Bilancio mondiale: sempre più ricchi, sempre più poveri
La principale caratteristica del mondo capitalista, in tutte le sue fasi storiche, ma soprattutto nell'attuale epoca di globalizzazione imperialista, è la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi.
Per questo, nonostante le ultime crisi del capitale finanziario/speculativo - o forse proprio grazie a queste, perché durante la recessione c'è sempre qualcuno che guadagna e quel qualcuno sono i più ricchi - questi ultimi sono diventati sempre più ricchi, mentre i poveri sono aumentati numericamente, trovandosi sempre più poveri.
Riguardo questo aspetto, Merrill Lynch ha riportato che nel 2009 "nonostante la recessione", il numero di milionari nel mondo è cresciuto, così come è stato registrato un aumento percentuale di due cifre, rispetto all'anno precedente, della loro ricchezza. Il numero di milionari è aumentato del 17,1%, pari a 10 milioni di individui nel 2009, con un capitale complessivo accresciuto del 18,9%, ossia di 38 miliardi di dollari.
La maggioranza di questi "individui dall'alto valore netto" (53,5%), crema degli uomini più ricchi del mondo perché accumulano questa ricchezza prodotta, concentrata e centralizzata in alcuni pochi paesi che beneficiano di questa concentrazione di capitali finché non cadono sotto il suo controllo, si trovano negli Stati Uniti, in Giappone e Germania.
Ma a questo fine funziona e si muove la dinamica del capitalismo da sempre, dalla produzione in serie con la macchina a vapore del secolo XVIII, fino ai movimenti speculativi delle grandi Borse del mondo nel secolo XXI: per produrre ricchezza. Ricchezza che si deposita nelle mani di pochi.
Questo modello iniquo prevede lo sfruttamento di tutte le mani del mondo, affittate al costo di un salario, per la produzione della suddetta ricchezza, il cui usufrutto ricade nelle mani di altri (coloro che creano le condizioni del capitale produttivo). Il plusvalore, in forma di prodotto aggiunto, si realizza attraverso la commercializzazione nel mercato che lo converte in capitale; poi si riproduce da solo inserendosi di nuovo nel processo produttivo, creatore della suddetta ricchezza, appropriandosi di nuovo del frutto del lavoro fino a raggiungere le banche e trasformarsi in capitale finanziario, nelle mani di pochissimi individui.
Sicuramente questo processo di concentrazione e centralizzazione della ricchezza ha la sua spiegazione scientifica, ampia e complessa, ma abbastanza chiara da comprendere alla luce dei dati empirici. Niente dell'altro mondo. Perché è il fondamento stesso della produzione di capitale. Tutto quello che ne deriva sono forme più sviluppate, adottate nella realtà.
Sicuramente i paesi più sviluppati sono quelli dove si concentra questa ricchezza, come i sopracitati Stati Uniti, Giappone, Germania, ma gli altri non rimangono a guardare. Al punto che lo stesso rapporto Merril Lynch informa che in America Latina si trovano 500mila milionari - il maggior numero mai raggiunto da questa regione del mondo - che equivale all'8,3% della popolazione mondiale, in crescita del 15% nel 2009 rispetto all'anno precedente.
Questo significa, in parole povere, che la creazione di ricchezza non si ferma finché non si fermano le mani che la creano. Malgrado la vita della classe operaia sia, in maniera diseguale, sempre più cara perché crescono i prezzi dei beni di prima necessità, mentre i salari si deprezzano e si riduce il potere d'acquisto.
Nello stesso tempo gli uomini ricchi - restii a esporre i propri soldi a qualche rischio - preferiscono investire in strumenti a "tasso fisso" piuttosto che nel mercato azionario speculativo, di più rapido profitto.
Gli effetti del sistema non si esauriscono in questo. Aumenta il cinismo dei ricchi e dei loro portavoce più visibili, come Robert Zoellick, il presidente della Banca Mondiale, che ha avuto il coraggio di dichiarare che il concetto di "Terzo Mondo" non esiste più. Che è sparito nel 2009 perché non esiste più una "sezione separata dell'umanità che è povera" e dipendente dall'aiuto estero, di cui al mondo ricco interessa poco. La postilla è la seguente: mentre i paesi del "mondo ricco" escono a fatica dalla recessione, Asia, Africa e America Latina "accelerano e contribuiscono più che mai alla produzione mondiale".
Come se questa peculiarità, per lo più congiunturale nello stato attuale della crisi, fosse destinata a consolidarsi come dinamica permanente ed i suddetti paesi cominciassero a dipendere sempre meno dai paesi ricchi fino a superarli. Niente di più falso, se si vede la realtà con la lente d'ingradimento e al di fuori dei dettami del sistema. E nonostante "i paesi in via di sviluppo si siano trasformati in altra cosa: motori dell'economia mondiale". Perché dal 2008 in poi, secondo la Banca Mondiale, questi paesi hanno contribuito quasi esclusivamente allo sviluppo economico, rappresentando il 43,4% del reddito globale mentre, a parità di potere d'acquisto, nel 1980 rappresentavano appena il 33,7%.
Trarre conclusioni sarebbe, però, ingannevole. Anche se "il debito pubblico lordo dei paesi ricchi aumenterà dal 75% del PIL del 2007 al 110% stimato per il 2015", a quanto riferito dal Fondo Monetario Internazionale, e "nei mercati emergenti il debito pubblico è inferiore al 40% del PIL e tenderà a sgonfiarsi ulteriormente", il 63% dei bambini latinoamericani, secondo un rapporto della Cepal, patisce un qualche tipo di povertà di cui subirà gli effetti in futuro.
Il problema è che il mondo si polarizza sempre di più: i ricchi diventano più ricchi, i poveri più poveri. Nello stesso anno in cui, secondo la Banca Mondiale, il Terzo Mondo ha smesso di esistere "più di mille milioni di persone vivono con 1,25 dollari o meno al giorno", più di quando si coniò il termine Terzo Mondo. Di che si tratta allora? Di una presa in giro portata avanti dai ricchi e dai portavoce dei ricchi per confondere o continuare a giustificare la concentrazione di una maggiore ricchezza in poche mani. L'imperialismo come peggiore fabbrica dei poveri, nel tuttora esistente Terzo Mondo.
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