, attraverso proposte pratiche di decrescita, consente infatti di colpire elementi vitali di accumulazione del plusvalore (per esempio: sviluppo degli affari attraverso le cosiddette grandi opere, le grandi reti di distribuzione dell’energia, le grandi arterie di trasporto, lo smaltimento dei rifiuti) connettendo questa lotta contro l’accumulazione di plusvalore alla tutela delle condizioni materiali di vita degli insediamenti abitativi, e facendone la leva per nuove forme di redistribuzione della ricchezza collettiva a vantaggio dei ceti subalterni. La difesa dell’integrità del territorio, attraverso proposte pratiche di decrescita, consente inoltre di colpire l’attuale intreccio affaristico-corruttivo tra ceti politici e imprese capitalistiche che ruota attorno alle rendite ricavabili dal consumo del territorio. La decrescita coincide quindi con la distruzione del modo di produzione capitalistico. La proposta della decrescita è quindi la proposta di un agire politico anticapitalistico adeguato alle forme in cui oggi si manifestano le contraddizioni capitalistiche. Liberando l’anticapitalismo dalla ricerca di un Soggetto Sociale Rivoluzionario (la classe operaia, o i suoi succedanei come gli emarginati o gli immigrati) che faccia da garante metafisico del buon esito dell’impresa rivoluzionaria, la decrescita permette di guardare la realtà concreta alla ricerca delle contraddizioni reali che l’attuale fase di sviluppo del capitalismo genera: la degradazione dell’ambiente della vita comune, lo sconvolgimento continuo del territorio, l’invivibilità delle città, la lenta cancellazione di ogni forma di servizio sociale, l’insicurezza su tutti gli aspetti fondamentali della vita, tutto ciò si traduce in un continuo peggioramento della vita che genera tensioni e scontri. Se l’anticapitalismo che si ispira a Marx facesse propria la proposta della decrescita potrebbe intercettare questo crescente disagio sociale, uscendo così dal vicolo cieco in cui si è cacciato inseguendo un inesistente Soggetto Sociale Rivoluzionario, e tornando a incidere sulla realtà. La decrescita rappresenta l’unica prospettiva odierna di lotta anticapitalistica nei paesi occidentali. Quella della decrescita è un’idea-forza perché consente di ottenere una redistribuzione della ricchezza sociale che le lotte salariali non sono più in grado di ottenere. Infatti lottare contro le grandi opere a favore di una capillare manutenzione del paese significa lottare anche per un aumento dei posti di lavoro necessari a tale manutenzione. Lottare contro il consumo distruttivo di territorio a favore di un suo uso funzionale ai bisogni delle comunità significa lottare per una politica di estesi servizi pubblici. Lottare per produzioni non intensive, distribuite a brevi distanze con basso consumo di energia, significa estendere l’area della piccola produzione indipendente. Ma più posti di lavoro, più erogazione di servizi pubblici, più piccole produzioni indipendenti, significano decrescita dei profitti e redistribuzione della ricchezza sociale in forma non di merci ma di beni e servizi. |
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