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[Data: 01/04/2008] [Categorie: Movimenti ] [Fonte: Social Press] |
[Autore: Roberto Rosso] |
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Expo2015: Che la festa abbia inizio, paga Pantalone! sabato 29 marzo 2008
Che la festa abbia inizio, tutti pronti a festeggiare l’attribuzione dell’EXPO 2015 a Milano, il circo mediatico continua il suo spettacolo.
Lunedì pomeriggio alle 16 si saprà chi ha vinto. Chissà se vincerà veramente MILANO? In questi giorni sulle pagine dei giornali si rincorrono opinioni, previsioni considerazioni attorno all’effetto che l’EXPO potrà avere per lo stato critico della metropoli milanese. In contemporanea si fanno i conteggi degli schieramenti, mentre quotidianamente nuovi paesi si aggiungono alla platea di quelli che decideranno col loro voto l’attribuzione dell’evento: evidentemente hanno annusato la possibilità di avere qualche dono dai paesi in gara, di ottener benefici dal gioco degli interessi incrociati.
Una specie di lotteria internazionale deciderà delle sorti, così si dice, di una regione europea che, considerata uno dei quattro motori dell’Europa, vive in realtà una profonda crisi di integrazione sociale ed economica. Ancora una volta lo scenario italiano oscilla tra le promesse di eventi eccezionali come l’EXPO destinati, secondo i loro fautori, a riaprire i giochi bloccati di una società disintegrata e la gestione emergenziale di territori in crisi come quello campano, travolto dalla gestione criminale del ciclo dei rifiuti che ha visto la complicità di organizzazioni mafiose, reti imprenditoriali e politici compiacenti e compiaciuti. Una miserevole società dello spettacolo è messa in campo, i soliti noti recitano la loro parte commentando, cantando, recitando partecipando allegramente a pranzi e cene, tra Milano e Parigi, mangiando mozzarelle di bufala tra Napoli e Seul.
Gli stessi danzano attorno alle macerie di Alitalia e sulle sorti del sistema dei trasporti del nord Italia e del mancato Hub di Malpensa. Il progetto per l’EXPO è nato in un tempo brevissimo che contrasta con la complessità dei problemi che dovrebbe risolvere, si è manifestato con la potenza delle immagini, con le suggestioni delle piantine colorate e delle animazioni, con la potenza della comunicazione mediatica, sottratto, almeno nelle intenzioni, ad ogni spunto critico.
Tutti i poteri sono stati concordi nell’evocare la potenza risolutrice della pioggia di miliardi (di euro) che dovrebbe dare la scossa ad un sistema addormentato.
In anni di credito abbondante ed a basso costo, in cui gli avventurieri della speculazione fondiaria ed immobiliari hanno ricevuto finanziamenti giganteschi, non si è trovata la quadra di una ristrutturazione del sistema logistico complessivo, certo non per l’opposizione dei comitati territoriali e degli enti locali, che pure c’è stata, ma per l’evidente inconsistenza, per la mancanza assoluta di ogni capacità di quella pianificazione strategica, che un sistema complesso in radicale trasformazione necessariamente richiede.
Assi autostradali, bretelle e bretelline sono occasione per l’insediamento di mega centri commerciali e poli logistici. La posta in gioco è ovunque la medesima: gli assetti territoriali, le reti che strutturano i territori e le comunità, le possibilità stesse di continuità dei cicli che alimentano e riproducono la vita, come l’acqua, la riproduzione delle risorse necessarie.
La gestione di quelli che un tempo erano i servizi pubblici. Il contesto più generale è quello della gigantesche trasformazioni operate dalla globalizzazione ed oggi dalla galoppante crisi del sistema finanziario mondiale.
I soggetti pubblici contano sempre meno nei giochi che decidono e decideranno di queste poste, come ha avuto modo di dire il sottosegretario Vittorio ‘Bobo’ Craxi, sempre più sono soggetti privati che vanno incontro ad una concentrazione progressiva. L’effetto primario di questo movimento è stata la perdita di capacità di pianificazione strategica. Si è scelto di realizzare opere faraoniche, sganciate da una conoscenza dei bisogni reali dei territori, dei vincoli sociali, economici ed ambientali. Ciò è stato reso possibile da una condizione generale di credito abbondante ed a basso costo ed è proprio quest’ultima condizione che è venuta progressivamente a mancare e spiega molto, quasi tutto, dell’enfasi con cui ci si getta sul grande evento per sollevare le sorti del ciclo economico e dei territori. Citando il Sole 24 Ore di sabato 29 marzo: le 5 principali società immobiliari italiane hanno un debito di 9 miliardi di euro, il valore dei loro titoli in borsa si è ridotto della metà se non dei due terzi negli ultimi 6 mesi . Su 100 euro di investimenti 80-90 provengono da prestiti delle banche, il costo attuale del credito non viene ripagato dal rendimento degli immobili. Più in generale la crisi finanziaria globale ha imposto l’intervento delle autorità pubbliche per finanziare i disastri del liberismo, l’ordine di grandezza è quello delle centinaia di miliardi di euro, esso è bene accetto dai fautori del liberismo più sfrenato terrorizzati da un possibile tracollo del sistema, il dibattito infatti è tutto centrato sui confronti con la crisi del ’29. Il denaro pubblico è sempre più necessario per costruire a partire da esso un sistema di garanzie su cui miracolosamente si crea quel capitale finanziario che costituisce l’intervento del settore privato, senza di esso nessuna delle grandi opere è possibile, nessuna delle grandi società immobiliari e di costruzione può sopravvivere, le grandi banche non sborsano un solo euro.
In estrema sintesi assistiamo all’assalto del settore dei servizi pubblici, di rete ed alla persona, che garantiscono costanti flussi di cassa ed ai finanziamenti degli stati per impedire il crollo del sistema finanziario. In Lombardia in particolare la politica della regione a guida Formigoni ha perseguito sistematicamente la politica dello smantellamento del settore pubblico, dalla sanità all’istruzione, per garantire ad un ben identificato contesto di interessi privati sostanziose e crescenti rendite di posizione. Il sistema di potere impersonato dal presidente della regione si è mosso con discrezione nell’azione di promozione dell’EXPO, ma è ben rappresentato dalla società di gestione della Fiera di Milano, esso costituisce la trama che sorregge l’intera operazione. Il progetto EXPO si può descrivere come una mancata rivoluzione dall’alto, gestita da un pugno di poteri forti assecondati dal coro di gran parte delle istituzioni politiche e dei media, che altro non fa che confermare la mancanza di strategie e la prevalenza di interessi parassitari in luogo di promuovere nuove forme di cooperazione sociale e produttiva. Quella rivoluzione dall’alto che i cantori della competizione tra territori nella globalizzazione richiamano senza mai trovarla, in una ormai sterile ripetizione della dialettica tra i luoghi ed i flussi, dove ormai i flussi devastano i luoghi. Il progetto EXPO manifesta infine il totale fallimento nella ricerca di fare di Milano un polo di eccellenza nella rete delle città e dei territori globali. I diversi protagonisti del tessuto sociale non hanno avuto diritto di parola, il nostro non è un appello rituale alla partecipazione ma il richiamo all’esigenza drammatica di mobilitare ogni risorsa per trovare una strada dentro un passaggio epocale di trasformazione delle società umane, nel quale sono coinvolti totalmente la città infinita di cui Milano è al centro, il sistema sociale, economico, culturale ed ecologico che si dispiega tra le Alpi e la valle del PO. Non potremo che ripartire dalla capacità di creare conflitto sociale, cultura, cooperazione sociale e produttiva che in questi anni faticosamente si sono espresse, in assenza purtroppo di una trama fitta di relazioni capace di giocarsi tutta intera la posta in gioco della trasformazione. |
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