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[Data: 13/10/2010] [Categorie: Movimenti ] [Fonte: ] |
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Val Susa, protesta-fiume: 50.000 No alla Torino-Lione Cinquantamila “no” alla Torino-Lione: 25 sindaci in fascia tricolore ad aprire sette chilometri di corteo, con davanti una ventina di trattori della Coldiretti e 70 mucche. «Ci vogliono cancellare? Hanno sbagliato tutto». Sandro Plano, presidente della Comunità Montana, incarna la “resistenza” della valle di Susa contro la Tav Torino-Lione. Dalla manifestazione-fiume del 9 ottobre, attacca: «Scandaloso che il governo ci escluda dal tavolo di lavoro a Roma il 14: non vogliono parlare con chi è contrario all’alta velocità, cioè la stragrande maggioranza». Cinque anni dopo il trionfo popolare del 2005, che bloccò il primo progetto, la valle di Susa è di nuovo pronta a fermare il super-treno dei misteri: chi vuole la Torino-Lione continua a non spiegare, cifre alla mano, a cosa servirebbe l’opera pubblica più costosa d’Italia. “La valle c’è”, è la risposta che lo striscione di apertura recapita a Torino e Roma, firmando una protesta che si è rimessa clamorosamente in marcia. Straripante la partecipazione al corteo: decine di migliaia di manifestanti, tre ore di cammino da Vaie a S.Ambrogio, il paese che nel 1996 aprì la lunga battaglia No-Tav con la prima, storica protesta di piazza. Gli organizzatori speravano di avvicinarsi ai numeri dell’ultima grande prova di forza, la “marcia dei quarantamila” lo scorso 23 gennaio a Susa, ma il 9 ottobre il record è stato superato: «Almeno 50.000 persone, forse più». Numeri a parte, sono scese in campo tutte le forze sociali: gli agricoltori della Coldiretti, i metalmeccanici della Fiom, i 25 sindaci contrari alla Torino-Lione (a Roma il 14 ottobre sono stati invitati gli unici 3 favorevoli). Tra i manifestanti c’erano Davide Bono del “Movimento 5 Stelle” di Beppe Grillo e Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista, in mezzo a pensionati, famiglie, partigiani dell’Anpi, medici di base, consiglieri comunali, provinciali e regionali. «Questa manifestazione – dice Sandro Plano – riflette il disagio della val di Susa. Qualcuno dovrebbe iniziare a prendere lezioni di democrazia e rispettare la volontà degli elettori». Esponente “eretico” del Pd, contrario alla Torino-Lione nonostante le opposte indicazioni del partito, Plano è il massimo rappresentante istituzionale della valle: imbarazzante che non sia stato invitato a Roma. «Dopo cinque anni di riunioni, l’Osservatorio-Tav di Mario Virano istituito per dialogare con la popolazione ha fallito tutti gli obiettivi». Il “no” alla Torino-Lione continua a crescere, come dimostra l’oceano di folla del 9 ottobre. «Ci difenderemo», annunciano i No-Tav, «da chi vuole devastare il nostro territorio con un’infrastruttura faraonica, costosissima e inutile». A spaventare la popolazione, il progetto preliminare presentato in sordina a metà agosto: persino Gemma Amprimo, sindaco di Susa inizialmente favorevole alla Torino-Lione, di fronte alle mappe coi tracciati ha cambiato idea: «Cantieri troppo impattanti, progetto inaccettabile». Ottanta chilometri di percorso, fra gallerie e trincee interrate, su terreni resi insidiosi da materiali come amianto e uranio. La popolazione teme di vedere il territorio distrutto per sempre, al termine di un vero e proprio terremoto: almeno dieci anni di cantieri, tra pesanti disagi, polveri forse pericolose e paesi riforniti con le autobotti, come in Mugello, se venissero tagliate le falde idriche. “No Tav, no mafia”, è la scritta che campeggia sul monte Musiné all’imbocco della valle: «Le grandi opere fanno gola ai cartelli criminali, ansiosi di riciclare enormi capitali di origine illecita», avverte lo scrittore Massimo Carlotto, intervenuto in valle di Susa. Il nodo di fondo sembra ancora irrisolto: a cosa serve la Torino-Lione? Per i No-Tav è un progetto ormai obsoleto, nato negli anni ’90 quando non esistevano i voli low-cost e si pensava che il treno avrebbe sostituito l’aereo nel trasporto veloce dei passeggeri. Ora infatti il progetto è stato cambiato in corsa: viene presentato come asse strategico per il trasporto di merci, anche se i numeri gli danno torto. L’attuale ferrovia internazionale che attraversa la valle di Susa, la Torino-Modane, è utilizzata solo al 30% della sua capacità. In calo costante da dieci anni anche il transito dei Tir sull’autostrada valsusina del Fréjus. Motivo? Il sistema industriale italiano è in crisi, l’export è crollato. Le merci ormai sono “made in China”, arrivano al porto di Genova e si dirigono verso nord, direzione Rotterdam. La direttrice est-ovest sembra ormai in via di abbandono, il traffico Italia-Francia potrebbe non avere futuro. Pesa inoltre sulla grande opera il costo esorbitante, tre o quattro volte quello – a chilometro – dell’alta velocità francese. Un fiume di denaro pubblico: la Torino-Lione costerebbe 5 miliardi più dell’Eurotunnel sotto la Manica e quattro volte più del Ponte sullo Stretto di Messina. «Nonostante ciò – ribadisce il professor Angelo Tartaglia del Politecnico di Torino – è stato deciso di procedere senza prima aver chiarito il rapporto costi-benefici». Senza parlare delle modalità di gestione, con procedure di incarico affidate a “general contractor”. Visto che l’Italia non ci sente – governo e Regione continuano a ignorare la protesta e a non fornire spiegazioni sul reale valore strategico dell’opera – la valle di Susa si appella all’Europa: spera che l’opposizione popolare del territorio dissuada l’Unione dall’erogare finanziamenti facili. Che oltretutto peserebbero enormemente sul debito, a carico delle generazioni future, per un’opera forse completamente inutile: per Beppe Grillo, più volte intervenuto in valle di Susa, la Torino-Lione sarebbe «un crimine contro l’umanità di domani». |
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