Il clima va alla guerra
Qual è l’approccio di un think tank americano che si occupa di sicurezza nazionale e di difesa su cambiamenti climatici e risorse energetiche? Sergio Ferraris incontra a Washington il Cnas, il centro per la nuova sicurezza americana.
Potrebbe sembrare quasi impossibile ai nostri occhi, ma il riscaldamento globale negli Stati Uniti preoccupa anche le forze armate. È questa la prima scoperta, in verità non del tutto nuova visto che qualche giorno fa è uscito un rapporto sull’argomento. Lo veniamo a sapere quando ci sediamo per un briefing al Centro per la nuova sicurezza americana (Cnas), un think tank che «sviluppa politiche forti, pragmatiche e basate su solidi principi per la sicurezza nazionale e la difesa», recita una loro brochure.
«Il nostro approccio circa il cambiamento climatico si basa sulla geopolitica, sulle risorse energetiche, sia sul breve che sul lungo periodo – ci dice Christine Parthemore, ricercatrice del Cnas – Per quanto riguarda gli aspetti concreti, l’Afghanistan è uno degli esempi. Abbiamo investito poi nello sviluppo dell’agricoltura per risollevare l’economia, ma i cambiamenti climatici potrebbero annullare gli effetti dell’investimento, con ripercussioni geopolitiche».
Ma non c’è solo questa questione all’ordine del giorno per il Cnas. Il problema è che i ricercatori del Cnas definiscono il riscaldamento globale una materia rilevante per la sicurezza nazionale e una delle sfide del 21° secolo e vanno oltre, denunciando il fatto che c’è un forte divario tra ciò che afferma la scienza e le politiche della sicurezza statunitense. Tradotto: i cambiamenti climatici esistono, il Cnas collabora con l’Ippc e sa che i loro effetti influenzeranno la sicurezza Usa.
La logistica militare, le missioni, l’atteggiamento delle popolazioni locali, sono tutti aspetti che saranno influenzati dal riscaldamento globale e che potrebbero compromettere e influenzare le missioni. L’erosione costiera potrebbe avere dei riflessi negativi sulla logistica della marina, ma sono i cambiamenti sociali indotti dalle pressioni ambientali in zone strategiche, come Afghanistan, Yemen, Cina a impensierire di più i ricercatori del Cnas.
Sul fronte delle possibili soluzioni ai cambiamenti climatici al Cnas non si pronunciano più di tanto e si limitano a dire che non ci sono stati strappi tra l’amministrazione Bush e quella Obama e che non si notano così grandi cambiamenti. E la logica della quale ci parlano fa trasparire il fatto che al Cnas si limitano a registrare l’esistenza del problema, ed è già un enorme passo avanti, visto che le soluzioni spettano alla politica. A loro basta indirizzare il Dipartimento della difesa alle politiche di adattamento e mitigazione nelle zone dove operano le forze armate.
Poi c’è il discorso delle risorse energetiche che trovano ampio spazio nelle analisi del Cnas, visto che riguardano la sicurezza nazionale, e il Pentagono, si sa, è un grandissimo consumatore d’energia. Tuttavia il dubbio rimane, visto che parliamo pur sempre di forze armate.
È strategico garantire le risorse agli Usa oppure salvaguardarle da un utilizzo eccessivo? Si tratta di una domanda che sorge spontanea visto che tra le aree critiche il Cnas ha inserito l’Antartico. Comunque la buona notizia è che per il Dipartimento della Difesa i cambiamenti climatici esistono e sono un problema.
Sergio Ferraris
direttore responsabile di QualEnergia
|