L’invenzione delle contrapposizioni scientifiche
Pur se non mancano punti da meglio chiarire sia sul tema dei cambiamenti climatici che sulla teoria dell’evoluzione, l’esistenza del disaccordo scientifico su questi temi è in larga parte il risultato di costruzione giornalistiche.
Nell’articolo del Prof. Panebianco di cui si è parlato nel post precedente c’è un altro aspetto trattato in modo insoddisfacente, la genericità con cui viene descritta l’esistenza del disaccordo scientifico.
Un primo aspetto che viene dimenticato, e sul tema dei cambiamenti climatici è una dimenticanza importante, è che l’esistenza di dati contraddittori e il disaccordo scientifico possono essere il risultato di una volontaria “creazione” dell’incertezza, al fine di prolungare il dibattito, impedendo decisioni indesiderate ad alcuni interessi particolari.
Inoltre, le contraddittorietà e i contrasti esistenti, secondo Panebianco, sul clima e sulla teoria dell’evoluzione, sono in larga parte creati dai mezzi di comunicazione, in cui abbondano giornalisti, redattori ed opinionisti che per propria impostazione ideologica o per compiacere gli editori riescono a costruire controversie anche laddove non esistono.
C’è davvero oggi un disaccordo nell’attribuzione alle attività umane del riscaldamento degli ultimi decenni? Esiste davvero un contrasto sulle spiegazioni scientifiche dell’origine dell’uomo? Le “teorie alternative” sulle responsabilità del sole, o del creazionismo, sono davvero un punto di dibattito importante fra gli esperti del settore?
Pur se ha suscitato clamore che il Vice Presidente del CNR abbia messo in discussione la validità della teoria dell’evoluzione, esiste una reale disputa scientifica sulla teoria dell’evoluzione? No di certo.
Pur se periodicamente sono pubblicati articoli che propongono nuove teorie per spiegare i cambiamenti climatici attuali, hanno quel minimo di solidità per diventare argomento di dibattito fra gli esperti del settore? Sembra proprio di no.
Questo non significa che, per i cambiamenti cimatici o la teoria dell’evoluzione, tutto sia già stato spiegato, o che ci sia l’unanimità ma piuttosto che il dibattito vero è altrove, su temi molto più complessi, meno “sexy”.
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Il contesto
Un problema finale dello scritto di Panebianco non è ascrivibile all’autore, ma al contesto in cui si colloca: un giornale, il Corriere della Sera, che sembra avere come scelta redazionale quella di gettare fango sulla scienza del clima, con titoli e sottotitoli che ripropongono tesi fuorvianti, non provate o palesemente false.
Il titolo “Neo Dogmatici. Quando gli scienziati non ammettono errori” non c’entra con lo scritto di Panebianco, che non lancia certo l’accusa agli studiosi di essere “Dogmatici” ma, come visto, propone il dogmatismo come uno dei possibili errori.
Chi sono gli scienziati che “non ammettono errori”? Quali sono gli errori non ammessi? Non se ne parla: i neo-dogmatici sono l’invenzione di qualche redattore pigro del Corriere, che probabilmente l’articolo non l’ha letto o non l’ha capito.
Anche i vari titoli e occhielli sembrano messi a caso. Quali sono le “previsioni sbagliate sui cambiamenti climatici ?” Sembra davvero difficile pensare che sia ancora l’errore presente a pagina 492 delle 3000 pagine del rapporto IPCC, relativo alla proiezione della scomparsa dei ghiacci dell’Himalaya; un errore nel complesso chiaramente irrilevante, che solo con molta fantasia, e mancanza del senso della realtà delle cose, può essere paragonato all’incapacità di prevedere la grande crisi economica e finanziaria del 2009.
In tutti i campi sono stati fatti errori, anche molto più importanti, ma la scelta dell’esempio dei cambiamenti climatici non è casuale, serve per mantenere la linea editoriale.
Oppure: “Prima o poi nuove evidenze sperimentali fanno vacillare antiche conclusioni”. Certo, a volte capita (vedi l’antica conclusione che la Terra è piatta), a volte proprio no (vedi l’antica conclusione che la Terra gira intorno al sole). Non esistono conclusioni definitive ma, come ha scritto Isaac Asimov vent’anni fa, non tutti gli errori sono uguali, a volte a vacillare sono solo alcuni piccoli dettagli delle precedenti conclusioni, che nel complesso vengono irrobustite dai nuovi dettagli.
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La teoria dell’evoluzione della specie proposta da Darwin non era sicuramente perfetta e non lo è neppure oggi dopo tutti i naturali aggiustamenti. Ma non vacilla certo, tutt’altro.
Anche sui cambiamenti climatici nessuna scoperta è definitiva; ma quanto è probabile che il cambiamento climatico possa essere spiegato da cause “celestiali”, da parte di chi ha già proposto tante altre spiegazioni che si sono rivelate fallaci ?
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L’ultima invenzione
Un esempio di come il Corriere della Sera cerchi in tutti modi di costruire la “contrapposizione”, si può leggere fra le pieghe di un recente articolo “Oceani freddi. E il Medioevo morì di caldo”, in cui si dovrebbe raccontare di una recente pubblicazione di Burgman et al “Role of tropical Pacific SSTs in global medieval hydroclimate: A modeling study” in cui sono state fatte alcune correlazioni fra la temperatura dell’oceano e l’hydroclimate (le condizioni idrologiche climatiche, cioè la variabili idrologiche che determinano le siccità, nel caso di Burgman evaporazione, precipitazione e umidità del suolo) in un periodo medioevale, 1320-1462.
Verso la fine dell’articolo compare la frase:
“La piccola glaciazione ha messo in risalto il caldo - spiega Guido Visconti dell’ Università dell’ Aquila - anche se l’Ipcc, il comitato del cambiamento climatico delle Nazioni Unite, sostiene che questa temperatura elevata nel Medioevo in realtà non ci sia mai stata”
Chi legge l’articolo ne deduce una presunta diatriba sulle temperature del medioevo (in cui, come recita il titolo “Si moriva di caldo”), con la contrapposizione fra i risultati dell’ultima ricerca di Burgman e quelli dell’IPCC.
Come noto, le affermazioni dell’IPCC sono ancorate, anche in modo pedante, alla letteratura scientifica. Per cui l’affermazione di Visconti può essere letta in due modi:
a) nella letteratura scientifica c’è la prova di quanto fossero elevate le temperature del medioevo, ma gli autori dei rapporti IPCC non hanno voluto considerare questi lavori;
b) nella letteratura scientifica e nei rapporti IPCC non c’è prova di quanto fossero elevate le temperature del medioevo, il lavoro di Burgman mostra invece quanto allora faceva caldo.
Ci sono però due problemi.
Il primo è che l’IPCC ha certo parlato delle temperature del medioevo (vedi qui); ben riassumendo una vicenda che, pur se per molti è diventata un’ossessione, si è chiusa da qualche anno con la conclusione che “Le temperature medie nell’emisfero Nord durante la seconda metà del XX secolo sono state molto probabilmente più alte di qualsiasi altro periodo di 50 anni negli ultimi 500 anni e probabilmente le più alte almeno negli ultimi 1300 anni”.
Il problema vero è un altro: il lavoro di Burgman non parla affatto delle temperature del periodo caldo medioevale. Se si legge l’articolo si rileva che il lavoro vuole sostanzialmente spiegare il ruolo del pacifico tropicale nel determinare le condizioni di siccità osservate nel Nord America da proxy paleoclimatici, in un periodo (140 anni) del Medioevo. Quindi spiegare come il periodo caldo medievale é ottenibile in seguito a variabilità climatica ed al persistere di certe condizioni.
L’articolo non presenta alcun dato nuovo sulle temperature del medioevo, che sono oggetto di tanti lavori, fra cui questo interessante progetto del Max Plank Institute.
La ciliegina sulla torta è che il lavoro di Burgman è centrato sull’utilizzo proprio di modelli climatici tanto vilipesi dallo stesso Visconti, come mostrato in un post precedente.
Insomma, si tratta di invenzioni giornalistiche, di quelle che contribuiscono alla disinformazione.
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Conclusione
Leggendo questi titoli verrebbe da pensare che abbia ragione il Prof. Panebianco a ritenere inguaribili le semplificazioni e le distorsioni dei mezzi di comunicazione.
Pensando alla gloriosa tradizione delle pagine culturali del Corriere della Sera, e al livello dell’informazione scientifica in altri paesi, è legittimo pensare che si potrebbe fare meglio. E che su un tema importante e complesso come quello dei cambiamenti cimatici, questo sia sempre più indispensabile.
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Testo di Stefano Caserini
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