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[Data: 11/05/2010] [Categorie: Documenti;Ecologia ] [Fonte: Equo] |
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Centrali nucleari: la realtà oltre la propaganda 2 commenti
Il Governo italiano è fortemente determinato a rilanciare l’energia nucleare, sostenendo che sia una fonte fondamentale di cui il mondo, ed anche il nostro paese, non può fare a meno. Tale ipotesi, anche a prescindere dai rischi ambientali e politici connessi a questa tecnologia, guardando la situazione mondiale non ci appare né conveniente, né realistica, per quegli stessi motivi economici che ne hanno limitato lo sviluppo ben al disotto delle aspettative concretizzatesi nei più massicci investimenti di capitali pubblici che una tecnologia abbia mai ricevuto. Infatti, secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, l’energia nucleare nel 2007 contribuiva per un modesto 5,9% ai consumi mondiali di energia primaria, assai meno del 9,8% prodotto dalle energie rinnovabili[1]. Ma, dal momento che l’unica energia utilizzabile prodotta in un centrale nucleare è quella elettrica, il contributo reale alla domanda mondiale di energia primaria è assai più modesto e stimabile in circa il 2%. A dimostrazione di ciò nel 2007 la produzione idroelettrica ammontava a 3.162 TWh contro i 2.719 TWh del nucleare[2] Se guardiamo la figura 1, è facile constatare che circa il 70% dei reattori nucleari oggi in funzione sono stati realizzati fra il 1975 e il 1985, e quindi verranno chiusi entro il 2030. Ciò significa che per mantenere l’attuale potenza nucleare, considerando costi di realizzazione stimati in 7 $/W (5,46 €/W) (stima di Moody’s Investors-2008)[3], sarà necessario sostituire circa 250 GW che saranno chiusi, con un costo di circa 1.365 miliardi di euro. Se a questo aggiungiamo i costi di smantellamento dei vecchi impianti e di gestione delle scorie, che sono addirittura più alti dei costi di costruzione, si comprende perché il nucleare riveste un ruolo marginale nel futuro energetico mondiale. A questo aggiungiamo le permanenti incertezze su costi ed affidabilità per la gestione finale delle scorie[4] e il fatto che il costo dell’uranio è aumentato di 10 volte fra il 2003 e il 2007. Bisogna anche notare che nessuna nazione europea, e tanto meno l’Italia, produce o ha riserve di Uranio, per cui non sarà certo lo sviluppo del nucleare che potrà aiutarci ad avere maggior indipendenza energetica. Il costo dell’uranio, poi, è destinato a crescere per il fatto che dopo il 2030 saranno esaurite le miniere ad alta concentrazione in giacimenti sabbiosi e quindi facili da trattare (soft ore) e si dovrà ricorrere all’estrazione di uranio da graniti (hard ore) e ad una concentrazione di uranio decine di volte inferiore. Ciò implicherà costi molto più elevati e più alti consumi di combustibili per la sua estrazione. Si prevede che i crescenti consumi delle attività di estrazione porteranno rapidamente le emissioni di CO2 del kWh nucleare a superare quelle relative alle centrali a gas, smentendo anche il presunto ruolo dell’energia nucleare in uno scenario di riduzione delle emissioni (si veda figura 2) [5]. Viene quindi a cadere, nel medio termine, anche l’argomento che il nucleare possa essere una risposta ai cambiamenti climatici. Un altro argomento dei sostenitori del ritorno al nucleare è che ciò garantirebbe una maggiore indipendenza energetica del nostro paese; anche questa ci appare una tesi alquanto singolare. A parte il fatto cvhe in Italia non ci sono miniere di uranio, la filiera nucleare richiede tutta una serie di attività ed impianti costosi e per certi versi più pericolosi del reattore stesso (figura 3). Tutti i paesi che utilizzano in modo significativo questa fonte energetica si sono dotati di una propria filiera che al più esclude solo la fase mineraria fino alla produzione del cosiddetto “yellow cake”. Non sviluppare una filiera nazionale significa far dipendere la produzione di energia elettronucleare in tutto e per tutto dal paese d’appoggio. Per quanto riguarda l’Italia dove il governo prevede di allacciare le centrali che intende realizzare, alla filiera francese, sarà come offrire alla Francia dei siti sul nostro territorio per realizzare impianti dei quali avrà il pieno controllo. Inoltre, sempre secondo il già citato rapporto di Moody’s, il costo del kWh nucleare sta aumentando del 7% all’anno, e quindi nel 2020 sarà raddoppiato passando dagli attuali 0,07 € a 0,14 €. Ciò comporta che se per quella data il 25% dell’elettricità verrà prodotta dal nucleare, come nei piani del nostro governo, la bolletta elettrica degli italiani sarà più pesante del 25%; cioè su una bolletta annua di 500 € il cittadino si troverebbe a pagare ben 125 € in più. Come affermare allora che la costruzione di centrali nucleari abbasserà il costo dell’energia in Italia. Di fronte a questi dati appare invece un enorme problema etico; la nostra generazione potrà avere l’opportunità economica di sfruttare questa tecnologia nucleare solo perché ne farà pagare i costi maggiori alla generazione seguente e l’onere di custodire le scorie contenenti plutonio per oltre 100.000 anni a tutte le generazioni che verranno. Questo ci pare immorale ed inaccettabile. Sorge allora spontanea la domanda: cui prodest? Non è difficile trovare la risposta. Gioverà a tutte quelle imprese che andranno incontro all’industria nucleare francese che si trova alla vigilia di uno sforzo economico ciclopico per chiudere le sue centrali più vecchie, pronta quindi a svendere ai “saldi di fine stagione” una tecnologia al tramonto. D’altra parte un (ex) ministro che pensa che le case al Colosseo costino come quelle di Centocelle, può anche avere idee confuse sul costo dell’energia. L’utopia che vi propongo, e questa volta è una utopia al limite dell’irrealizzabile, è che il nostro premier, invece di promettere propaganda televisiva a reti unificate per inculcare negli italiani che il nucleare è bello, buono, sicuro e poco costoso, dica la verità sul perché vuole trascinare il paese su questa avventura anti-economica e pericolosa. Alla prossima utopia. |
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