La geopolitica del petrolio
ENERGIA. Il maggior produttore di oro nero al mondo è l’Arabia Saudita: 10 milioni di barili al giorno. Ma è vicina al suo massimo. L’Iran ne estrae 4, ma può arrivare a 7. E qui le majors americane non possono operare.
Il petrolio resta un prodotto strategico, al centro della lotta geopolitica, con problemi che riguardano il controllo, fisico e politico delle risorse e quello strategico delle vie di trasporto. Il World Energy Outlook 2009 dell’Agenzia Internazionale per l’Energia quantifica la domanda di petrolio, in 105 milioni di barili il giorno (mbl/g) nel 2030 (85 mbl/g nel 2008). Il settore dei trasporti sarà responsabile del 97% dell’aumento di consumo di petrolio. L’Iran occupa una posizione strategica nel Golfo Persico, tenendo sotto tiro i giacimenti di Arabia Saudita, Kuwait, Irak ed Emirati Arabi che tutti insieme detengono il 50% delle riserve di petrolio. Inoltre, si affaccia sullo Stretto di Hormutz, il piccolo passaggio da dove transita il 40% delle esportazioni totali di petrolio. Secondo la “bibbia “ dei petrolieri, “Oil and Gas Journal”, l’Iran è addirittura il secondo detentore di riserve di petrolio e con il 16% di riserve mondiali di gas si colloca appena dietro la Russia.
L’elemento più importante da considerare è il potenziale di crescita iraniana. L’Arabia Saudita possiede maggiori riserve ma estrae petrolio per una quantità vicino al massimo (10 milioni di barili al giorno) mentre l’Iran ne estrae 4, ma può arrivare a 7 mb/g. Nessun Paese al mondo possiede tale potenziale di crescita. L’Iran inoltre ha sottoscritto un contratto con la principale impresa energetica cinese, la Sinopac per lo sfruttamento di uno dei più grandi giacimenti di gas. Analogo accordo è stato firmato con l’indiana Gas Authority of India Ltd. Probabilmente lo slittamento del Medio Oriente, verso l’Asia e la centralità del ruolo dell’Iran nel futuro equilibrio del mercato energetico mondiale ha generato altri motivi di apprensione per l’Occidente. Le majors americane infine non possono operare in Iran per sviluppare le notevoli risorse d’idrocarburi a causa dell’Executive Order firmato da Clinton nel 1995.
Non appaiono tali elementi di analisi come fantasie cospiratoriali e dietrologiche, perché l’ex capo di Federal Reserve, Greenspan nel suo libro “L’era della turbolenza” ha tranquillamente affermato che la guerra all’Iraq era «in gran parte per il petrolio». Affermazione confermata dal presidente del Comitato Esteri della Camera dei Rappresentanti, il democratico Lantos (intervista alla Cnn del 2007). Se a tali elementi aggiungiamo le valutazioni degli esperti scientifici sull’esauribilità del petrolio e non ci lasciamo ammaliare dagli esperti consulenti delle compagnie petrolifere, diventa ancora più impellente la scelta del perseguimento dell’efficienza energetica, dell’espansione delle energie rinnovabili e degli investimenti nella ricerca in campo energetico.
In un articolo apparso sul Financial Times del 16 ottobre 2006, l’attuale Presidente di Eni Paolo Scaroni affermava che se gli americani usassero automobili europee o comunque con consumi come quelle europee, risparmierebbero quattro milioni di barili il giorno, che è l’equivalente della produzione dell’Iran. Se tutta l’area Ocse usasse automobili di ultima generazione, dove con un litro si compiono 20 chilometri, il risparmio globale sarebbe pari a 10 mb/g, pari alla produzione dell’Arabia Saudita, che è il primo produttore mondiale di petrolio e più del consumo di Cina e India messe insieme. E ancora: se gli americani regolassero riscaldamento e aria condizionata secondo i criteri europei si risparmierebbero altri 5 mb/g che sommati ai precedenti 10 mb/g determinerebbero una riduzione pari a circa il 18% della domanda di petrolio del 2008.
Risparmio ed energie rinnovabili potrebbero concorrere alla sicurezza energetica, allo sviluppo della democrazia (la ricchezza energetica contribuisce a rendere autoritari i paesi produttori), la lotta alla destabilizzazione del clima in un mondo con meno tensioni e conflitti. Pesano su tali lungimiranti scelte oltre alla voglia “egemonica” i proventi della pesante tassazione che gli Stati operano sul petrolio. Tra il 2000 e 2006 i Paesi del G7 hanno guadagnato 2310 miliardi di dollari, di molto superiore ai 2045 miliardi di dollari introitati dai paesi Opec (esportatori di petrolio) cui vanno sottratti i costi per produzione e trasporto.
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