Gli agricoltori dell'Africa dimostrano che a innovare sono le comunità più povere del pianeta
L'economia alimentare mondiale è anche al centro di problemi ambientali globali
ROMA. Il problema dell'insicurezza alimentare globale costituisce uno dei grandi temi con i quali l'agenda politica internazionale dovrà sempre più confrontarsi, anche perché, come tutti i problemi del mondo odierno, è strettamente collegato a tanti altri aspetti della sostenibilità globale, quali il cambiamento climatico, la perdita e la trasformazione del suolo, i problemi dell'agricoltura industrializzata ecc. Nel settembre scorso, la FAO ha pubblicato il suo ultimo rapporto sulla situazione dell'insicurezza alimentare a livello mondiale ("The State of Food Insecurity 2010", vedasi www.fao.org) , sottolineando che oggi sono 925 milioni gli individui sottonutriti - si tratta di 98 milioni in meno rispetto al 2009 . Questo dato in calo è incoraggiante, ma ovviamente il totale è ancora troppo elevato e ben lontano da uno degli otto importanti Obiettivi di sviluppo del millennio (Millennium Goals) che i governi di tutto il mondo si sono dati nel 2000 e che prevede un dimezzamento delle persone affamate entro il 2015. Allo stato attuale, il Ghana è l'unico paese dell'Africa subsahariana che potrebbe raggiungere una significativa riduzione della sua percentuale di affamati per quella data.
A livello globale, nei dati del 2010 sulla fame si è registrato un calo del 7,5% rispetto ai livelli del 2009. La riduzione si è concentrata prevalentemente in Asia, dove la FAO stima che 80 milioni di individui in meno soffrono la fame. Nell'Africa subsahariana, la diminuzione è stata sensibilmente più contenuta. Qui, un terzo della popolazione soffre la fame. Inoltre, nell'ultimo decennio, il numero complessivo di affamati nell'Africa subsahariana è aumentato. In Burundi, nelle isole Comore, nella Repubblica Democratica del Congo e in Eritrea la fame cronica affligge almeno la metà della popolazione.
Complessivamente, donne e bambini costituiscono la maggioranza degli affamati cronici. I prezzi elevati del cibo e i redditi più bassi aggiungono alle famiglie più povere il rischio di non riuscire a garantire alle madri in gravidanza, ai bambini e ai neonati un'alimentazione adeguata. Di fatto, a livello globale, oltre un terzo della mortalità infantile è causata da un'alimentazione inadeguata.
Gran parte degli uomini e delle donne, solitamente agricoltori, che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno risiedono in zone rurali, non possiedono né terreni né infrastrutture e non hanno accesso ai servizi sanitari o all'elettricità. Sempre più, però, le città sono interessate dalla fame. Negli anni Ottanta e Novanta la popolazione urbana è cresciuta del 4% l'anno, e anche i livelli di povertà hanno continuato ad aumentare. Nel mondo, anche le persone che vivono negli slum sono in aumento, a un tasso dell'1% l'anno. L'aumento dei prezzi degli alimenti durante la crisi del 2007/2008 ha colpito in modo particolare i poveri delle città. Nel 2009 la FAO ha stimato che 4,1 milioni di poveri urbani in Kenya erano in una posizione di "elevata insicurezza alimentare" e ben 7,6 milioni non erano in grado di soddisfare il loro fabbisogno alimentare quotidiano.
Benché i prezzi alimentari globali siano calati dal 2008, sono rimasti comunque al di sopra dei livelli precedenti al 2007, e il trend è stato costantemente al rialzo nel 2009 e 2010. Molti tra i programmi di aiuti alimentari non hanno potuto acquistare gli alimenti necessari, e in più la recessione ha provocato una riduzione dei fondi per aiuti alimentari. L'Agency for International Development degli Stati Uniti ha dichiarato che è stata in grado di donare solamente 2,2 miliardi di dollari nel 2009, un taglio del 15% rispetto al 2008.
Anche i finanziamenti per lo sviluppo agricolo sono in calo. Feed the Future, la nuova iniziativa statunitense per l'agricoltura e la sicurezza alimentare, ha in programma investimenti per 20 miliardi di dollari nell'agricoltura africana entro i prossimi 10 anni. Si tratta di un riconoscimento dell'urgenza di investire di più in questo settore, anche se gran parte dei fondi devono ancora essere raccolti. Dal 1980, la percentuale degli aiuti globali allo sviluppo destinati all'agricoltura è calata da oltre il 16% al 4%. Inoltre, sono solo nove le nazioni africane che stanziano almeno il 10% dei loro bilanci nazionali per l'agricoltura. Gran parte dei poveri e affamati del continente dipendono dall'agricoltura per il loro sostentamento. Tuttavia, la spesa pubblica in agricoltura è spesso minore nei paesi con economie basate sull'agricoltura - in altre parole, gli agricoltori sono, ironicamente, i più affamati di tutti.
Negli ultimi due decenni, i paesi meno sviluppati hanno fatto sempre più affidamento sulle importazioni di alimenti. Nel 2005-2006, in 11 paesi dell'Africa subsahariana la metà dei cereali utilizzati era d'importazione. In 7 altri paesi, le importazioni ammontavano al 30-50% dei cereali.
Il Worldwatch Institute ha così deciso di dedicare il suo famoso rapporto annuale sullo stato del mondo proprio alla problematica dell'alimentazione. Il rapporto "State of the World 2011" coordinato da Danielle Nierenberg e Brian Halweil è stato presentato a New York il 12 gennaio (l'edizione italiana del rapporto, da me curata da 24 anni, sarà edita dalla meritoria casa editrice Edizioni Ambiente entro marzo).
Il Presidente del Worldwatch Institute, Christopher Flavin scrive nella sua introduzione: "Fino a poco tempo fa, gran parte dei politici riteneva che l'unica strada per far progredire l'agricoltura in Africa fosse scommettere tutto sulla Rivoluzione Verde - offrire più sementi produttive e più fertilizzanti, aumentando così le rese. Si tratta di una formula semplice e allettante, però in molti casi non ha funzionato. Le sementi e i fertilizzanti sono spesso troppo costosi per la maggior parte degli agricoltori poveri, e in molti casi non sono nemmeno disponibili. Inoltre, i benefici di molti di questi progetti vanno a vantaggio di un esiguo numero di grandi agricoltori, che possono produrre ingenti quantità di alimenti ma fanno poco per la promozione dello sviluppo rurale.
Fortunatamente, l'idea secondo cui sarebbe possibile eliminare la fame nel mondo col denaro e la tecnologia è ora messa in discussione non solo a causa dei suoi limiti ma anche perché si accumulano le prove che dimostrano che i nuovi approcci per la creazione di un sistema agricolo sostenibile possono efficacemente integrare o sostituire gli elementi che si trovano nel pacchetto dell'agricoltura standard. Ciò è particolarmente vero nell'Africa subsahariana, dove migliaia di piccoli agricoltori attingono all'antica saggezza culturale e, servendosi delle nuove tecnologie, producono cibo in abbondanza, nel rispetto dei suoli locali e degli ecosistemi globali."
Il rapporto quindi documenta, come sempre in maniera chiara, rigorosa ed avvincente, quanto il progetto del Worldwatch Institute "Nourishing the Planet" ha sinora prodotto, anche attraverso analisi sul campo condotte in 25 paesi africani, scambiando opinioni con agricoltori e imparando dai loro successi su argomenti quali l'irrigazione a goccia, la coltivazione sui tetti, la silvicoltura e le nuove tecniche per proteggere il suolo. Il team di ricercatori dedicato al progetto ha curato un'ampia raccolta ed analisi dei progetti agricoli innovativi presenti in tante parti del mondo, e per trasmettere tali informazioni a un pubblico sempre più ampio di lettori ha avviato un apposito blog sul sito dell'Istituto (www.worldwatch.org) dedicato a Nourishing the Planet, oltre agli utenti di Youtube e Twitter.
Come ricorda Flavin il quadro che emerge è entusiasmante. Gli agricoltori dell'Africa dimostrano che a innovare sono le comunità più povere del pianeta - e ciò potrebbe avere un impatto sulla popolazione globale maggiore di gran parte delle innovazioni ad alta tecnologia. Un cambiamento rapido e proficuo è possibile a patto che venga conferito potere ai piccoli agricoltori e in particolare alle donne, che in pratica controllano l'agricoltura in Africa. Se anche una parte infinitesimale delle risorse che ora si utilizzano negli allevamenti industriali statunitensi e nelle piantagioni di soia brasiliane fosse investita in piccole aziende agricole innovative, le nostre società con ogni probabilità non farebbero così fatica a raggiungere l'obiettivo Nazioni Unite di dimezzare la fame nel mondo entro il 2015.
Le questioni connesse all'agricoltura vanno ben oltre il problema immediato della fame. In un momento in cui in molte aree del pianeta ci si sta avvicinando ai limiti offerti dai terreni arabili e dalle disponibilità idriche presenti, aumentare la produttività agricola sarà ancora più essenziale che in passato.
L'agricoltura, come sappiamo, ha un enorme impatto sulla trasformazione dei sistemi naturali e sui loro cicli. Molte delle innovazioni descritte nel rapporto possono ridurre o annullare il danno che la produzione alimentare spesso arreca all'acqua e al suolo nonchè ai servizi che gli ecosistemi ci offrono gratuitamente e dai quali tutti dipendiamo.
L'economia alimentare mondiale è anche al centro di problemi ambientali globali. L'agricoltura odierna, altamente dipendente dai combustibili fossili, non solo contribuisce al riscaldamento globale - parte del carbonio presente ora nell'atmosfera una volta era incorporato nelle profondità dei terreni delle praterie dell'America del Nord e dell'Europa centrale - ma è esposta a gravi rischi derivanti dai cambiamenti climatici. E' estremamente interessante da questo punto di vista il progetto di ricerca sul cambiamento globale dedicato all'alimentazione, nell'ambito delle straordinarie iniziative dell'Earth System Science Partnership, il Global Environmental Change and Food Systems (www.gecafs.org).
Il presupposto su cui si basa il progetto Nourishing the Planet del Worldwatch, come ricordano gli autori del rapporto, è semplice: l'agricoltura è ormai giunta a un bivio. Dopo quasi mezzo secolo dalla Rivoluzione Verde, una quota considerevole della famiglia umana soffre ancora di fame cronica. Inoltre, gran parte dei risultati della rivoluzione sono stati ottenuti con un'agricoltura intensiva che dipende pesantemente dai combustibili fossili per input ed energia - e la domanda se i terreni agricoli del pianeta possano produrre più cibo è eclissata dalla questione se possano farlo senza compromettere i suoli, i cicli idrici e la diversità delle colture da cui dipendiamo. A livello globale, i prezzi per gli alimenti stanno subendo forti spinte al rialzo, sostenuti da una domanda in rapida crescita di carne in Asia, di grano in Africa, di biocombustibili in Europa e America del Nord e da altri fattori. In futuro, è poi probabile che il cambiamento climatico possa aggravare tali pressioni, rendendo più difficili le cose per gli agricoltori. L'obiettivo del progetto del Worldwatch è proprio quello di individuare comunità, paesi e imprese che possono diventare modelli per un futuro sostenibile ed attuare pratiche agricole che aggiungano diversità alla catena alimentare e salvaguardino gli ecosistemi. In questo modo, se le singole innovazioni possano essere utilizzate in modo da portare cibo sulla tavola non di un solo agricoltore ma di cento milioni o più e anche ai consumatori che da esse dipendono, ciò potrebbe cambiare l'intero sistema alimentare globale.
Come ricordano Nierenberg ed Halweil non esiste una soluzione unica a questo problema come avviene per tutti i problemi della sostenibilità globale. Anzi, gli approcci unidimensionali sono proprio quelli che hanno prodotto gli effetti peggiori. I tentativi attuati in passato hanno fallito perché hanno annullato la diversità o perché sono stati basati su sostanze chimiche antropogeniche tossiche e su altri input che gli agricoltori non potevano permettersi. Inoltre, hanno fallito poiché hanno ignorato quelle donne dedite all'agricoltura o non hanno considerato la cultura alimentare come modo per cambiare i modi in cui vengono coltivate le terre. E' ormai venuto il tempo di promuovere ovunque uno stile di attività agricolo basato sulla sostenibilità.
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