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[Data: 20/07/2010] [Categorie: Scienza ] [Fonte: climalteranti] |
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Il “gemello cattivo” del surriscaldamento globale L’acidificazione degli oceani ha pesanti conseguenze sugli ecosistemi marini di tutto il pianeta. La causa di questo fenomeno č l’incremento delle concentrazioni di CO2 atmosferico. Ed č un impatto che ci sarebbe anche se il CO2 non surriscaldasse il pianeta. A supporto della necessitŕ di ridurre l’uso di combustibili fossili si citano spesso due argomenti molto validi, il surriscaldamento globale e la riduzione delle riserve dei combustibili fossili, petroliferi in particolare. Ce n’č un terzo, molto importante ma spesso dimenticato. Qualcuno lo chiama il “gemello cattivo” del surriscaldamento globale antropogenico: l’acidificazione delle acque marine conseguente alle emissioni di CO2 nell’atmosfera. Si tratta di un tipo di impatto che non č legato all’effetto serra, ossia la cattura di energia solare da parte dei “gas-serra” presenti nell’atmosfera: alla base dell’acidificazione dell’acqua dei mari vi č invece una reazione nota a chiunque abbia un po’ di dimestichezza con la chimica. Poi l’unico responsabile č il biossido di carbonio; gli altri gas-serra (tra cui ad esempio il metano) non c’entrano. . Il fatto che i danni causati dall’acidificazione delle acque marine non siano legati direttamente al riscaldamento globale fa sě che non siano pertinenti le polemiche sul riscaldamento passato, attuale e futuro. Anche se la CO2 non surriscaldasse pericolosamente il pianeta, avremmo comunque buoni motivi per ridurne le emissioni: preservare gli ecosistemi marini dai danni dell’acidificazione. I mari subiscono danni di varia natura per diverse cause. In questo articolo abbiamo deciso di concentrare l’attenzione sull’acidificazione e sul suo peculiare meccanismo d’azione. Si noti che gli effetti nefasti dell’acidificazione si aggiungono agli altri e peggiorano una situazione giŕ compromessa dall’aumento di temperatura. Come il termine “effetto serra” č talvolta causa di equivoci, dato che il riscaldamento nelle serre comunemente usate in agricoltura funziona diversamente da quello dell’atmosfera, cosě il termine “acidificazione” non significa che l’acqua marina diventi acida (cioč che il suo pH diventi minore di 7); significa invece che il pH diminuisce (di qualche decimo come vedremo) rimanendo perň superiore a 8 cioč in territorio basico o alcalino: piuttosto che “acidificazione” bisognerebbe quindi a stretto rigore usare il termine “de-alcalinizzazione”. Puň sembrare una sottigliezza bizantina, tutto sommato marginale, ma č bene chiarire la questione subito a uso degli amanti dei peli nell’uovo. Il motivo davvero importante per cui i due fenomeni sono “fratelli cattivi” č che entrambi causano danni potenzialmente devastanti all’ambiente in cui l’umanitŕ vive. Circa un terzo del CO2 che noi umani emettiamo bruciando combustibili fossili, producendo cemento e deforestando viene assorbito dall’acqua dei mari dove si trasforma in acido carbonico secondo la reazione H2O CO2 → H2CO3. L’acido carbonico in acqua ha una concentrazione bassa e si dissocia rapidamente formando ioni bicarbonato e carbonato e liberando ioni H . Piů CO2 viene immessa in atmosfera, piů cresce la concentrazione di H che si misura con la diminuzione del pH. La diminuzione media globale del pH negli ultimi due secoli circa č stata stimata poco piů di 0.1 che sulla scala logaritmica del pH corrisponde a un aumento di circa il 30% degli ioni H . La figura precedente riassume le variazioni globali stimate di aciditŕ superficiale delle acque marine nel periodo indicato. Le acque piů fredde assorbono piů CO2, infatti i mari alle alte latitudini sono piů colpiti dall’acidificazione. D’altra parte l’acqua riscaldandosi assorbe meno CO2 (si pensi alle bevande gassate) e dunque si acidifica meno. Si potrebbe pensare che il surriscaldamento globale contrasti in questo modo l’acidificazione (una specie di feed-back negativo) ma si tratta di un effetto piccolo, quantitativamente marginale. La maggior concentrazione di ioni H puň danneggiare in vari modi il biota marino. L’aspetto piů studiato sino ad ora č la biocalcificazione, cioč la formazione del carbonato di calcio CaCO3 (ad esempio aragonite o calcite) di cui sono costituiti i gusci e gli scheletri di molti organismi marini quali coralli, conchiglie e plankton. Se le acque sono piů acide questi organismi non possono svilupparsi e proliferare adeguatamente con conseguenti gravi danni all’ecosistema. Inoltre il degrado delle barriere coralline danneggia gli organismi che vi trovano rifugio e nutrimento, anche quelli che non soffrono direttamente per la maggiore aciditŕ. Per farsi un’idea dei danni che possono subire le barriere coralline, ecosistemi delicati e meravigliosamente complessi, si osservino le due fotografie seguenti che mostrano, rispettivamente, una zona di barriera corallina sana e una danneggiata dal fenomeno di sbiancamento, cioč la progressiva perdita delle microalghe che ricoprono i coralli e che ne sostengono la crescita. Lo sbiancamento dei coralli avviene per tanti fattori tra cui il piů importante č la temperatura. L’acidificazione peggiora quindi una situazione compromessa in partenza dall’aumento di temperatura degli oceani. Si potrebbe obiettare che in fondo la bellezza delle barriere coralline non ha utilitŕ pratica e la loro perdita sarŕ dopo tutto rimpianta solo dagli appassionati subacquei che possono permettersi costose vacanze nei mari tropicali. In realtŕ il fenomeno colpisce tutti i mari, non solo quelli tropicali. E gli organismi colpiti dall’acidificazione stanno proprio all’inizio della catena alimentare marina all’altra estremitŕ della quale stiamo noi umani, non solo i modaioli mangiatori di sushi ma tutte le popolazioni che vivono di pesca e ne fanno la loro principale fonte di proteine. Ecco perché il termine “gemello cattivo” č ampiamente giustificato. Ci sono poi altri effetti ancora non molto noti degli impatti dell’acidificazione. Ad esempio, i pesci si orientano per mezzo di strutture calcaree situate nell’orecchio interno (gli otoliti), la cui formazione potrebbe essere danneggiata anche da piccole variazioni di pH. Altre specie marine si nutrono di pteropodi, piccoli molluschi con guscio aragonitico come i sea angels che si trovano soprattutto nelle acque antartiche, che hanno mostrato grande sensibilitŕ a variazioni di pH. Non sappiamo ancora quale possa essere l’influenza dell’acidificazione sull’intero ecosistema dell’oceano, ma le attuali evidenze sono preoccupanti. Č noto infine che il paleo-clima č stato ricostruito mediante l’analisi delle carote di ghiaccio che ha permesso di determinare l’andamento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera fino al lontano passato. Anche la variazione di pH delle acque superficiali č stata ricostruita con tecniche analoghe che includono l’analisi dei gusci di foraminiferi: pur con le ovvie cautele del caso il parallelismo messo in evidenza dal grafico seguente (notare la doppia scala, rossa e azzurra) č impressionante. Sono state individuate estinzioni di massa di alcuni organismi marini nei periodi di massima acidificazione. In conclusione, vi č crescente evidenza scientifica anche su questo danno causato dal CO2. Un elenco ricco e aggiornato di pubblicazioni scientifiche sul tema dell’acidificazione dei mari č disponibile all’indirizzo web: http://agwobserver.wordpress.com/2009/09/23/papers-on-ocean-acidification Di seguito alcuni riferimenti alla letteratura scientifica sull’argomento: Doney, S.C. et al. Ocean Acidification: The Other CO2 Problem. Annu. Rev. Mar. Sci. (2009). De’ath et al. Declining Coral Calcification on the Great Barrier Reef. Science (2009). Pelejero, C. et al. Paleo-perspectives on ocean acidification. Trends in Ecology & Evolution (2010). Ecco, infine, alcune risorse di piů facile approccio, comunque serie e accurate. Video documentario di EUR-Oceans Consortium Climateshifts, un blog di esperti di clima e oceani Ocean Carbon & Biogeochemistry (OCB) European Project on Ocean Acidification . Testo di Gianfranco Bernasconi, con contributi di Stefano Caserini, Claudio Cassardo e Marcello Vichi |
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