Crisi alimentare
Riso, razionamenti in America
Senza precedenti - Neanche durante la Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti avevano dovuto far fronte a riduzioni nei generi di prima necessità
Lo spettro del razionamento del riso fa la sua comparsa negli Stati Uniti. La crisi globale dei generi alimentari, che ha scatenato rivolte nelle nazioni più povere, ha contagiato la superpotenza americana per la prima volta nella sua storia recente: due popolari catene di grandi magazzini,
Wal-Mart Stores e Costco Wholesale, hanno deciso di imporre limiti agli acquisti dei consumatori. Dai punti vendita Sam's Club, il marchio all'ingrosso di Wal-Mart, d'ora in poi nessuno potrà uscire con più di quattro sacchi di riso da dieci chili ciascuno.
Le catene di colossali supermercati hanno scelto un linguaggio burocratico per spiegare il razionamento strisciante, attribuendolo alle «tendenze della domanda e dell'offerta». Ma, riconoscendo implicitamente il rischio di shock per il Paese, WalMart ha chiesto ai clienti «pazienza e cooperazione». Con prezzi in continuo aumento e scarsità incombente, si è diffusa la paura di corse all'accaparramento di generi alimentari tra la popolazione e gli imprenditori che affollano i Sam's Club. Dall'inizio del 2008 il prezzo del riso è ormai lievitato del 70 per cento. E la crisi si è aggravata nonostante gli Stati Uniti siano tra i primi esportatori al mondo del prodotto, forti quest'anno di previsioni di aumenti del 20% nelle
vendite all'estero.
Alcuni negozi Costco avevano già risposto alle tensioni alimentari stabilendo tetti agli acquisti di altri beni, quali olio di semi e farina. Questa settimana i controlli si sono estesi al riso. Wal-Mart, nei suoi 954 negozi Sam's Club, ha da parte sua assoggettato ora ai nuovi limiti il riso basmati, il Jasmine e quello a grano lungo. Ha tuttavia negato di avere piani per razionare olio e farina. All'intervento sul riso, inoltre ha precisato che resteranno immuni i suoi punti vendita al dettaglio.
Non sono mancati ieri appelli a mantenere nervi saldi: il portavoce dell'associazione di settore Usa Rice Federation, David Coia, ha detto che non esistono carenze di riso negli Statì Uniti. Ma le preoccupazioni persistono, dai grandi ai piccoli protagonisti del mercato: «Per adesso - ha detto
Tom Pongsopon, manager del Bangkok Center Grocery nel cuore del quartiere di Chinatown a New York - abbiamo sufficienti scorte. Non sono tuttavia certo di che cosa accadrà in futuro». In poche settimane Pongospon è stato costretto ad alzare il prezzo di una confezione da 25 libbre di
riso Jasmine da 15 a oltre 20 dollari. Sull'altra costa, al supermercato 99 Ranch di San Josè in California, il prezzo del riso Jasmine quest'anno è ormai raddoppiato. E un sacco da 50 libbre comprato all'ingrosso è passato in quindici giorni da 20 a 34 dollari.
Le tensioni, ammoniscono gli analisti, potrebbero non spegnersi affatto con le ultime iniziative: l'introduzione di forme di razionamento, anzi, potrebbe rivelarsi controproducente, spingendo famiglie e commercianti ad accaparrarsi tutti i beni possibili. Anche perché per gli americani quella di Wal-Mart e Costco è una sorpresa inedita: neppure durante la Seconda guerra mondiale il Paese aveva sofferto di vere limitazioni nei consumi di alimenti essenziali, che invece avevano afflitto prodotti quali gasolio o lampadine.
Le preoccupazioni sui beni alimentari cominciano a dare vigore anche a richieste di ripensamenti delle politiche governative. Il Congresso sta ultimando la nuova legislazione da 3oo miliardi di dollari per il settore agricolo tra dubbi e polemiche: la legge conferma tradizionali sussidi
agli agrfcoltori e incentivi alla produzione di etanolo, questi ultimi circa sei miliardi di dollari l'anno, che agli occhi dei critici hanno contribuito a bolle speculative nelle quotazioni dei raccolti e a distorsioni del mercato. Mancano invece nuove regolamentazioni o misure anti-speculative, facendo temere brusche correzioni che danneggino gli stessi agricoltori. Nei giorni scorsi, però, la crescente inquietudine ha spinto le autorità federali a bocciare maggiori aperture dei mercati delle commodities ai grandi investitori istituzionali quali gli hedge fund proprio con l'obiettivo di controllare le spinte speculative.
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