Il consumo eccessivo prima causa della crisi ecologica mondiale
[Intervista ad Alberto Acosta di Giuseppe De Marzo su L'Unità del 13 dicembre 2010] Per l'economista ed ex-ministro dell'Ecuador il vertice sui cambiamenti climatici appena terminato a Cancun si poneva obiettivi limitati ed è facile ora spacciare per successi quelle poche cose che sono state concordate.
A colloquio con l'economista ecuadoregno Alberto Acosta Espinosa, ex-ministro nel governo di Rafael Correa.
Come valuta, signor Acosta, l'esito della Cop 16, il vertice sui cambiamenti climatici appena terminato a Cancun?
Dopo il fallimento della COP15 a Copenaghen, non c’è molto da aspettarsi dalla COP16. Anche se questa ha un vantaggio: gli obiettivi che si vogliono raggiungere sono talmente piccoli che il poco che si raggiungerà sarà presentato come un trionfo. La cosa grave è che questi obiettivi sono insufficienti. Gli USA per esempio non firmeranno il Protocollo di Kyoto.
Qual è la Sua opinione sulla crisi ecologica attuale e di chi sono le responsabilità?
Più che delle speculazioni e della deregolamentazione finanziaria, la crisi si è nutrita delle conseguenze di una economia basata su livelli di consumo eccessivi di certi settori della popolazione mondiale, che implicano uno sfruttamento insostenibile della Natura. Questo è dovuto soprattutto ad un impiego massiccio di energia derivata dal petrolio e dal carbone, altamente inquinanti, ai cambiamenti d’uso del suolo – deforestazione, per esempio – che sono i principali responsabili dei cambiamenti climatici. Questo consumo eccessivo di risorse, in un contesto di crescente contaminazione e pressione smisurata sulle risorse naturali, si è acutizzato in forma estrema con le emergenze di alcune economie giganti – Cina, India, Brasile – altamente popolate. Negli ultimi anni questi paesi hanno contribuito ad aumentare massicciamente la produzione mondiale e perciò ad aumentare la pressione sui limiti ambientali, pretendendo di continuare nella stessa strada di crescita economica depredatrice delle economie industrializzate. Allo stesso modo ha pesato negativamente sull’economia mondiale un sistema di “governo globale” che dà maggiore priorità, nel nome della libertà di mercato, ai benefici delle imprese transnazionali e agli interessi dei paesi arricchiti piuttosto che allo sradicamento della povertà, alla ricerca dell’equità sociale e alla sostenibilità ambientale. Le istituzioni finanziarie internazionali – Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale – sono stati attori influenti nella pianificazione di politiche pubbliche che hanno causato tanti problemi negli ultimi decenni, specialmente nel mondo impoverito.
Come vede il mercato del carbonio?
Il mercato del carbonio è una delle espressioni più raffinate di mercificazione della Natura. Significa continuare a mantenere la Natura come oggetto di compravendita e di speculazione. Bisogna cacciare via, come fece un certo Gesù 2000 anni fa, i mercanti dal tempio…Questo è uno dei primi obiettivi per il ricongiungimento dell’essere umano con la Madre Terra, la de-mercificazione della Natura.
La situazione ambientale, i cambiamenti climatici, la crescita della disoccupazione e l’aumento della povertà, disegnano una situazione inedita. Sembra che il paradigma stesso della civilizzazione sia in crisi. Come uscire da questa crisi?
La soluzione dei problemi immediati, derivanti da questa crisi multipla, è urgente e allo stesso tempo molto complessa. Non si tratta solo di mettere qualche toppa o di riattivare l’economia con una maggiore domanda e una crescente spesa pubblica, come in altre crisi caratterizzate da recessione. Le risposte a breve termine devono necessariamente essere pensate e realizzate considerando le sfide strutturali. Per esempio, cercare di riavviare l’apparato produttivo semplicemente canalizzando ingenti somme di denaro verso le grandi imprese, sperando di recuperare la strada perduta a causa degli squilibri finanziari, senza cambiare i modelli di consumo e le stesse tecnologie utilizzate finora, potrebbe aggravare gli altri problemi che stanno assumendo un’importanza crescente: ambientali, energetici, alimentari,…In sintesi, non si può concentrare l’attenzione soltanto sui temi congiunturali. C’è bisogno di un cambiamento profondo delle basi strutturali del sistema, approfittando delle attuali difficoltà congiunturali e anche delle inefficienze relative dei centri finanziari del potere mondiale. Questo cambiamento non arriverà mai se si aspetta semplicemente che i paesi sviluppati, con il concorso di alcune economie giganti emergenti come la Cina, l’India e il Brasile, amalgamati nel G-20, risolvano i loro problemi, dimenticando il carattere interdipendente e ineguale dell’economia internazionale. Nonostante questo c’è chi spera che, il prima possibile, le cose tornino alla normalità. Ma non accadrà. Si possono cambiare le attuali strutture del potere in molti modi. Forse si ha bisogno di leadership collettive – “illustri” e “umaniste” – che aprano la strada e indirizzino la costruzione di una nuova società. Voglio dire, è necessario lottare con le istituzioni come atto pratico, ma nel profondo si tratta di una guerra di idee ed ideali. Questo implica avere in mente un cambiamento epocale. Non solo bisogna uscire dal capitalismo, ma si dovrà anche superare la postmodernità, l’era del disincanto. Bisogna staccarsi dall’idea di progresso intesa come permanente accumulazione di beni materiali e, allo stesso tempo, rivalutare le utopie.
Quale può essere il ruolo dei movimenti e della società civile?
I movimenti sociali e tutta la società civile organizzata devono assumere un ruolo di leadership forte e molto attivo. Non si può confidare esclusivamente nei governi. Neanche i governi considerati progressisti possono assumere da soli questo compito; i loro calcoli, il più delle volte elettorali, sono di breve periodo. E mentre si compie questo sforzo bisogna consolidare le alleanze internazionali, non solo tra i gruppi sociali del Sud, ma anche tra tutti i gruppi sociali del Sud e del Nord.
Giuseppe De Marzo, Portavoce A Sud
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