Marxismo Ecologista: al di là della crisi economica. I Parte
Al di là della crisi economica: sussunzione reale della natura al capitale e crisi ecologica sussunzione reale della natura al capitale e crisi ecologica
La problematica ecologica comprende aspetti economici, sociali, culturali e politici, richiedendo, per questo, una visione ad ampio raggio. Oggi, più che mai, i fondamenti del funzionamento del modo di produzione e riproduzione capitalista si sono rivelati essere i fattori scatenanti tanto della crisi economica che della crisi ecologica. Per ridiscutere questi fondamenti è necessario riprendere la critica delle forme feticizzate dell'economia politica offerta dalla teoria marxista, arricchita ora dell'apporto del marxismo ecologico. Non basta analizzare la relazione tra capitale e lavoro, è diventata imprescindibile l'incorporazione di una nuova prospettiva sulla relazione tra uomo ed ambiente, specificamente sul modo in cui il regime capitalista di produzione si appropria della natura che lo circonda.
Sintesi
Il presente articolo vuole analizzare la crisi ecologica, considerandola come una crisi strutturale del modo di produzione e riproduzione capitalista, proponendo nello stesso tempo spunti di riflessione per rendere chiaro il modo in cui essa si coniuga con le crisi economiche. A questo scopo, si utilizzano le categorie proposte dal marxismo nella loro variante ecologica, non solo per comprendere come nasce la crisi di sovrapproduzione, ma anche quella di sottoproduzione.
Si inserisce, allo stesso modo, il concetto di “sostituzione” reale della natura al capitale con l'obiettivo di caratterizzare il processo crescente di appropriazione capitalista dell'ambiente circostante e la creazione di una seconda natura. Si suggerisce, infine, come corollario della crisi ecologica l'aumento della disuguaglianza ambientale e, da questo, l'aumento dei conflitti ambientali.
1. Introduzione
Recessione, disoccupazione, diminuzione dei salari. Degrado ambientale ed esaurimento dei beni naturali. Crisi economica e crisi ecologica. Come mai prima nella storia della umanità, queste due tipologie di crisi sono andate di pari passo.
La crisi economica capitalista attuale non è, di per sé, una novità visto il suo sistemico ciclo di espansione e contrazione, né lo è la sua magnitudo. Quello che è davvero nuovo, da alcuni decenni, è la sperimentazione di una crisi ecologica, arrivata per rimanere, che anno dopo anno diventa più profonda. Le sue origini, tuttavia, non sono di norma attribuite al funzionamento del sistema capitalista.
Durante la prima metà del 2008 la crisi ecologica si è tradotta nell'aumento esponenziale dei prezzi del petrolio e degli alimenti. La quotazione internazionale di un barile di petrolio riuscì a superare i 100 dollari, raggiungendo il massimo storico di 147 dollari nel mese di luglio. La cosiddetta, coincidente, crisi alimentare ha aggravato la fame nel mondo. L'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Agricoltura e l'Alimentazione (FAO) segnala che “nel primo semestre del 2008 i prezzi internazionali, espressi in dollari, dei cereali hanno raggiunto i livelli più alti degli ultimi 30 anni [...] I prezzi alimentari erano del 40 % superiori ai valori del 2007 e del 76 % rispetto al 2006 [...] L'ascesa dei prezzi alimentari ha portato circa 115 milioni di persone alla fame cronica tra il 2007 ed il 2008. Significa che oggi, nel mondo, vivono 1000 milioni di persone affamate (FAO, 2009: 6).
Nonostante questo, lontane dal mettere in discussione la logica mercantile sottostante, le raccomandazioni espresse nella Conferenza di Alto Livello sulla Sicurezza Alimentare Mondiale, organizzata dalla FAO a Roma, hanno puntato tutto sull'incremento della produttività e della produzione. Tanto che si è incitata la comunità internazionale ad “intensificare gli investimenti nella scienza e nella tecnologia relativi all'alimentazione e all'agricoltura” e “a proseguire gli sforzi per liberalizzare il commercio agricolo internazionale riducendo le barriere commerciali e le politiche che distorcono i mercati” (FAO, 2008: 3).
Maggiore applicazione scientifica e tecnologica sulla natura e più mercato: le ricette proposte non differiscono dalle ragioni della malattia.
Nello stesso tempo, gli effetti del cambiamento climatico si fanno sentire con l'aumento del riscaldamento globale, accompagnato da forti siccità e inondazioni. L'organizzazione Global Humanitarian Forum prevede che, per l'anno 2030, la vita di 660 milioni di persone sarà gravemente danneggiata, a causa dei disastri naturali dovuti al cambiamento climatico o per la degradazione progressiva dell'ambiente (Global Humanitarian Forum, 2009: 12). Nonostante la crescente preoccupazione delle potenze mondiali per il cambiamento climatico, queste non hanno fatto altro che creare, con il Protocollo di Kyoto, diritti di emissione della CO2, realizzando una sorta di privatizzazione dell'atmosfera. Attualmente il commercio dei crediti di carbonio è salito a 126.000 milioni di dollari nel 2008 e si prevede che arrivi a 3,1 miliardi nel 2020 (Friends of the Earth, 2009: 4).
Come se questo non bastasse, la crisi ecologica è favorita anche dall'accelerato consumo di beni forniti dalla natura.
Il rapporto Pianeta Vivo del 2008 del World Wide Fund For Nature (WWF) indica che negli ultimi 35 anni si è perso quasi un terzo della vita silvestre del nostro pianeta. Ancora più impattante risulta l'indice per l'impronta ecologica, elaborato dal WWF, che misura la domanda di risorse naturali della popolazione mondiale (2). La domanda dell'umanità nel 1961 era la metà della capacità biologica mondiale, mentre nel 2005 la domanda eccedeva di quasi un 30% questa capacità. In altre parole, l'impronta ecologica è aumentata più del doppio negli ultimi quattro decenni e le previsioni non sono più incoraggianti, visto che a metà del 2030 la domanda sarà uguale alla capacità biologica di due pianeta Terra (WWF, 2008: 2). Il WWF attribuisce i dati alla crescita della popolazione mondiale e dei livelli di consumo, esplicativi solo di una parte del problema, adottando una posizione vicina al neo-malthusianismo.
La problematica ecologica tocca aspetti economici, sociali, culturali e politici richiedendo, per questo, una visione ad ampio raggio. Oggi, più che mai, i fondamenti del funzionamento del modo di produzione e riproduzione capitalista si sono rivelati fattori scatenanti tanto della crisi economica che della crisi ecologica.
Per ridiscutere questi fondamenti è necessario riprendere la critica delle forme feticizzate dell'economia politica offerte dalla teoria marxista, arricchita ora dell'apporto del marxismo ecologico. Non basta analizzare la relazione tra capitale e lavoro, è diventata imprescindibile l'incorporazione di una nuova prospettiva sulla relazione tra uomo e ambiente, specificamente sul modo in cui il regime capitalista di produzione si appropria della natura che lo circonda.
Questa appropriazione sarà intesa in termini di “sussunzione” reale della natura al capitale. Allo stesso modo, valuteremo come storicamente si manifesta, secondo il marxismo ecologico, la crisi di sottoproduzione unitamente a quella di sovrapproduzione caratteristica del capitalismo. Faremo, infine, alcune riflessioni sulle disuguaglianze ambientali ed i conflitti ambientali come conseguenze ineludibili di questo sistema e della sua crisi.
2. L'apporto della critica marxista ecologica alla relazione capitale-natura
Tanto l'economia classica come la neoclassica hanno interpretato la relazione tra uomo e natura dai fondamenti dell'individualismo metodologico; in altre parole, gli individui sono considerati come atomi presociali - gli homo oeconomicus – che agiscono in un mondo senza spazio e, per questo, non naturale.
Si tratta di “una razionalità che separa, in un primo momento, le risorse naturali dalle altre componenti non preziose della natura, incapaci di valere come fonti di accumulazione capitalista; in un secondo momento, questa razionalità separa una risorsa naturale dall'altra” (Altvater, 2009: 3).
La natura acquisisce uno status economico, anche se permane come fattore esterno. La separazione tra elementi utili ed inutili per il capitale causa la distruzione dell'integrità della natura.
Dalla prospettiva classica dell'economia, la mano invisibile del mercato è quella di chi meglio utilizza le risorse fornite dalla natura. Al fine di salvaguardare il mercato dai suoi fallimenti, i neoclassici hanno introdotto l'analisi delle esternalità della produzione e del consumo. Le esternalità sono suscettibili di essere incorporate nei prezzi delle merci e, in questo modo, correggere il difetto.
Una interpretazione esagerata di questo approccio è condensata nel Rapporto Stern, commissionato dal Governo del Regno Unito della Gran Bretagna e dell'Irlanda del Nord, che definisce il cambiamento climatico come il più grande fallimento del mercato mai visto nel mondo (Stern, 2006: 25).
Secondo Altvater, i limiti della crescita, l'esaurimento delle risorse e le guerre proclamate in nome di esse, fanno emergere più che mai l'insostenibilità di un approccio metodologico basato su regole razionali di scelta, prese da un gruppo di individui. Per questo diventa imprescindibile adottare una visione olistica, totalizzante, fondata sulle relazioni tra gli uomini e di questi con la natura. In questo è radicata la forza della critica marxista: pone l'individuo in un quadro socio-storico che tiene in considerazione le frontiere naturali. Diventa imprescindibile riprendere la critica del feticismo delle merci non solo per la relazione capitale-lavoro, ma anche per la relazione capitale-natura.
Il mondo naturale non era tra le preoccupazioni immediate di Marx, che però non dimenticava di segnalare che la natura è, insieme al lavoro, punto di partenza della produzione di valori d'uso. “In questo lavoro di conformazione, l'uomo si appoggia costantemente alle forze naturali. Il lavoro non è, dunque, la fonte unica ed esclusiva dei valori d'uso che produce, della ricchezza materiale. Il lavoro è, come ha detto William Petty, il padre della ricchezza mentre la terra la madre” (Marx, 2000: 10).
Soffermandoci sulla sua forma storica, in tutte le società il lavoro è il momento di scambio con la natura, è l'attività con la quale l'uomo si appropria del suo ambiente e lo trasforma per soddisfare le sue necessità (cibo, alloggio, vestiti, etc.). Il processo di lavorazione include non solo il lavoro dell'uomo, ma anche l'oggetto sul quale questo si realizza e gli strumenti di lavoro.
L'oggetto primario l'offre la natura, condizione ineludibile per qualunque società. Con gli strumenti di lavoro succede qualcosa di simile: “Tra gli oggetti che servono come mezzi per il processo di lavoro si contano, in senso ampio, oltre a quelli che fanno da mediatori tra gli effetti del lavoro e l'oggetto del lavoro e che, pertanto, agiscono in un modo o nell'altro per dirigere l'attività del lavoratore, tutte quelle condizioni materiali che devono concorrere affinché si realizzi il processo di lavorazione. Si tratta di condizioni che non s'identificano direttamente con questo processo, ma senza le quali questo non potrebbe eseguirsi, o si eseguirebbe in maniera imperfetta” (Marx, 2000: 133).
Queste condizioni materiali - o condizioni della natura esterne all'uomo - si presentano di due forme, se aggiungiamo gli strumenti di vita agli strumenti di lavoro. Da queste condizioni dipenderà la produttività del lavoro e la produzione del plusvalore.
“Se prescindiamo dalla forma più o meno graduale della produzione sociale, vedremo che la produttività del lavoro dipende da tutta una serie di condizioni naturali. Condizioni che si riferiscono alla natura stessa dell'uomo e alla natura circostante. Le condizioni della natura circostante si dividono, dal punto di vista economico, in due grandi categorie: ricchezza naturale degli strumenti di vita, ossia, fecondità del suolo, ricchezza ittica, etc., e ricchezza naturale degli strumenti di lavoro, salti d'acqua, fiumi navigabili, legno, metalli, carbone, etc. All'inizio della civiltà è fondamentale e decisiva la prima classe di ricchezza naturale; giunti a un certo progresso, assume più importanza la seconda” (Marx, 2000: 429).
Più di 140 anni dopo la pubblicazione di questo libro, il capitalismo sta sperimentando l'imperiosità di queste condizioni naturali di produzione: terra coltivabile, energia, minerali, acqua, biodiversità.
Durante il processo di lavorazione l'uomo si avvale di materie prime offerte dalla natura, generando output indesiderati che si traducono in violenze all'ambiente naturale. Si produce entropia, come affermava Ilya Prigogine. Il lavoro, in altre parole, inteso come relazione di scambio tra società e natura, comporta inevitabilmente una trasformazione della materia e dell'energia, che non sono utilizzati in maniera ottimale e di cui una parte si perde.
Secondo la forma sociale capitalista, la relazione società-natura si spezza. Riacquisisce rilevanza il carattere duale del lavoro che si manifesta in maniera concreta nella produzione dei valori d'uso ed in maniera astratta nella produzione del plusvalore. La prima è parte integrante del metabolismo uomo-natura e, in cambio, la seconda è una relazione sociale immateriale tra capitale e lavoro. Di conseguenza, nel regime capitalista, la produzione di entropia cresce, dato che il processo di produzione di valori d'uso è al tempo stesso creazione del valore da parte del capitale.
Il processo di produzione e riproduzione capitalista si organizza a partire da “una catena di processi di lavorazione successiva e/o simultanea, dove le componenti della natura intervengono come tali solo in alcuni anelli della catena, generalmente all'inizio. Partecipando come oggetti o strumenti di lavoro, proseguono il ciclo sotto forma di prodotti lavorati (cose su cui si è applicato un lavoro) che provengono, sempre, da qualche elemento naturale. Questi prodotti, a diversi livelli di trasformazione, circolano nella dinamica sociale tornando nella maggioranza dei casi alla natura come residuo” (Galafassi, 1998). Nella continuità del ciclo, l'origine naturale delle merci e, una volta utilizzate, la loro destinazione, sono di solito sconosciute a milioni di consumatori. La proprietà privata stabilisce la “cosificazione” dell'oggetto naturale e l'alienazione rispetto alla natura che, a sua volta, si trasforma in fondamento per l'esaurimento dei beni naturali e l'inquinamento. La natura è feticizzata per opera ed a favore del capitale.
Nel regime capitalista la forma predominante nella quale l'uomo si vincola alla natura è l'appropriazione privata e la mercificazione. La produzione è orientata al raggiungimento del plusvalore relativo, attraverso l'aumento della produttività; ed il mercato è segnato dalla concorrenza tra capitali individuali. Con queste caratteristiche la riproduzione a grande scala del capitale non stimola soltanto la centralizzazione dei mezzi di produzione, ma anche, da un punto di vista ecologico, la restrizione sempre più pronunciata dell'accesso e del controllo dei beni naturali, che sono la ricchezza naturale degli strumenti di vita e gli oggetti/strumenti di lavoro.
La scienza moderna ha giocato un ruolo da protagonista al servizio del capitale, creando le nozioni di progresso infinito e crescita illimitata dalla fine del XVIII secolo. Tale concezione della scienza è risultata molto redditizia per il processo di accumulazione capitalista; un legame che dà ancora del filo da torcere alle scienze sociali. Si traccia un orizzonte perpetuo di dominio assoluto del mondo naturale. Siamo di fronte alla sussunzione reale della natura al capitale. Se nella teoria marxista tradizionale s'istituisce il concetto di sussunzione reale del lavoro al capitale (Marx, 2001:72), allora possiamo parlare di natura “piegata” alle necessità del capitale: la produzione capitalista a grande scala si nutre di un mondo naturale sempre più mercificato, che non solo fornisce i valori d'uso, ma anche possiede un prezzo al quale può essere venduto ed acquistato. Nella sussunzione reale la natura si presenta come una forza produttiva del capitale. In termini simili, Enrique Leff afferma che “la natura è cosificata, snaturata della sua complessità ecologica e trasformata in materia prima da un processo economico; le risorse naturali diventano semplici oggetti per lo sfruttamento del capitale” (Leff, 2005: 264).
Pedro Scaron (traduttore della edizione critica in spagnolo del Capitale di Marx) segnala che il sostantivo sussunzione che usa Marx significa tanto subordinazione come inclusione (Scaron, 2001: XV). Alle sue origini il capitalismo operava sulla base di processi lavorativi preesistenti, allo stesso tempo appoggiandosi a condizioni naturali sotto forma di strumenti di vita e di strumenti di lavoro. Il capitalista appariva come proprietario di questi strumenti e del lavoro altrui. La scala del processo di lavoro si ampliava gradualmente, senza subire cambiamenti di forma. Questa forma era chiamata da Marx sussunzione formale del lavoro al capitale, da noi declinata come sussunzione formale della natura. In cambio, con la sussunzione reale del lavoro e della natura al capitale si produce una rivoluzione totale del modo di produzione stesso. Si rivoluziona la forma del processo di lavoro e la produttività del lavoro. È l'instaurazione del modo di produzione peculiarmente capitalista che conquista tutti i rami industriali e, secondo la nostra prospettiva, la natura stessa.
Il regime capitalista non solo include la natura, ma anche la subordina ai disegni della produzione del plusvalore. È un processo simultaneamente estensivo ed intensivo. Estensivo perché il capitale si va appropriando di ogni porzione della natura, ampliando le frontiere di estrazione in continuità con l'accumulazione originaria. E intensivo perché ogni volta determina maggiori quantità di beni naturali e di sottomissione delle forze naturali per incorporarle come strumenti di vita e strumenti di produzione, fondamentalmente sotto forma di energia. Il progresso inaudito degli ultimi decenni nel campo della biotecnologia illustra in modo brutale la sussunzione della natura. Combina strettamente un'applicazione scientifica-tecnologica intensiva con la mercificazione della natura, arrivando ai suoi pori più infimi. Come risultato, l'uso e la manipolazione genetica degli organismi viventi (piante, animali, microorganismi e materiale genetico umano) rende possibile una vasta gamma di usi industriali, commerciali e la generazione di alterazioni ambientali che peggiorano la vita delle specie nel presente e nel futuro. Questo ci permette una comprensione più rifinita di quello che si chiama “ambiente costruito” o “seconda natura”: il capitale modifica e costruisce un ambiente naturale in linea con le proprie aspettative di guadagno. I progressi in biotecnologia permettono, inoltre, di ampliare i contenuti passibili di brevetto. È così che capitali multinazionali vogliono avvalersi della proprietà intellettuale di materiale biologico e geni fino a poco tempo fa impensabili. C'è una “tendenza a brevettare la vita” dice Díaz Rönner (2009:12), che trova spiegazione nella subordinazione della natura al capitale, nella mercificazione più profonda di ogni aspetto vitale.
Nel prossimo capitolo vedremo quali sono le conseguenze dello smantellamento dei meccanismi di regolazione statale nella fase neoliberale in relazione a la sussunzione reale della natura.
Ignacio Sabbatella
http://ecoportal.net/content/view/full/91997
Traduzione di Valentina Vivona
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