Riprendiamoci i beni comuni
Verso il Referendum
Il 18 novembre 2009, alla Camera dei deputati il governo Berlusconi, con ennesimo ricorso alla fiducia, approvava il decreto Ronchi, che radicava ed ampliava un processo di privatizzazione dei servizi pubblici locali, di dismissione della proprietà pubblica e delle relative infrastrutture, avviato in Italia da oltre quindici anni; un percorso di smantellamento del ruolo del soggetto pubblico e dei diritti di cittadinanza che non ha eguali in Europa.
A rendere ancor più grave, nel merito e nel metodo, l'approvazione di tale provvedimento, vi è il fatto che esso sia stato approvato ignorando il consenso popolare che soltanto due anni fa si era raccolto intorno alla legge d'iniziativa popolare per l'acqua pubblica (raccolte oltre 400.000 firme), elaborata e promossa dal Forum italiano dei movimenti per l'acqua e oggi in discussione in Parlamento. Con il Ronchi, l'acqua, come tutti gli altri servizi pubblici locali, è posta sul mercato, sottoposta alle regole della concorrenza e del profitto; i cittadini, con un provvedimento d'urgenza e non partecipato, si ritrovano d'un tratto espropriati dei propri beni, faticosamente realizzati negli anni sulla base della fiscalità generale.
È un testo che non considera come negli ultimi anni la gestione privatistica dell'acqua abbia determinato significativi aumenti delle bollette, una riduzione drastica degli investimenti per la modernizzazione degli acquedotti, della rete fognaria e degli impianti di depurazione; di come la privatizzazione abbia avuto un impatto negativo sull'occupazione e sull'uso razionale delle risorse idriche.
Ciò nonostante, si impone la svendita forzata del patrimonio pubblico e l'ingresso sostanzialmente obbligatorio dei privati nella gestione, alimentando sacche di malaffare e fenomeni malavitosi che già da tempo hanno compreso il grande business dei sevizi pubblici locali, sfruttando la grande occasione di gestirli in regime di monopolio, con ampia liquidità che, come è noto, ambisce ad essere «ripulita» attraverso attività d'impresa.
Per chi conquisterà fette di mercato, l'affare è garantito. Infatti, trattandosi di monopoli naturali, si formeranno e consolideranno monopoli-oligopoli privati, assoggettando il servizio alla copertura dei costi ed al raggiungimento del massimo dei profitti nel minor tempo possibile.
Insomma il decreto Ronchi, al di là della retorica efficientista che lo accompagna, rappresenta un danno per l'ambiente, la salute e non da ultimo per l'occupazione. Tale provvedimento, attraverso la svendita di proprietà pubbliche, serve al governo «per far cassa», o al più, per compensare i comuni dei tagli di risorse delineati in finanziaria.
Avverso questa legge, intorno al Forum dei movimenti per l'acqua, è maturata la volontà, da parte di variegate realtà sociali e di alcune forze politiche, di proporre un referendum abrogativo.
Certo con una diversa maggioranza, più attenta all' interesse pubblico, si sarebbe potuto ripartire da una riforma autentica fondata sulla legge di iniziativa popolare e sul testo della legge delega di riforma dei beni pubblici (commissione Rodotà). Entrambe queste proposte organiche hanno come obiettivo il governo dei beni pubblici e dei beni comuni nell'interesse dei diritti fondamentali della persona, tramite gestioni di diritto pubblico e nel rispetto dei principi costituzionali. Entrambe aspettano di essere discusse dal Parlamento.
Purtroppo, con l' attuale maggioranza parlamentare, queste riforme non sono verosimili e l' arma del referendum abrogarivo ex art. 75 della Costituzione è al momento la sola utilizzabile.
Ovviamente, l'esito positivo del referendum è legato a molte variabili, incluso l' atteggiamento della Corte Costituzionale, e la capacità dei promotori di far comprendere ai cittadini l' importanza della posta in gioco, al fine di ottenere il quorum necessario previsto dalla legge.
L'idea è di utilizzare lo strumento referendario per avviare nel Paese una grande battaglia di civiltà, un grande dibattito che parta dalla cittadinanza attiva e che sappia sensibilizzare e mobilitare la stessa, per ottenere un obiettivo chiaro e netto: ripubblicizzare l'acqua, ponendola al di fuori del mercato e del profitto, affidando a un soggetto di diritto pubblico la gestione del servizio.
A tal fine, unitamente a una relazione di accompagnamento redatta da chi scrive e dai proff. Azzariti, Ferrara, Mattei, Nivarra e Rodotà, (si veda il testo intero in www.siacquapubblica.it) sono stati necessari tre quesiti, chiari e netti, per abrogare non soltanto il Ronchi, ma altresì quel complesso di norme che negli ultimi 15 anni hanno già consentito nel nostro territorio la privatizzazione. Due quesiti referendari, dunque, per abrogare: 1) le gestioni private e miste, quest'ultime più volte individuate dalla Corte dei Conti come sacche di malaffare pubblico-privato e 2) quel modello ibrido rappresentato dalle società pubbliche, fisiologicamente orientate al mercato e a trattare l'acqua come un bene economico ad alta valenza commerciale.
Si è pensato, sempre nella suddetta ottica, a un terzo quesito, ovvero ad abrogare quelle norme che dispongono che la tariffa debba costituire il corrispettivo del servizio idrico, determinata tenendo conto dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito, una norma che consente al gestore di fare profitti sulla tariffa e quindi sulla bolletta, caricandola sulle tasche dei cittadini di circa un 7%.
Il primo grande appuntamento di preparazione al referendum è a Roma il 20 marzo, alle ore 14 a piazza della Repubblica, con una manifestazione per la ripublicizzazione dell'acqua, la protezione dei beni comuni e per la democrazia partecipata.
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