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[Data: 28/07/2010] [Categorie: Politica ] [Fonte: Stampa Libera] |
[Autore: lino Bottaro] |
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Islanda, il paese senza bavaglio Approvata una legge che garantisce uno “scudo” quasi totale a chi metterà su Internet segreti militari, giudiziari, societari e di Stato di pubblico interesse. I blogger saranno protetti dai processi. “Sarà difesa la libertà d’espressione”. E così la piccola isola potrebbe diventare il bunker del giornalismo d’inchiesta .
REYKJAVIK - Alle tre di quella notte, quando il parlamento è stato chiamato a votare, la deputata anarchica Birgitta Jonsdottir non era affatto certa che la sua proposta sarebbe passata. E un mese dopo ancora si chiede se tutti i colleghi avessero capito l’entità della sfida che la piccola Islanda si impegnava a lanciare all’universo mondo – a Stati di polizia e a compagnie petrolifere, al Pentagono e a grandi banche, giù giù digradando fino all’Italia di Silvio Berlusconi. Ma fosse pure con il contributo di una scarsa consapevolezza, del sonno o della fretta di andare in ferie, sul tabellone elettronico è apparso, ricorda Birgitta, “un mare verde. Approvato all’unanimità. Ero stupefatta”. Da quel 16 giugno, un Paese di trecentomila abitanti promette uno scudo quasi totale ai disvelatori di segreti – segreti militari, segreti istruttorii, segreti societari, segreti di Stato.
Per quanto poi riguarda l’Italia, quel che offre l’Islanda già adesso permette di aggirare i divieti che in origine appartenevano alla goffa proposta del ministro Alfano. Nel concreto, chi volesse divulgare intercettazioni dal contenuto significativo non dovrebbe fare altro che mandare le fotocopie del documento originale ad un sito specializzato nella divulgazione di segreti (il più seguito, Wikileaks. org, ora ha la base ufficiale in Islanda). Per posta, ad uno degli indirizzi indicati nel sito Wikileaks; oppure via Internet attraverso il software Tor, gratuito, che costruisce un gioco di carambole tra computer e rende difficilissimo identificare il mittente. Il personale di Wikileaks verificherebbe l’autenticità del documento attraverso i suoi collaboratori in Italia, e tempo qualche giorno o qualche settimana, lo metterebbe in rete. Secondo Smari Mc Carthy, matematico e portavoce di quella Digital Freedom Society che ha avuto un ruolo importante nella formulazione della proposta islandese, “una volta che il documento fosse in Internet, i media italiani potrebbero riprenderlo senza temere ritorsioni”. La tesi di Mc Carthy è perlomeno discutibile, ma è meno controverso che non mancherebbero media internazionali disposti a dare pubblicità a ghiotti segreti italici, soprattutto nei Paesi dove l’informazione gode di forti protezioni. Dunque quanto più la legge Alfano tentasse di nascondere, tanto più ostenterebbe scandali e inadeguatezza dell’esecutivo. Probabilmente lo spettacolo non stupirebbe gli islandesi, cui la tv di Stato in giugno ha raccontato l’Italia attraverso il documentario svedese Videocracy, dove siamo rappresentati da Berlusconi e tali Corona e Mora. “Che disastro, poveretti!”, si sente ripetere adesso il giornalista italiano. Agosto 2009: la tv di Stato decide di rendere pubblico un documento bancario da cui oggi molti ricavano che nel privatizzare i due maggiori istituti di credito islandesi, i due partiti di centrodestra se li siano spartiti affidandoli a loro amici, incapaci che li avrebbero comprati con soldi presi a prestito da quelle stesse banche. Poco prima che il servizio vada in onda, la magistratura lo blocca con un’ingiunzione. La tv di Stato obbedisce: ma poco tempo dopo si vendica mostrando la schermata di Wikileaks che ha messo in rete il documento. Si considerano esploratori dell’ignoto, esteti, “hippies lanciati nel cyberspazio”, per citare uno di loro, Mc Carthy, che di nome fa Trifoglio (Smari in islandese: il padre, nato in Irlanda, lo chiamò così perché il trifoglio è il simbolo irlandese). Comunque quella sera due dozzine tra hackers, anarchici e sfascia-segreti di Wikileaks si ritrovano in un pub di Reykjavik e decidono di fondere in un progetto organico le più avanzate tra le norme europee e statunitensi in materia di informazione. Si tratta di invertire una tendenza che non è soltanto italiana. Preoccupa soprattutto la Gran Bretagna, meta preferita di quel “turismo da querela” che promuove la causa lì dove trova la legislazione più favorevole. Secondo Trifoglio Mc Carthy, nei processi per diffamazione la giustizia britannica permette al querelante di infliggere al querelato un processo lungo e spese processuali proibitive (così anche negli Usa: vincere la causa contro Scientology è costato 7 milioni di dollari al settimanale Time). A motivo di questo, molti giornali inglesi stanno cancellando dai propri archivi tutte le notizie controverse, per evitare di essere trascinati in una causa da studi legali collegati a grandi industrie. “Ma questo vuol dire modificare la storia”, segnala Birgitta Jonsdottir. Mentre studia i codici occidentali il gruppo di Reykjavik si trova coinvolto nell’elaborazione di un filmato che un soldato americano ha inviato di nascosto a Wikileaks. Girato dalla US Air Force, mostra un elicottero statunitense fare strage di un gruppo di iracheni inermi scambiati per guerriglieri, e soprattutto, ammazzare intenzionalmente i primi soccorritori, clamorosamente incolpevoli. Non c’è un prima e un dopo, lamenta il ministro della Difesa Gates, volendo intendere: l’episodio è decontestualizzato. Ma almeno c’è un “in mezzo”, gli risponde Wikileaks. Quel che qui conta è che né il filmato né l’arresto del soldato che lo trafugò, tuttora detenuto, hanno trovato sui media americani l’eco che Wikileaks si attendeva. Se ne potrebbe dedurre che qualsiasi cosa scoprano i divulgatori di segreti, se l’argomento non è nell’agenda dei media tradizionali non arriverà al grande pubblico. Quando gli giro il mio dubbio il portavoce di Wikileaks, Daniel, replica che l’organizzazione non vuole tanto sollevare clamore quanto sottrarre all’invisibilità documenti che potrebbero formare la verità storica. Fondata da un hacker australiano che tuttora viaggia nel mondo con le precauzioni di un ricercato, Wikileaks può avvalersi di 800-1000 collaboratori sparsi in decine di Paesi, con i quali verifica le carte segrete che riceve. Secondo Daniel finora soltanto due sono risultate trappole costruite ad arte (una collegava Obama all’islamismo radicale). In genere Wikileaks non si pone il problema se i segreti divulgati siano d’aiuto a malintenzionati (così l’organizzazione ha pubblicato i test condotti dal Pentagono su apparecchi destinati a prevenire l’esplosione di mine). L’importante, per così dire, è che quei documenti siano agli atti. Però le protezioni accordate dall’Islanda già nel futuro prossimo indurranno questi o altri cacciatori di segreti a tentare di raggiungere in proprio il grande pubblico. E a costruire archivi nazionali (l’IMMI, ghigna Trifoglio Mc Carthy, potrebbe sdoppiarsi in “Italian modern media initiative”) oppure tematici, vuoi per precisare i profili di Corporation che hanno globalizzato anche l’opacità, vuoi per individuarne comportamenti scorretti che al momento sono invisibili. Il progetto è audace, la questione seria. Difficile fare previsioni. Al momento l’unica cosa chiara è che al cospetto dei cybernauti di Reykjavik il povero Angelino Alfano, con le sue pandette e i suoi calamai, fa la figura di un leguleio del Regno delle Due Sicilie. |
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