La vita quotidiana così legata alla scienza
Scienza e tecnologia si traducono in oggetti d’uso e dispositivi, “terminali” di una filiera lunga di saperi, di sfruttamento globale della biosfera e di nessi sociali e produttivi.
La scienza e la sua traduzione tecnologica determinano in larga misura i tempi e i modi della vita (individuale, sociale, produttiva) e della soddisfazione dei bisogni (quando non i bisogni stessi): non solo investono quasi ogni aspetto della vita e mediano gran parte del rapporto con la natura, ma anche creano nuove “dimensioni” intrinsecamente tecnologiche; in questa “immanenza” ci sono quindi alcuni tratti di inedita intensità rispetto alla semplice manipolazione del naturale che è una caratteristica specifica dell’uomo.
Scienza e tecnologia si traducono in oggetti d’uso e dispositivi, “terminali” di una filiera lunga di saperi, di sfruttamento globale della biosfera e di nessi sociali e produttivi che sono continuamente rideterminati (o nascono) attorno alla disponibilità di questi terminali, rendendoli la risposta standard agli stimoli che essi stessi (i nessi) producono. La soddisfazione dei bisogni viene determinata, definita, diviene normale, universale ed obbligata, intensificando ed estendendo l’aderenza al sistema che li rende disponibili e inevitabili.
L’utilizzo di tali “terminali” è mediamente inconsapevole della complessità che li ha prodotti, appare necessario ed inevitabile, quasi si trattasse dell’accesso ad un nuovo “naturale” nel quale siamo immersi e si accompagna ad una scarsa comprensione della connessione di scienza e tecnologia con le strutture sociali, produttive e di potere (quale specie sceglierebbe, altrimenti, di saturare l’ambiente in cui vive di agenti letali, altamente tossici o cancerogeni per la propria stessa biologia?).
La filiera di produzione di questi “terminali” (che include lo sviluppo dei saperi e il loro copyright, le risorse naturali ed energetiche) e la complessità della loro interazione con l’ecosistema (il cosiddetto “impatto”, sia della produzione sia dell’utilizzo sia della dismissione) sono dissimulati nella narrazione di una riserva senza limiti sia nella capacità di fornire approvvigionamento sia nella capacità di riassorbire lo scarto del metabolismo tecnologico (si legga: “inquinanti” e rifiuti). La naturale ciclicità dei flussi di materia ed energia in natura è quindi sostituita da un percorso rettilineo del quale solo la breve finestra dell’utilizzo del “terminale” è visibile. L’origine, la natura ed il percorso di tali flussi rimangono nascosti e spesso incomprensibili e, quindi, al di là di ogni possibilità di scelta e di governance collettive.
La tecnologia contemporanea ha aumentato la potenza della pressione antropica, agendo più in profondità nei meccanismi biologici e fisici, incidendo su scala planetaria e proiettandosi per centinaia o migliaia di anni nel futuro: dal cambiamento climatico all’estinzione di biodiversità, dall’utilizzo del suolo alla progressiva ubiquità di composti tossici, la potenza distopica del tecnomondo è indubbia. L’attuale “crisi ecologica” sta avvenendo in tempi tanto rapidi da esaurire la capacità dell’ecosistema di provvederci di quei beni e servizi “critici” dai quali dipende il benessere, o la sopravvivenza, della nostra specie (e di molte altre).
Questa crescente difficoltà è dissimulata quasi completamente dall’immersione nel tecnomondo, a costi sempre maggiori e al prezzo aggiuntivo della più profonda ed estesa situazione di sfruttamento e di ingiustizia sociale ed economica che si sia mai conosciuta nella storia dell’umanità.
Tutto ciò non è né necessario né intrinseco alla scienza, ma è invece conseguenza del profitto come logos universale, della richiesta del capitale di una veloce espansione delle conoscenze e dalla loro traduzione tecnologica immediata, alla ricerca della massima profittabilità di ogni processo (la green economy non è che il tentativo di internalizzare lo stress dell’ecosistema).
Poiché scienza e tecnologia non si danno al di fuori di una struttura sociale e produttiva, con la quale rimangono intrecciate, la prospettiva ovvia è l’abbandono del mercato come struttura universale e l’esodo verso la richiesta di massimo vantaggio “comune” prima che di massimo profitto. Ed è proprio dalla scienza impariamo che il massimo vantaggio si interseca con la preservazione della capacità dell’ecosistema di fornire senza stress quella rete complessa di servizi e beni cui si accennava poco sopra.
Se e come questo esodo sia possibile rimane una domanda aperta, un terreno di sperimentazione e di riappropiazione di diritti e di conoscenza entro la prospettiva di (ri)costruzione del “comune”, capace di comprendere in una narrazione complessiva le istanze di giustizia sociale ed ecologica.
Come per l’acqua, la possibilità di massimo vantaggio “comune” si dà nella sottrazione alla logica del profitto e nella restituzione alla dimensione della giustizia e del diritto di accesso universale, intersecandosi con la località, la cura e la preservazione delle risorse.
È necessario ripensare in questa prospettiva l’intreccio del “comune naturale” costitutivo della vita e del “comune artificiale” necessario per l’accesso al naturale per il suo utilizzo efficiente, consapevole e prudente. Una prospettiva che intrinsecamente comprende la circolarità e la località dei flussi di materia ed energia, restituendogli “visibilità” e governance nella loro interezza, conducendo in modo ovvio allo sviluppo di un pensiero ecosistemico.
Fondamentale tappa di questo percorso è l’energia, processo produttivo di primaria importanza, motore della potenza e del profitto, che determina i, ed è determinata dai, nessi sociali, produttivi e di comando a livello locale e globale. A fronte della crisi energetica che viene, e di un nuovo paradigma energetico centrato sulle sorgenti di energia diffuse e a bassa intensità (sole, vento, geotermia, ecc), questo terreno, che attraverseremo andando verso Cancun e oltre, è il prossimo teatro di costruzione di un diritto di accesso universale all’energia al di fuori del mercato: una sorta di “reddito di cittadinanza energetico”, che dia corpo e prospettiva al concetto di indipendenza della vita dal paradigma di profitto e accumulazione.
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