Una società di persone, non di individui
01.1.2008 Intervista a Mustafa Barghouthi, leader del movimento palestinese al-Mubadara
Anni di Cnn, ma è la domanda più
ingenua ad arrivargli addosso contromano - perché cosa pensa
degli israeliani? Mi aspetto romantica una parola leggera di
comprensione, e pace e futuro da quest’uomo che chiamano il Mandela
del Medio Oriente, ottengo uno sguardo che si incrina, distanze
improvvise che si spalancano in dismisure. Niente, dice, non penso
niente, il silenzio puntellato dal muezzin ed è la prima volta
che gli sento nella voce come la risacca della guerra, la profondità
delle ferite. Sembra la domanda più strana, quella più
necessaria - il suo nemico, il suo vicino. “Ero a una
manifestazione un giorno, sa, una di quelle noi contro i soldati,
naso a naso a contenderci ogni centimetro di terra. A un certo punto
un’israeliana viene colpita. Io sono l’unico medico. E
naturalmente la soccorro, i soldati che mi passano gli attrezzi io
che li guido, fasciate qui, disinfettate lì. Poi un’ambulanza
la porta via, e torno dalla mia parte. I soldati dalla loro. E di
nuovo, uno contro l’altro, centimetro a centimetro”. Mi guarda
difficile, senza sconti. “Odio le ingiustizie, non le persone.
Quello che uno fa e non fa. Non le persone, ma il contesto. Le
responsabilità”.
Mustafa Barghouthi è un uomo
così. Colto e gentile e dalla luce chiara, letture larghe e
discorsi trasparenti, toni bassi, nessun cedimento alla retorica,
ogni idea asciugata all’essenziale come il nome del movimento che
guida, al-Mubadara, che in arabo significa semplicemente
l’Iniziativa. Ma sono parole brevi per pensieri lunghi, il nome
arriva in realtà da Hannah Arendt, la politica, diceva,
richiede spirito di iniziativa e insieme una dote quasi poetica,
l’immaginazione - e allora capisci che quest’uomo è molto
più di quello che sembra, con il suo tentativo di
un’alternativa, di una via terza tra autocrazie arabe e
fondamentalismi islamici, e mentre tutti ti chiedono Ma Barghouthi
chi? Marwan?, che ti seduce ovunque dai muri di Ramallah con le mani
ammanettate al cielo e l’aria di sfida, ti viene in mente Musil e
il suo uomo senza qualità, quello che tutti credevano
fragilmente inadatto ai tempi, e come disincronico al mondo e che
invece, in un secolo che deragliava verso i totalitarismi, si sarebbe
rivelato l’uomo capace di pensare, di essere in autonomia, senza
mai agire in modo meccanico e convenzionale, sostantivo prima che
aggettivo. Senza mai adeguarsi ai tempi.
La prima domanda è obbligata.
Lei era ad Annapolis.
Annapolis... Perché non mi
chiede di Gaza? E’ Gaza la domanda obbligata. Parigi celebra i suoi
donatori, ma noi non abbiamo bisogno di carità, abbiamo
bisogno di diritti e giustizia, frontiere aperte. Gaza è un
campo di concentramento, e Israele ancora infierisce con attacchi,
incursioni, invasioni. Negli ultimi sei mesi sono stati uccisi 5
israeliani e 218 palestinesi, sono i soldati ormai, non i civili, le
vittime accidentali, sono loro gli effetti collaterali di questa
guerra. Potrei darle infiniti numeri, statistiche, dirle dell’acqua,
la sete, le medicine, il gasolio, morire perché manca la
lampadina in sala operatoria, sopravvivere di aiuti umanitari,
umiliarsi di elemosina internazionale, e un collasso che è
tutto ancora da venire, perché gli agricoltori non hanno più
niente da seminare, gli operai più niente da lavorare... E
Israele, intanto, che spara. Scelga lei, che inferno preferisce le
racconti? Tanto non la scalfirò. La cosa più devastante
non è il dramma, ma l’indifferenza. Lei è italiana
come Gramsci... ‘Quello che avviene, non avviene perché
alcuni vogliono che avvenga, ma perché la massa degli uomini
abdica alla sua volontà, lascia fare... E’ l’indifferenza
la materia inerte della storia, la palude che recinge la vecchia
città e la difende meglio delle mura più salde’.
Vivere significa essere partigiani. La storia un giorno chiederà
conto di Gaza. Chiederà a tutti voi - dove eravate mentre Gaza
spariva? E’ questa l’unica domanda obbligata. Dove siete?
Consumarsi di cancro respinti a un checkpoint... E tutto questo
perché? Perché ci sono state delle elezioni
democratiche. La risposta è stata il massacro collettivo.
In occidente si scrive Hamas e si
legge terroristi. Bisogna dialogare? Bisogna sradicare?
La pace si fa con chi c’è, non
con chi si vorrebbe che ci fosse. E comunque Hamas è
monolitica solo nei vostri stereotipi, ha i suoi moderati, i suoi
pragmatici. E forse anche i suoi estremisti. Ma bisogna organizzare i
moderati, come nel governo di unità nazionale - c’è
un italiano, Alex Langer... Ricorda? Nelle guerre bisogna
parteggiare, diceva, per i disertori. Il governo di unità
nazionale è stato il migliore dei governi palestinesi, sia nei
rapporti con Israele, cui ha offerto un cessate il fuoco reciproco e
totale, sia nelle riforme interne. E’ caduto non per nostra
incapacità, ma perché gli europei hanno tagliato gli
aiuti economici e gli israeliani hanno trattenuto le entrate fiscali.
Con cosa dovevamo governare, con le fiches? Minate tutto quello che
non è Hamas o Fatah, poi strillate che esistono solo Hamas e
Fatah.
Una delle ragioni del radicamento di
Hamas è che fornisce servizi sociali, qui che molti ancora non
hanno acqua corrente. Lei ha fondato Medical Relief, che oggi
garantisce assistenza sanitaria a un terzo dei palestinesi. In un
certo senso, è la sua politica dei ‘facts on the ground’ -
aiutare la gente a rimanere dove è, dice, perché se
rimane, Israele ha fallito.
Solo la concretezza è
sovversiva.
Hamas dilaga perché a Oslo
l’occidente ha deciso di concentrare tutto il sostegno finanziario
sull’Autorità Palestinese, falciando via la società
civile. A Deir Ghassaneh, qui vicino, duemila abitanti, un gruppo di
donne aveva aperto un asilo con un’associazione di Ginevra. Un
piccolo appartamento, cinquanta bambini. Poi da Ginevra hanno
trasferito i fondi all’Autorità Palestinese, e l’asilo ha
chiuso. E’ rimasto quello islamico, gestito ovviamente secondo il
corano. Tutto quello di cui avevano bisogno, a Deir Ghassaneh, erano
tremila dollari l’anno. La Palestina è questa. Sono questi i
nostri bisogni, queste le scelte lungimiranti - di dollaro in
dollaro, bambino in bambino. Invece si guarda un’unica dimensione
della sicurezza, quella militare. Ma la sicurezza ha essenzialmente
una dimensione sociale. Si ottiene rispondendo alle esigenze della
gente. Il fondamentalismo non arriva solo dall’oppressione
israeliana ma anche dall’Autorità Palestinese, la sua
inefficienza, il suo fallimento. Quando si sostiene l’autocrazia,
si sostiene anche il fondamentalismo che reagisce all’autocrazia.
Hamas è un prodotto occidentale. Adesso assistiamo a un nuovo
collasso delle associazioni laiche. Ma l’occidente può
dormire sereno, Hamas ha altre fonti di finanziamento. Ricorda quella
poesia di Kavafis? L’occidente avrà i suoi fondamentalisti,
i suoi terroristi. Come farebbe, d’altra parte, senza i barbari
alle sue porte?
Non odia gli ebrei, non ha mai
ucciso nessuno... Lei è strano. Lei è persino un
musulmano laico. All’università mi hanno insegnato che non
esistono musulmani laici. Edward Said diceva che la prima sfida, per
i palestinesi, era diventare visibili. Lei è invisibile due
volte: lei è un palestinese normale. Ed è proprio con
Said - che non trovava mai editori nei paesi arabi - che ha fondato
Mubadara.
E con Haidar Abdel Shafi, capo
delegazione a Madrid - una delegazione tutta di professionisti e
intellettuali, mentre gli israeliani erano guidati da un primo
ministro ricercato dagli inglesi per l’assassinio del conte
Bernadotte, mediatore di pace delle Nazioni Unite... Sì,
quello che direste un terrorista. Ma poi Israele ha ottenuto una
nuova delegazione, scelta proprio per la disponibilità a
accettare quanto noi avevamo escluso da ogni possibile compromesso. E
ha ottenuto Oslo. I palestinesi sono stati traditi due volte, dagli
israeliani ma anche da altri stessi palestinesi. Mubadara arriva da
qui, una alternativa alla corruzione di Fatah e all’estremismo di
Hamas. Ma più che fondare, abbiamo cercato di collegare,
creare non un partito quanto una coalizione. La politica per me non è
forza, volontà di dominio ma energia di legame, relazioni
connessioni. Il primo obiettivo è l’unità perché
il primo obiettivo di Israele è la nostra frantumazione e
dispersione, non solo fisica, attraverso muri e barriere ma politica,
fino alla guerra civile. E invece la nostra risposta è la non
violenza, non perché non abbiamo il diritto di reagire ma
perché è la non violenza la migliore delle reazioni.
Consapevoli però che l’unico modo perché un accordo
di pace trovi seguito concreto e duraturo è avere
rappresentanti rappresentativi, che decidano insieme a chi deve poi
vivere le conseguenze delle loro decisioni. Per questo Mubadara come
movimento per la democrazia. E una democrazia che non sia solo
politica, ma sociale. Io non voglio una Palestina qualsiasi, non
voglio solo la pace ma la libertà e la giustizia insieme,
perché la Palestina è ferita da molte disuguaglianze, e
non tutte derivano dall’occupazione. La fine dell’occupazione
sarà solo l’inizio di un’altra storia. Voglio modernizzare
la Palestina - cosa che, per anticipare la domanda che le leggo
addosso, non significa affatto occidentalizzare.
Ma la democrazia è un’idea
occidentale. Voi avete stati autoritari, una società civile
fragile, comunità e tradizioni che impediscono una piena
libertà individuale... E poi l’islam. L’islam è
politica e religione insieme. D’accordo, il corano può
essere interpretato in modo più o meno liberale. Ma la
democrazia riguarda la gente, non i testi sacri.
La democrazia è una multiforme
combinazione di princìpi universali, universali non nel senso
di essenze immutabili ma perché storicamente sviluppati
dall’umanità - e non da quello che voi chiamate umanità,
e cioè l’illuminismo europeo, ma una umanità più
larga e vera forgiata dallo scalpello di secoli di scambi e
interazioni tra greci, romani, arabi. L’islam è stato
all’avanguardia nella liberazione degli schiavi - ma sono certo che
nessuno glielo ha mai detto, all’università. La storia è
sempre solo la storia dei vincitori. Separazione dei poteri,
elezioni, accountability, stato di diritto... I princìpi di
fondo della democrazia sono uguali per tutti. Invece di chiedersi
cosa può esportare qui, perché non si chiede cosa della
nostra cultura può arricchire la sua esperienza di democrazia?
Non voglio vivere in un paese come gli Stati Uniti, in cui ognuno è
abbandonato a se stesso, in cui si organizzano mense invece che
aggiungere posti a tavola. Ma che libertà è la libertà
individuale, che povertà è, la libertà della
solitudine? L’individuo si afferma differenziandosi da altri
individui, le persone diventano tali entrando in relazione con altre
persone, con la diversità... Riconoscendosi nella comune
diversità. Io voglio una società di persone, non di
individui.
Lei ha studiato a Stanford. Molti
palestinesi ormai considerano il carcere come la loro università.
Lei non vive in un refugee camp. Non rischia ogni notte di ritrovarsi
in una Sabra e Chatila. La non violenza è un lusso?
Ho due proiettili nella schiena,
conosco lussi più piacevoli. Mi hanno ferito sei volte,
frantumato un ginocchio, dislocato una spalla e arrestato che non
ricordo più il numero. Hanno ucciso uno dei miei collaboratori
a un millimetro da me, con un colpo alla testa. Sa come esplode una
testa? Ogni palestinese ha il suo privato rosario di orrore e dolore.
Essere non violenti non significa essere meno eroici, ma più
efficaci. Significa fare affidamento su se stessi, ingegnarsi,
sfidare gli israeliani nelle loro regole e leggi, ogni giorno -
opporre ai loro ‘facts on the ground’ i nostri facts on the
ground, alla loro violenza non la nostra disperazione, ma la nostra
bellezza. E’ insieme etica e strategia. Organizzare azioni militari
è semplice, organizzare élites di combattenti invece
che moltitudini di persone. Ordinare di compiere un attacco mentre si
rimane sicuri all’estero. Dove erano i leader dell’Olp mentre noi
eravamo qui, mentre venivamo uccisi qui? Non ho mai chiesto a nessuno
di fare qualcosa a cui non abbia partecipato direttamente. E’ il
primo insegnamento di Ghandi. We must become the change we want to
see in the world. Il nostro successo è nel nostro
comportamento.
Madrid, Oslo, Annapolis... Lei è
un cosmopolita.
Mi manca Gerusalemme.(come tutti i
residenti della West Bank, Barghouthi, parlamentare, non può
entrare a Gerusalemme ndr). Annapolis è completamente
inutile. Si basa sulla Road Map. E la Road Map è una cosa in
cui si chiede per esempio ai palestinesi di fermare gli attacchi
terroristici, e in cambio, si dice, Israele non intraprenderà
alcuna azione che possa minare la fiducia tra le parti, come - le
cito testualmente - gli attacchi contro i civili. La fiducia tra le
parti? Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è
un crimine di guerra non una questione di cortesia. Semplicemente, si
chiede ai palestinesi di fare da guardiani dell’occupazione. Non si
parla del muro, di Gaza, di Gerusalemme dei rifugiati... Non si parla
che di sicurezza, con il risultato che nel nostro bilancio lo 0,1
percento va alla cultura, il 4 percento all’agricoltura, l’8
percento alla sanità e il 35 percento alla polizia. Vogliono
militarizzare l’Autorità Palestinese contro il suo stesso
popolo. Negli anni Israele non ha che aumentato le sue richieste, e
noi ridotto le nostre. Abbiamo già firmato il nostro
compromesso, tutto quello che va oltre compromette il compromesso.
Abbiamo accettato il 22 percento della Palestina storica. Ma dopo
Oslo, l’illusione di due stati lungo i confini del 1967 si è
rapidamente dissolta, i coloni sono raddoppiati e non certo per
un’espansione naturale, con una ragnatela crescente di strade e
barriere a collegare gli insediamenti e stravolgere la nostra
geografia politica e economica e le nostre vite. I negoziati
successivi si sono concentrati allora su come ripartire la West Bank.
Lo status dei Territori è deciso non alle conferenze
internazionali, ma ogni giorno con le ruspe e il filo spinato. La
prossima volta saremo qui a parlare di insediamenti palestinesi.
Saremo noi i coloni di una West Bank israeliana.
Dopo Nasser, sappiamo solo del
‘Broader Middle East’ degli Stati Uniti, ovvero, in sintesi, il
Medio Oriente come stazione di servizio dell’occidente. Qual è
la sua visione del mondo arabo?
Il Medio Oriente ha oggi tre necessità.
Primo, autonomia politica ed economica, e l’unica strada è
la democrazia, perché quando i cittadini hanno la possibilità
di partecipare non è più sufficiente comprare ristrette
élites dominanti. Secondo, cooperazione e integrazione, perché
il mondo non è più adatto a piccoli stati e intralci di
frontiere. E terzo, soprattutto, soddisfare le esigenze sociali
basilari, investire in istruzione e sanità. Ma in ogni caso
l’indipendenza palestinese non deve essere collegata alla
liberazione del mondo arabo. Vogliamo essere soggetti, non oggetti di
cambiamento. Il mio modello è il Sudafrica, una resistenza
pacifica, unitaria, di massa, con il sostegno internazionale.
Qualsiasi solidarietà è benvenuta, qui, non solo quella
del mondo arabo.
Noi europei sosteniamo di essere
diversi. Una potenza civile invece che militare, il Mediterraneo -
mare tra le terre, crocevia di civiltà - invece che
l’Atlantico, l’oceano degli spazi smisurati, del fondamentalismo
dei valori occidentali, dell’individualismo e del libero mercato.
Dello scontro di civiltà. Quanto è vera la nostra
diversità?
Quale diversità? Avete solo una
generosa, instancabile eurodeputata palestinese, Luisa Morgantini. Ma
non avete mezza politica estera, ogni volta paralizzati dalla
necessità dell’unanimità. Una potenza civile...
Adottate forse sanzioni contro Israele? No, comprate armi da Israele.
L’unico, incivile embargo lo avete deciso contro di noi. La vostra
politica qui è il processo di Barcellona, una retorica di
propositi nobili e suggestivi che è solo una ennesima forma di
colonialismo e ortopedia neoliberista. Dialogo, partenariato,
co-sviluppo... Siete dei poeti. Più semplicemente,
condizionate la vostra cooperazione al coinvolgimento di Israele,
convinti che l’economia comprerà anche la politica, che
dimenticheremo l’occupazione in nome del libero scambio delle
zucchine. La pace non è in vendita. Siete solo complementari
agli Stati Uniti. A loro la politica, a voi l’economia. Eppure non
sa quanto avremmo bisogno di un'Europa europea. Di un'Europa
mediterranea che conosca, come dice lei, la misura. Che esprima
un’altra idea di mondializzazione.
Mondializzazione... Ma qui intanto
si combatte una guerra per la terra, una guerra d’altri tempi. Un
rapporto con Israele sarà comunque inevitabile. Già ora
siete interconnessi, gli stessi tubi per la stessa acqua.
Diciamo di volere due stati, ci offrono
ghetti e prigioni. Diciamo allora che è meglio uno stato
binazionale, ci accusano di mirare alla demografia invece che alla
democrazia, di minare l’ebraicità di Israele. Uno stato, due
stati - non importa. Preferisco due stati, ma in primo luogo
preferisco vivere, non sopravvivere. Vivere, libero e sovrano. Vivere
uguale a tutti gli altri. Uguaglianza tra due stati, uguaglianza
all’interno di uno stato non importa, importa che finisca
l’apartheid. Perché questa non è più semplice
occupazione. E’ apartheid. Ed è un crimine contro l’umanità,
l’apartheid.
Secondo Israele, il Muro ha fermato
gli attacchi suicidi. Sono dunque i buoni steccati a fare i buoni
vicini?
Gli attacchi suicidi non sono stati
fermati dal Muro, ma dai palestinesi che hanno capito che erano
inutili. Israele ha il maggiore arsenale di armi di distruzione di
massa del Medio Oriente, nucleare incluso, il rapporto degli uccisi è
48 a 1. Siamo noi ad avere bisogno di sicurezza, non loro.
L’ossessione per la sicurezza ha trasformato Israele - non solo la
Palestina - in una prigione. Ma la nostra sicurezza è
mutualmente interdipendente, non mutualmente esclusiva, come
intrecciate sono le nostre paure e le nostre sofferenze e gli incubi
dei nostri figli. Un conflitto non è solo opposizione, ma
anche interessi comuni. Una strategia non riguarda tanto la
ripartizione di vantaggi e perdite tra avversari, quanto la
possibilità che certe decisioni invece che altre siano
peggiori o migliori per tutti. Qualunque altra cosa possa inventarsi,
Israele rimane una goccia di diversità nel mare arabo. Solo
attraverso noi può essere accettato come un normale vicino.
Non è questione di costruirlo o meno lungo la Linea Verde, il
Muro non è che uno strumento per l’apartheid, non va
spostato, ma come dice la Corte Internazionale, abbattuto. Gli
israeliani possono dare fondo alla loro immaginazione. Insediamenti,
strade, muri. Ma noi siamo qui. Siamo noi i primi 'facts on the
ground' di questa terra.
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