Cina, vittima dei futuri prezzi dell’energia?
In cinque anni la Cina ha raddoppiato i suoi consumi di energia, superando anche gli Stati Uniti. Come potrà il colosso asiatico mantenere nei prossimi 5 o 6 anni l'attuale livello della domanda di energia, e di conseguenza tassi di crescita del Pil intorno all'8-10%, di fronte alla prevedibile crescita dei prezzi energetici mondiali?
La Cina potrà presto diventare il paradigma delprimo grande paese vittima del picco del petrolio. Nei prossimi 5 o 6 anni potrebbe essere il laboratorio più importante, e diremmo preoccupante, di questo evento che gli esperti energetici, a differenza della stragrande parte degli economisti, credono ormai imminente. In un interessante articolo di Tom Whipple, uno dei maggiori analisti statunitensi del picco del petrolio, pubblicato anche sul sito Post Carbon Institute, l’autore si chiede se il colosso asiatico sarà in grado nel prossimo lustro di mantenere l’attuale frenetico tasso di crescita economica. All’inizio di quest’anno l’incremento del Pil si avvicinava al 12%, grazie soprattutto agli effetti dei diversi pacchetti di stimolo finanziario.
L’allarme è dato soprattutto dal tumultuoso consumo di energia, raddoppiato in soli 5 anni, che a questo ritmo rischia di scontrarsi con la prevedibile impennata dei prezzi energetici mondiali provocata dall’aumento del consumo di petrolio anche degli altri paesi asiatici e degli stessi esportatori, come i paesi del Golfo. Whipple ritiene che anche con una crescita del Pil più ridotta, dell’8-10% annuale, la Cina dovrà importare ogni giorno circa 500mila barili di petrolio in più rispetto a quanto avveniva nel giugno 2010 (importazione pari a 5,4 mln di barili/giorno).
Nel contempo molti danni ambientali e climatici si stanno verificando con continuità sul paese, creando anche problemi di carenze alimentari. Certo, ancora segnali marginali, ma che potrebbero essere messi sul piatto della bilancia per iniziare uno sforzo più decisivo verso un’economia a basso contenuto di carbonio. Al momento il governo è consapevole dei livelli di crescita delle importazioni di petrolio e per questo si sta impegnando a sviluppare una serie alternative come i programmi nazionali per incrementare l’efficienza energetica e la diffusione delle fonti rinnovabili, come per l’eolico l’impressionante piano per 130.000 MW (Qualenergia.it La Cina punta forte sulle nuove rinnovabili). Ma anche nell’acquisto di grandi quantitativi di carbone dall’estero e nell’aumentare la produzione nazionale di petrolio e di gas.
Le notevoli risorse di valuta estera della Cina dovrebbero forse consentire di reggere, almeno all’inizio, l’impatto del rialzo dei prezzi energetici mondiali, molto meglio di quanto saranno capaci di fare i paesi OCSE e gli stessi Stati Uniti. Questi paesi industrializzati – avverte Whipple – ridurranno comunque i loro consumi, ma non tanto da compensare quelli dei paesi dell’Asia e della penisola arabica. In ogni caso i paesi OCSE soffriranno, prima di quanto potessero immaginare soli pochi anni fa, di una forte riduzione delle importazioni di greggio.
Resta il dubbio se dopo la metà del decennio la Cina potrà mantenere l’attuale primato mondiale dei consumi energetici (non tanto quello pro-capite ancora di 5 volte inferiore agli Usa), così come è stato ufficializzato di recente dall’Agenzia Internazionale per l’Energia, ma il punto è che da questo paese di 1,3 miliardi di persone deve arrivare un monito che davanti a noi abbiamo notevoli problemi.
Richard Heinberg, altro famoso analista energetico americano, fa spesso un esempio pratico sull’importanza di prepararsi al picco del petrolio prima di assistere altre comunità o paesi. Egli afferma che, come sugli aerei in caso di un’emergenza di depressurizzazione, chi è più pronto e preparato deve usare subito la maschera di ossigeno prima di poter aiutare il vicino di posto. Così dovrà accadere nella fase della crisi del peak oil. Alcuni osservatori però fanno notare come possa essere scarsamente efficace il sostegno di un paese in transizione energetica se le proprie finanze, risorse e bisogni primari siano sempre meno robusti (vedi economie dei paesi industrializzati).
Ma oggi quanti nel mondo, ancora illusi da una crescita illimitata, si stanno concretamente preparando veramente per il post picco del petrolio?
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