c Profughi ambientali, vittime invisibili del cambiamento climatico - 08/06/2010 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 08/06/2010]
[Categorie: Pace ]
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Profughi ambientali, vittime invisibili del cambiamento climatico
Si chiamano profughi ambientali e sono milioni di persone costrette a lasciare i propri territori per gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici. La Convenzione di Ginevra non ne riconosce lo status, per questo restano tutt'ora invisibili all'interno del diritto internazionale. Eppure l'Unhcr ha stimato che nel 2050 raggiungeranno i 200 milioni di individui.

Secondo l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) e l'International Organization for Migration (Iom), entro il 2050 si raggiungeranno tra i 200 ed i 250 milioni di individui coinvolti in migrazioni (una ogni 45 nel mondo) dovute ad eventi meteorologici estremi e sempre più frequentemente causati dai cambiamenti climatici, con una media di 6 milioni di uomini e donne costretti ogni anno a lasciare i propri territori.

Nel 2008 4,6 milioni sono stati profughi in fuga da guerre e violenze, mentre 20 milioni le persone costrette a spostarsi per questioni legate al cambiamento climatico.

Una delle prime cause passibili di produrre rifugiati ambientali è il costante innalzamento del livello del mare, che potrebbe progressivamente rendere inabitabili le zone costiere (Bangladesh) ed interi Stati costituiti da piccole isole dell’Oceano Pacifico (2000 abitanti delle Isole Carteret, arcipelago della Papua Nuova Guinea, e 100.000 della Repubblica di Kiribati, combattono contro l'avanzata dell'Oceano ogni giorno). Al secondo posto ci sono le inondazioni e gli uragani. Le prime, danneggiando i raccolti e le strade per raggiungere le zone agricole creano forti criticità alimentari.

Un terzo ordine di fenomeni, seppure non riconducibile al cambiamento climatico, sono i terremoti che, in base alla loro entità, possono arrivare a causare centinaia di migliaia di profughi ambientali.

Se una parte preponderante del problema rimane comunque il cambiamento climatico e le sue conseguenze sulle popolazioni, non è da sottovalutare nemmeno la crepa che, a proposito, si apre nell’assetto giuridico internazionale poiché la figura del “profugo ambientale” non esiste non essendo stato riconosciuto come “rifugiato” dalla Convenzione di Ginevra del 1951, né dal Protocollo supplementare del 1967. Questo porta anche all’impossibilità di stabilire effettivamente quanti siano i rifugiati ambientali. Secondo l’articolo 1 della Convenzione ha diritto allo status di rifugiato “qualsiasi persona che, a motivo di un ben fondato timore di essere perseguitata per questioni di razza, religione, o opinioni politiche, si trova all’esterno del paese di cui possiede la nazionalità, e non può o, a motivo di tale timore non vuole, avvalersi della protezione di quel paese”. Tutti i richiedenti asilo che non rientrano nella definizione della Convenzione di Ginevra vengono classificati:

profughi ambientali convenzione ginevra
La figura del “profugo ambientale” non è riconosciuta come “rifugiato” dalla Convenzione di Ginevra
- Rifugiati “de facto”, coloro che di fatto sono ospitati da un paese per motivi umanitari;

- Rifugiati “in orbita”, persone che cercano asilo in un paese terzo, diverso dal primo paese di soggiorno;

- Immigrati, coloro che migrano per ragioni economiche e non possono avvalersi del fatto di subire persecuzione da parte dello stato di origine, quindi non hanno titolo di protezione dall’Alto Commissariato;

- Rifugiati ambientali, coloro che fuggono dalle catastrofi ambientali a cui l’Alto Commissariato offre soltanto assistenza primaria per motivi umanitari.

Fu nel 1985, quando Essam El-Hinnawi, allora direttore dell’United Nations Environmental Programme (UNEP), li definì come “persone che hanno dovuto forzatamente abbandonare le loro abitazioni per necessità temporanee o permanenti a causa di grandi sconvolgimenti ambientali (naturali e/o indotti dall’uomo), che hanno messo in pericolo la loro assistenza, o danneggiato seriamente la loro qualità di vita”, che i rifugiati ambientali hanno avuto visibilità per la prima volta.

Norman Myers, uno dei maggiori studiosi della materia, approfondisce ulteriormente la questione avanzando variabili aggiuntive come la crescita demografica e la condizione di povertà, spesso concausa dei processi di declino ambientale insieme a fattori ambientali come siccità, desertificazione, erosione del suolo, deforestazione, ristrettezze idriche e cambiamento climatico, come pure disastri naturali quali cicloni, tempeste e alluvioni.

Quando pensiamo a questa particolare figura, la prima cosa che ci immaginiamo è la grande massa di popolazioni costretta a cercarsi un altro posto dove vivere, come ad esempio le popolazioni costiere spazzate via nel 2004 dallo Tsunami che devastò il sud-est asiatico. Quanto sostenuto da Myers, tuttavia, ci induce a scoprire tanti altri fenomeni “minori” che hanno ugualmente forti conseguenze sulle popolazioni dei territori su cui si sviluppano. Alcuni esempi ci portano in Marocco, Tunisia e Libia dove ogni anno la desertificazione si porta via oltre 1.000 km quadrati di terre produttive. In Egitto, invece, a mangiarsi la terra è la salinizzazione; mentre in Turchia 160 mila km quadrati di terra agricola subiscono l'effetto dell'erosione.

desertificazione
In Marocco, Tunisia e Libia ogni anno la desertificazione si porta via oltre 1.000 km quadrati di terre produttive
In Alaska, il progressivo scioglimento del permafrost sta condannando centinaia di piccoli centri abitati sulle coste settentrionali a franare nel mare Artico. In questo scenario di progressivo collasso è coinvolta anche l’Italia che negli ultimi 20 anni ha subito il triplicarsi dell'inaridimento del suolo con la stima, tutt’altro che confortante di un 27% del territorio, quello meridionale, a rischio desertificazione e si stima che il 27 % del territorio nazionale rischia di trasformarsi in deserto. La Puglia è in testa con il 60% della superficie a rischio, seguita da Basilicata (54%), Sicilia (47%) e Sardegna (31%). Uno scenario poco rassicurante in cui i profughi ambientali sono destinati a crescere e non soltanto nel terzo mondo, dove le catastrofi naturali sono fisiologiche alla povertà.

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