“Mister Patagonia”, guru del business verde: “Sono in affari per salvare la Terra”
Ieri era il Giorno della Terra. Oggi, che ho un po’ più di tempo per riflettere, mi è venuto in mente Yvon Chouinard. Sì, lui. L’alpinista, surfista e pescatore, ma, soprattutto, fondatore e proprietario di Patagonia, famosissima azienda-brand americana (quartier generale a Ventura, California, il paradiso dei surfisti: ricordate il film Point Break? Lo stesso Chouinard, che oggi ha 71 anni, ha scritto un libro sul surf “Let my people go surfing”) di capi per climbing, pesca, surf, sci e trekking, capi dove l’unico cotone impiegato è quello biologico.
Un uomo che da sempre si batte per una politica ambientale. Non solo a livello privato, ma anche e soprattutto a livello aziendale. La sua è un’azienda da 1.200 impiegati, con un giro d’affari di 315 milioni di dollari.
Per Chouinard è vitale agire con responsabilità verso l’ambiente e gli uomini. E il primo passo per farlo è di dare alla “sua gente” l’opportunità di godere appieno della natura.
“Passo metà del mio tempo all’aria aperta - ha raccontato Chouinard a Cristiana Casella, di Ventiquattro, il magazine de Il Sole 24 Ore - , l’altra metà a parlare con ceo di tutto il mondo. Vogliono essere rassicurati che non racconto balle, che c’è un giro d’affari dietro la facciata, che non faccio solo green marketing. Vengono a chiedermi spaventati se rendere sostenibile il loro business li porterà alla bancarotta. Io rispondo loro che sarà il sistema intero a fare bancarotta se non diventerà verde”.
Che uomo, Yvon.
Altro che balle: Patagonia è ormai considerata “il paradigma della corporate responsibility”.
Altro che marketing: Patagonia investe pochissimo in pubblicità. Anzi, sprona i suoi clienti a comprare solo l’indispensabile. Su un loro catalogo, quindi uno strumento di vendita, c’è scritto: “Più sai, meno attrezzatura ti serve”.
Non solo. Entro la fine del 2011, Patagonia proporrà ai propri clienti un contratto epocale. Più o meno il messaggio sarà questo: “Non comprare la nostra giacca se non ti serve davvero. E se la compri e si sciupa, noi l’aggiusteremo. E se te ne stanchi, ti aiuteremo a trovarle un’altra casa o a venderla. E quando sarà distrutta potrai restituircela e noi la ricicleremo completamente per fabbricare nuovi indumenti. Ci assumeremo la responsabilità totale dei nostri prodotti, da culla a culla”.
Chouinard sussurra candidamente una frase che detta da un altro suonerebbe come una bestemmia: “Sono in affari solo per salvare la Terra”.
Che uomo, Yvon. Che imprenditore, Yvon.
Sono andato a ripescarmi una sua lettera aperta di cinque-sei anni fa. Un vero e proprio manifesto della responsabilità d’impresa nei confronti dell’ambiente e, quindi, di noi stessi.
LA RESPONSABILITA’ COLLETTIVA VERSO LA TERRA
di Yvon Chouinard
Quando ero un alpinista e producevo attrezzature per gli amici, non mi ero per niente calato nel ruolo di “uomo d’affari” e ho lottato con i demoni della responsabilità collettiva per un bel po’, fino a quando sono realmente diventato businessman. A chi devono rispondere in primo luogo le attività commerciali? Agli azionisti? Ai clienti? Ai propri impiegati? Sono arrivato a pensare che non si tratti di nessuno di questi. Fondamentalmente le attività commerciali sono responsabili dell’unica risorsa indispensabile. Su un pianeta davvero in pericolo non ha senso parlare di azionisti, clienti, impiegati. Come amava dire l’ambientalista David Bower, “Non c’è modo di trarre risorse e profitto su un pianeta morto.”
Ma cosa significa comportarsi responsabilmente verso l’ambiente? Ci sono voluti quasi 25 anni di lavoro per arrivare a formulare questa domanda. E altri 15 di tentativi ed errori per scoprire la strada che Patagonia - e qualsiasi altra azienda votata alla causa ambientalista - avrebbe dovuto percorre per poter rispondere. Penso di essere in grado di riassumere questo percorso in cinque passi. Valgono per ognuno di noi e per le aziende intenzionate ad evitare comportamenti dannosi e fare la differenza.
Primo: vivere con consapevolezza e coscienza. La maggior parte dei danni umani all’ambiente sono il frutto di ignoranza. L’ignoranza diventa intenzionale quando evitiamo di affrontare i problemi: quando ci rifiutiamo di imparare perché è più comodo dimenticare quel che l’esperienza ci insegna.
Faccio un esempio: quindici anni fa, non avevamo idea di quale delle quattro fibre di maggior consumo (cotone, lana, poliestere, nylon) causasse il maggiore danno ambientale e di che entità fosse il danno. Davamo per scontato che il cotone “naturale” fosse il meno dannoso e il poliestere derivato dal petrolio il peggiore. Solo dopo avere commissionato una dettagliata ricerca sulle quattro fibre abbiamo scoperto la verità: il cotone coltivato convenzionalmente, cioè con l’utilizzo del 25% di tutti gli insetticidi (l’8% di tutti i pesticidi agricoli), si dimostrò il peggiore. Da allora, ci siamo posti molte più domande che ci hanno portato ad agire, cioè ad utilizzare il poliestere riciclato e tinture meno dannose e ad eliminare il Pvc (polyvinyl chloride) dei tessuti.
Secondo: agire in modo pulito. Una volta valutata la mole del danno ambientale, cercare di ridurla. E quando è possibile contenere i danni, farlo. Una volta appreso quanto dannoso fosse il cotone, abbiamo cercato una valida alternativa. E ne abbiamo trovata una. Il cotone organico non era dannoso, ma era difficile da acquistare (perché se ne coltivava poco) e da lavorare. Per aiutare la svolta a favore dell’organico, dovevamo costruire nuove infrastrutture, dai coltivatori agli sgranatori, dai filatori ai tessitori e ai magliai. Lo abbiamo fatto in due soli anni. Tutti noi di Patagonia, preso coscienza dei danni che avremmo potuto arrecare e dell’alternativa, abbiamo lavorato con entusiasmo per poter attuare quel cambiamento nel più breve tempo possibile. Come noi i nostri partner in affari. Alla gente, inquadrato un problema, piace sapere di fare la cosa giusta.
Terzo: fare penitenza. Per quanto attenta, ogni azienda produce danni e inquinamento. La nostra iniziale ricerca tessile aveva chiarito che l’Antimonio, un metallo pesante dannoso, veniva utilizzato nella produzione della resina di poliestere. Eliminare l’Antimonio significava mettere in campo le maggiori aziende chimiche: era la battaglia di Davide contro Golia.
Come qualsiasi azienda responsabile, Patagonia dovrebbe pentirsi delle proprie colpe e lavorare per trovare il modo di agire in modo alternativo. La nostra penitenza consiste in una sorta di volontaria “tassa sulla terra”. Per molti anni abbiamo devoluto una percentuale dei nostri profitti a piccole organizzazioni ambientaliste che lavorano per sanare e preservare l’ambiente. Nel 1996 abbiamo iniziato a donare l’1% delle vendite a queste organizzazioni, negli anni migliori e quelli peggiori, senza badare all’ammontare del profitto. Nel corso degli anni abbiamo donato circa 20 milioni di dollari a migliaia di gruppi.
Quarto: sostenere la democrazia. E’ ovvio che i governi e le collettività detengano molto potere, ma altrettanto ne possono avere i piccoli gruppi di persone che con passione si occupano di un singolo problema e si votano alla propria causa. I più significativi movimenti sociali degli ultimi 200 anni - per la democrazia stessa, per i diritti della donna, per l’eguaglianza sociale, per la conservazione e la preservazione dell’ambiente - sono nati in seno a piccoli gruppi di persone impegnati a diffondere la propria parola e a coinvolgere altre persone. Oggi negli Stati Uniti piccoli gruppi di kayaker e pescatori lavorano incessantemente per abbattere le dighe; i cacciatori di anitre s’impegnano per preservare le zone palustri. E sono le loro madri a dare il contribuito maggiore per il ripristino di quelle piccole realtà naturali in pericolo.
Dalla mia vita all’aria aperta ho imparato che la natura predilige la diversità e rifugge la monocultura e la centralizzazione. Migliaia di diversi gruppi di attivisti, ognuno impegnato a risolvere con passione un problema diverso, possono fare più di tanti boriosi, inconcludenti enti governativi e non-governativi, illusi di poter risolvere tutti i problemi in una volta sola. E anche se mi batto per leggi più radicali, non ho fiducia nel mio governo. Sostengo gli attivisti di prima linea, chi si batte per salvare un fiume o un gruppo di alberi, chi tenta di salvaguardare un piccolo angolo di terra o un pozzo d’acqua. Queste sono le persone che maggiormente mettono in scacco la collettività e incarnano la faccia onesta del governo. Questi sono i gruppi ai quali devolviamo i nostri soldi.
Quinto (obbligato, se si seguono gli altri punti): coinvolgere altre aziende. L’azienda che trova il modo per essere maggiormente responsabile verso l’ambiente ha l’obbligo di diffondere la propria parola alle altre, di condividere la conoscenza di ciò che può essere fatto. I coltivatori di cotone organico, gli sgranatori, i filatori, i tessitori, i magliai e i produttori di abbigliamento che hanno risposto al nostro richiamo ne hanno ricavato nuove fonti di reddito. Di conseguenza il costo del cotone organico si è notevolmente ridotto con la commercializzazione.
Alla gente, in fondo, piace fare la cosa giusta. Mike Brown, alla guida del nostro team ricerca ambientale negli anni novanta, è ora leader dell’organizzazione Eco-Partners, che riunisce i funzionari di compagnie diverse quali Nike, Mountain Equipment Co-op e anche Ford Motor Company, per lo scambio di informazioni e conoscenze. Adesso stiamo lavorando nel settore tessile per eliminare l’uso dell’Antimonio (e di methyl bromide) nel poliestere. E inoltre abbiamo fondato l’organizzazione “1% for the Planet, Inc.” per incoraggiare altre aziende a dare il proprio contribuito agli ambientalisti che stanno facendo la differenza.
Per concludere, la responsabilità sociale di Patagonia rimarrà sempre un nodo cruciale, e probabilmente non saremo in grado in breve tempo di creare un prodotto del tutto pulito (riciclabile a tutti gli effetti). Dobbiamo percorrere tanta strada e non abbiamo una mappa, ma sappiamo bene leggere il terreno, e vogliamo andare avanti, passo dopo passo.
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