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La trappola del «grande deserto verde»
da "il manifesto" del 02 Ottobre 2007
Gli alberi non fanno sempre bene. Per questo lo scorso 21 settembre in America Latina è stata celebrata la giornata internazionale contro le monocolture forestali. Per denunziare che, dai Caraibi alla Punta del Fuoco, gli alberi «esotici» sostituiscono le specie locali per alimentare l'industria del legno e della carta e le tasche dei paesi del nord. Milioni di ettari di foreste coltivate di specie non autoctone invadono la regione, aumentano la concentrazione della terra e la presenza di imprese multinazionali. È questa la denuncia della Rete Latinoamericana contro le monocolture forestali, nata nel 2003 durante il Forum mondiale di Porto Alegre e costituita attualmente da 16 paesi. La rete ha l'obiettivo di impedire che il continente si trasformi in un «deserto verde». Sostiene che quelle annunciate come soluzioni al cambio climatico «saranno la causa di maggiori sofferenze per le comunità locali. Le nuove piantagioni forestali, definite riserve di carbonio, come i biocombustibili, sono un esempio di queste false soluzioni». La selva argentina è stata sostituita da coltivazioni di pini esotici, mentre nel nord-est del paese crescono piantagioni di eucalipti per la produzione della cellulosa, materia base della carta. In Brasile, le monocolture che alimentano l'industria della carta sono uno dei principali ostacoli alla riforma agraria, rappresentano un rischio per la sicurezza alimentare e sottraggono la terra e le tradizioni alle popolazioni locali di origine indigena ed afrobrasiliana. In Cile gli indigeni Mapuche stanno perdendo il proprio territorio, mentre le acque vengono contaminate da fertilizzanti usati per le piantagioni forestali. In Colombia la produzione della palma da olio è causa di violazioni dei diritti umani, morti, torture e migrazioni. In Paraguay le istituzioni stanno approvando una legge che permetterà le monocolture forestali, mentre in Perù saranno moltiplicate quelle già esistenti. In Uruguay la prateria umida si sta trasformando in una grande piantagione di eucalipti e pini. In America Centrale, mentre Costa Rica aumenta i sussidi alle piantagioni, il Nicaragua, secondo le parole del Direttore dell'Istituto Forestale, decide che «non si distruggeranno altre foreste per coltivare palma africana» e aggiunge: «Non permetteremo che la creazione di monocolture distrugga la biodiversità del nostro ecosistema». Oltre alle foreste, altre monocolture stanno conquistando la regione. Nel mese di maggio, durante la sua campagna globale per salvare il clima, Al Gore è atterrato a Buenos Aires per partecipare al primo congresso americano sui cosiddetti biocombustibili (meglio dire agrocarburanti), a cui hanno partecipato politici e impresari pagando 500 dollari a persona di ingresso. L'ex vicepresidente Usa ha presentato il suo documentario sul clima, con il quale ha fatto il giro del mondo, e ha sostenuto l'utilità dei biocombustibili. In quell'occasione è stato accusato dai movimenti ambientalisti argentini di raccontare «mezze verità per non scomodare i suoi finanziatori: imprese petroliere, industrie automobilistiche e industrie produttrici di semi». In Argentina la base per la produzione dell'etanolo è la soia, che sta prendendo il posto della vegetazione originaria. Al Gore è stato seguito a ruota da Lula, che ad agosto è arrivato in Centro America in cerca della via dell'etanolo. Usa e Brasile producono da soli il 72% dell'etanolo del pianeta. Mentre lo stato nordamericano utilizza il mais che assicura un basso rendimento, il paese amazzonico utilizza canna da zucchero che permette una produzione efficiente e l'alimentazione di milioni di mezzi di trasporto. Anche il Movimento dei Sem terra (Mst) dice la sua. Nel corso del quinto congresso nazionale a Brasilia nel mese di giugno i Senza Terra del Brasile hanno innalzato la bandiera della sovranità energetica. Biocombustibili sì ma solo se prodotti in piccola scala, associati alla diversificazione delle colture e alla sovranità alimentare.
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