c Dalla Terra con furore L'anticapitalismo al tempo della crisi dell'Occidente - 29/04/2010 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 29/04/2010]
[Categorie: Diritti della Terra ]
[Fonte: A sud]
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Dalla Terra con furore L'anticapitalismo al tempo della crisi dell'Occidente

[di Giuseppe De Marzo su Il Manifesto 22 Aprile 2010] Ecologia della liberazione, oltre i conflitti capitale-lavoro

Per la prima volta nella storia ci troviamo di fronte una crisi verticale del modello di civilizzazione occidentale. Una crisi accelerata ulteriormente dalla necessità di allargare la frontiera dello sfruttamento e del controllo naturale e sociale, indispensabile a garantire la funzione di crescita del modello capitalista e la creazione del plus valore. Assistiamo ad una continua trasformazione dei diritti in merci e a un'espansione della frontiera del controllo del modello egemonico su ambiti impensabili sino a pochi anni fa (germoplasma, biosfera, atmosfera, biodiversità, calotta polare eccetera). Allo stesso tempo le crisi producono una esacerbazione del conflitto sociale che mette in movimento un nuovo campo che si oppone all'avanzata della frontiera capitalista.


La risposta alle ultime due decadi a politiche sbagliate è stata la nascita di quello che possiamo definire «l'ecologismo dei poveri» o «l'ecologia della liberazione», molto distante dal movimento ambientalista del nord del mondo. Indigeni, contadini, pescatori, pastori ma non solo, popoli e intere comunità minacciate dalla distruzione delle condizioni di riproduzioni della vita nei loro territori a causa dell'avanzata della frontiera capitalista. Miliardi di persone che vivono attraverso i beni che la natura offre loro gratuitamente, costrette a difendersi da privatizzazioni, megaprogetti, agrobussiness, biopirateria, taglio illegale delle foreste, contaminazione dei mari, cambiamenti climatici prodotti in prevalenza dalle emissioni dei paesi arricchiti, alterazioni irrimediabili degli ecosistemi.


A questo campo si sommano anche le nuove soggettività urbane, conseguenza della rottura del contratto sociale saltato non solo per l'erosione dei diritti di cittadinanza conquistati nel secolo scorso, ma per l'effetto di politiche che hanno prodotto, tra le altre cose, fenomeni di deruralizzazione e urbanizzazione selvaggia che garantiscono un flusso di energia e materiali sempre crescente verso le città con lo scopo di «sostenere» l'economia capitalista e la sua crisi, spostando i costi sociali e ambientali sulle comunità e sui territori esterni agli agglomerati urbani. Oggi le nuove cinquecento città globali testimoniano questo disegno, ma allo stesso tempo il loro elevato grado di conflittualità evidenzia la crisi del capitalismo. Ed è in questo spazio che nasce un nuovo attivismo politico informale dove si difendono e rivendicano nuovi e vecchi diritti, attraverso forme di partecipazione alla politica completamente informali.


Il «metabolismo sociale» dell'attuale economia, insostenibile socialmente ed ecologicamente, produce dunque non solo crisi sistemiche ma forme di oppressione e dominazione che non sono esclusivamente riconducibili al conflitto tra capitale e lavoro. Con l'espandersi delle crisi negli ultimi decenni ne sono emerse altre: tra capitale e natura, tra uomini e donne, tra individuo e nazione, tra indigeno e bianco, tra contadini e cittadini, tra frammentazione e identità.


Elaborare una teoria della trasformazione sociale che sappia ispirare ed essere concreta allo stesso tempo non può che partire da un'analisi integrata, multicreteriale e interdisciplinare e non può che guardare all'unico campo che in questo momento disputa l'egemonia culturale al capitalismo: l'ecologismo dei poveri, dove non solo si annoverano vittorie ma si producono pratiche di democrazia più avanzate, dall'autogoverno alla democrazia partecipativa all'educazione popolare, alla valorizzazione della scienza post normale, al rifiuto dell'avanguardismo politico, alla pratica del consenso e alla responsabilizzazione collettiva attraverso relazioni sociali orizzontali. Insomma, forme di democrazia che allargano la partecipazione, costruiscono un terreno comune e creano l'ccumulazione di forza necessaria per sfidare le attuali relazioni di forza.


È su queste basi che nasce la praxi della Democrazia della Terra. Si continua a diffondere in molte parti del mondo la consapevolezza che la Terra sia il bene comune supremo e che la democrazia si deve declinare a partire da quella relazione armonica che abbiamo spezzato tra diritti umani e diritti della natura. Gli indigeni delle Ande lo chiamano buen vivir, mettendo in discussione la missione civilizzatoria dello «sviluppo» così come l'abbiamo inteso a partire dall'illuminismo. Una equazione sbagliata quella che vede lo sviluppo come accumulazione costante di beni per il raggiungimento del progresso. È questo il punto su cui lavorare, su cui porre domande difficili in un paese, il nostro, dove la società tende invece a cristallizzarsi su posizioni dogmatiche che appaiono più vicine al tifo che alla politica.


C'è molto più di un filo che unisce le comunità e i popoli del sud del mondo alla maggior parte delle lotte fatte nell'ultimo decennio nel nostro paese. Gli abitanti della Val di Susa, i comitati per l'acqua pubblica, la comunità di Vicenza, le nuove soggettività informali nelle città per il diritto alla casa, per i diritti dei migranti, per un ambiente sano o per un'altra economia, pezzi del sindacalismo e tanto altro ancora. La narrazione che in molti cercavano è già qui, e parla un stesso linguaggio incomprensibile per chi è rimasto nella trappola del «regime dello sviluppo». Questo campo, proveniente da tutto il globo, si sta incontrando per la prima volta in Bolivia, non a caso a Cochabamba, città dove si è combattuta e vinta nel 2000 la prima guerra di liberazione dell'acqua.

Il primo incontro mondiale dei popoli per la giustizia climatica e i diritti della Madre Terra convocato dal governo Morales insieme a movimenti, scienziati, associazioni, comunità, ong, vuole essere la risposta al fallimento del vertice Onu sul clima di Copenaghen e finalmente porre al centro non solo l'analisi sulle responsabilità dei cambiamenti climatici ma la costruzione di un nuovo paradigma di civiltà. Per risolvere le crisi e affrontare il tema della povertà e della distruzione della natura dobbiamo unire, e non contrapporre, la giustizia sociale e quella ambientale. Elevare i diritti della natura ad un rango filosofico e giuridico più alto ci può aiutare a costruire le condizioni e la cornice per il superamento del modello capitalista.

Giuseppe De Marzo, portavoce di A Sud, autore di "Buen Vivir. Per una nuova democrazia della Terra", Ediesse.

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