Ma i ghiacciai dell’Himalaya continuano a ritirarsi
L’errore presente nel IV rapporto dell’IPCC, sulla velocità di fusione dei ghiacciai himalayani è servito per un attacco senza precedenti alla scienza del clima, e perfino per trarne incredibili motivi di ottimismo.
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Negli stessi giorni del presunto scandalo del “Climategate” l’opinione pubblica è stata bombardata dalla notizia che, nelle 2800 pagine del quarto rapporto di valutazione dell’IPCC, era presente un grave errore. L’errore tuttavia non era nel sommario per i decisori e neppure nel sommario tecnico, ma a pag. 492 del secondo volume, e consisteva nella citazione sbagliata dell’entità della possibile fusione dei ghiacciai Himalayani entro il 2035.
La presenza dell’errore, evidenziato per primo da uno degli autori del primo volume del rapporto IPCC 2007, il glaciologo Georg Kaser di Merano che lavora presso l’Universita’ di Innsbruck, ha fatto gridare allo scandalo, soprattutto quanti solitamente non si curano di propagandare le tesi più errate e screditate, ma non solo. Ne hanno parlato tutti i giornali e le televisioni, come non era mai successo prima per un errore in un rapporto scientifico (p. es., per quanto riguarda la stampa internazionale si veda qui ).
Non facilmente dissimulabile e’ stato il compiacimento fra quanti hanno potuto parlare di “Dati falsi” e, complice la vicinanza con il presunto scandalo del “Climategate”, di necessità di rimettere in discussione l’intero lavoro dell’IPCC.
Utilizzando quando scritto da John Cook su Skeptical Science mostreremo il peso minore di questo errore nell’economia del rapporto, e quanto sbagliate siano le speranze di chi, come Franco Foresta Martin, e Giovanni Sartori hanno tratto un sospiro di sollievo ritenendo che ora invece l’Himalaya “stia bene”.
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Per coloro che non avessero seguito la vicenda, (ci rifacciamo qui alla ricostruzione della vicenda che fa lo stesso Georg Kaser, insieme ad altri colleghi: si veda questo documento) ricordiamo che l’errore si riferisce alla previsione secondo la quale i ghiacciai dell’Himalaya potrebbero scomparire entro il 2035. Per essere precisi, nella sezione 10.6.2 dell’AR4, a pag. 492, c’è scritto esattamente:
“Glaciers in the Himalaya are receding faster than in any other part of the world (see Table 10.9) and, if the present rate continues, the likelihood of them disappearing by the year 2035 and perhaps sooner is very high if the Earth keeps warming at the current rate. Its total area will likely shrink from the present 500,000 to 100,000 km2 by the year 2035 (WWF, 2005).”
frase che, tradotta in italiano, suona così:
“I ghiacciai dell’Himalaya stanno regredendo più velocemente che in qualsiasi altra parte del mondo (vedi Tabella 10.9) e, se il tasso attuale [di fusione] si manterrà, la loro probabilità di sparire entro l’anno 2035 e forse prima è molto elevata, se la Terra continuerà a riscaldarsi al tasso corrente. La loro superficie totale probabilmente si ridurrà dagli attuali 500.000 a 100.000 km2 entro l’anno 2035 (WWF, 2005).”
La lettura della frase incriminata ci fa capire che comunque, più che di scomparsa, si parla di una riduzione dell’80%, posto che il tasso di fusione rimanga costante. In ogni caso, se fosse vero, sarebbe comunque tantissimo.
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Su cosa si basa l’indicazione dell’anno 2035 e della riduzione dell’80%? La fonte di queste informazioni (si veda per esempio qui e qui) è un rapporto del WWF redatto nel 2005 e non sottoposto a peer-review, dal titolo “Una panoramica del ritiro dei ghiacciai e degli impatti futuri in Nepal, India e Cina”. Su questo rapporto, a pagina 25, si trova la seguente frase:
“In 1999, a report by the Working Group on Himalayan Glaciology (WGHG) of the International Commission for Snow and Ice (ICSI) stated: “glaciers in the Himalayas are receding faster than in any other part of the world and, if the present rate continues, the likelihood of them disappearing by the year 2035 is very high”. Direct observation of a select few snout positions out of the thousands of Himalayan glaciers indicate that they have been in a general state of decline over, at least, the past 150 years. The prediction that “glaciers in the region will vanish within 40 years as a result of global warming” and that the flow of Himalayan rivers will “eventually diminish, resulting in widespread water shortages” (New Scientist 1999; 1999, 2003) is equally disturbing.”
che è traducibile così:
“Nel 1999, un rapporto del Gruppo di Lavoro sulla Glaciologia Himalayana (WGHG) della Commissione Internazionale per la Neve e il Ghiaccio (ICSI) ha dichiarato: “I ghiacciai dell’Himalaya si stanno ritirando più velocemente che in qualsiasi altra parte del mondo e, se il tasso oggi osservato continuerà, la probabilità della loro scomparsa entro l’anno 2035 è molto alta”. L’osservazione diretta di una selezione di posizioni frontali di alcuni tra le migliaia di ghiacciai dell’Himalaya indica che si trovano in una situazione di generale declino, da almeno 150 anni. La previsione che “i ghiacciai della regione spariranno entro 40 anni come risultato del riscaldamento globale” e che il flusso dei fiumi Himalayani ” eventualmente diminuisca, con una conseguente diffusa carenza di risorse idriche” (New Scientist 1999; 1999, 2003) è altrettanto inquietante.”
Come si vede, il rapporto del WWF basa le sue informazioni su un articolo uscito su New Scientist nel 1999 (si noti, tra l’altro, che nel 1999 si parla dei prossimi 40 anni 1999 40=2039, poi arrotondati a 2035), e New Scientist è un’altra rivista divulgativa e non peer-reviewed. L’articolo in questione e’ basato su un colloquio con lo scienziato indiano Syed Hasnain, presidente del gruppo di lavoro sulla Glaciologia himalayana, ovvero colui che ha affermato che i ghiacciai himalayani potrebbero scomparire in 40 anni. Questa ipotesi non è però mai stata supportata da alcuna ricerca scientifica.
Purtroppo, questo errore non è stato individuato nel processo di revisione. Una delle probabili ragioni consiste nel fatto che era contenuto nella sezione relativa al secondo gruppo di lavoro dell’IPCC, che si concentra su impatti, adattamento e vulnerabilità a scala regionale, e non nel primo volume che è più concentrato sugli aspetti fisici ed è fortemente basato su articoli peer-reviewed.
Qui, non si vuole sminuire l’errore, che comunque c’è stato ed indica come qualcosa, nel processo di revisione messo in piedi dall’IPCC, non abbia in questo caso funzionato a dovere. Normalmente, infatti, i documenti scientifici si attengono alla letteratura scientifica peer reviewed (pur ricordando che questo non significa che il sistema di peer review sia infallibile), ma, soprattutto nel caso del II e del III volume del 4° rapporto IPCC, la necessità di doversi riferire a dati di natura regionale (moltissime volte pubblicati in rapporti non-peer reviewed), fa sì che non si possa fare a meno della cosiddetta “letteratura grigia”. Insomma, come è stato scritto in un post di Real Climate (qui tradotto su climalteranti), l’IPCC non è infallibile. Ed infatti altri errori, seppur meno eclatanti sono stati trovati e probabilmente, ne saranno trovati ancora degli altri. In ogni caso e’ importante evidenziare che il processo di correzione è iniziato all’interno dell’IPCC, che oltre ad aver ammesso pubblicamente l’errore, sta prendendo misure per evitare che questo accada ancora – si veda qui.
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La questione su cui vorremmo riflettere a questo punto e’: che cosa ci racconta la letteratura peer-reviewed sui ghiacciai dell’Himalaya, che rappresentano la terza più grande massa di ghiaccio sulla Terra, dopo l’Antartide e la Groenlandia?
Non buone notizie, purtroppo. Ma varie storie di ritiri. Ren e altri (2006) riferiscono di misure sperimentali che dimostrano il ritiro della parte frontale di numerosi ghiacciai sul versante sud del massiccio centrale dell’Himalaya ad un ritmo molto sostenuto, sia a causa degli incrementi di temperatura, sia della diminuzione delle precipitazioni. Kehrwald e colleghi (2008) puntano invece il dito sul fatto che da 60 anni non si riscontra un accumulo nevoso netto perfino sul ghiacciaio di alta quota Naimona’nyi, che detiene il record di essere il più alto ghiacciaio al mondo a perdere massa.
Ampliando il punto di vista, il lavoro di Ding e colleghi (2006) mostra che anche le tecniche di analisi delle immagini satellitari e GIS evidenziano un regresso complessivo di oltre l’80% dei ghiacciai della Cina occidentale negli ultimi 50 anni, per una perdita complessiva di circa il 4,5% della loro complessiva copertura areale (Ding 2006). Un risultato analogo relativo all’altopiano tibetano lo si ritrova nel lavoro di Yao e colleghi (2007). Ed anche sui giornali si possono trovare svariate notizie di questo tono (per es. qui).
Infine, il lavoro più recente e significativo che mostra la recessione dei ghiacciai in Himalaya è quello di Matsuo ed Heki, dal titolo “Time-variable ice loss in Asian high mountains from satellite gravimetry, Earth and Planetary Science Letters”, uscito sul volume 290 di Earth and Planetary Science Letters del 2010.
A fronte delle molte notizie sul ritiro dei ghiacciai, talora se ne hanno anche alcune relative ad avanzate, che normalmente vengono subito piazzate sulle prime pagine dei siti che demonizzano il global warming, ma purtroppo, come si può leggere ad esempio qui, non si tratta che di esempi isolati, in cui le avanzate dipendono molto spesso da fattori locali o concomitanti (es. incrementi locali delle precipitazioni) che non contraddicono la tendenza generale. Su questi argomenti, le ricerche ed il dibattito nella comunità scientifica sono ancora in corso.
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Abbiamo pertanto capito che sull’AR4 dell’IPCC c’è un errore. È un errore serio, su questo non c’è dubbio, che sarebbe stato meglio evitare e si spera che errori simili possano essere evitati in futuro. Tuttavia il senso del messaggio centrale del rapporto ne esce praticamente immodificato: la maggior parte dei ghiacciai dell’Himalaya, una risorsa di vitale e fondamentale importanza per mezzo miliardo di persone, sta scomparendo.
Concludo citando le parole di uno dei redattori dell’AR4 IPCC, Phil Duffy, riprese su un bell’articolo di James Hrynyshyn (la cui traduzione integrale è riportata su questo sito):
“Le cose capitano, ma cerchiamo di reagire in modo adeguato. I medici fanno errori ogni giorno. (In realtà, gli errori dei medici negli Stati Uniti da soli uccidono centinaia di persone al giorno - l’equivalente di un incidente ad un jumbo-jet). E senza dubbio molti di questi errori avvengono perché vengono ignorate delle ben stabilite procedure, a volte consapevolmente. Questo significa forse che l’intero edificio della medicina occidentale è sbagliato, o che sia pregiudizievole, o che sia il prodotto di una cospirazione, per cui dovrebbe essere cambiato? Certamente no. Inoltre, la professione medica nel suo complesso è ancora tenuta in grande considerazione, come deve essere.”
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Testo di Claudio Cassardo, con il contributo di Paolo Gabrielli
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