Crisi alimentare
I rifiuti animali e l’industria della carne, un problema (non solo) americano
LIVORNO. Dopo due anni e mezzo di studio sulla produzione zootecnica degli Usa, a Washington la Pew Commission on Industrial Farm Animal Production´s (finanziata da Pew Charitable Trusts e Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health) ha reso nota una relazione che chiede una revisione dei regolamenti per il trattamento dei rifiuti animali da parte delle grandi fattorie americane. La Commissione raccomanda anche la fine di pratiche agricole non sostenibili che hanno un forte impatto su sicurezza alimentare, salute pubblica, benessere animale e risorse ambientali in tutto il mondo.
La maggior parte dei rifiuti animali prodotti dalle factory farms viene dispersa nel terreno senza essere trattata e, secondo la Commissione, costituisce una minaccia per le sorgenti di acqua potabile, in quanto le sostanze nutrienti contenute nei rifiuti animali finiscono spesso nelle falde idriche e nei corsi d’acqua, riducendo il livello di ossigeno negli ecosistemi acquatici. «C’è una grande mancanza di regolamenti o mancanza di vigilanza in tutta la nazione – dice il presidente della commissione ed ex governatore del Kansas John Carlin - Questi rifiuti, con rare eccezioni, non vengono trattati». Secondo la relazione, una delle più gravi conseguenze è la minaccia per la salute pubblica, a partire dai lavoratori agricoli che operano vicino ad impianti che producono grandi quantità di rifiuti animali e che mostrano alti livelli di malattie respiratorie come l’asma.
La relazione non convince Philip Lobo, portavoce di Animal Agriculture Alliance, un gruppo di aziende che operano nel commercio della carne, che dice che quanto denunciato dal rapporto riguarda solo una minoranza di ranchers che non smaltiscono in maniera appropriate I rifiuti animali: «Noi non scusiamo questi cattivi comportamenti, sono assolutamente irresponsabili. E’ la cosa sbagliata da fare per sé stessi e per i loro vicini di casa».
Ma il problema è ben più ampio di quello dei buoni comportamenti individuali o associativi: il trend di aumento della produzione di carne negli Usa è continuo da decenni e si è andata sempre più concentrando in grandi fattorie industriali. Il risultato è stata quella di una crescita imponente del letame e di altri rifiuti animali, conferiti in discariche o impianti di “lagunaggio” che hanno prodotto una contaminazione diffusa, fatta anche di spargimento di antibiotici per curare gli animali chiusi nelle stalle.
La Commissione chiede di restituire naturalità a queste fabbriche della carne, restituendo agli animali un ambiente naturale e badando di più al loro benessere, ma questo si scontra con l’esigenza degli allevatori che non possono tornare ad uno stile rurale di allevamento se vogliono competere con le corporations food industry.
Ma la situazione americana è la punta di un iceberg sempre più grande, di politiche agricole e zootecniche che si stanno estendendo a tutto il mondo per star dietro al vertiginoso aumento di richiesta di carne, soprattutto da parte dei ceti emergenti dei Paesi in rapido sviluppo che vedono la carne nel loro piatto quotidiano come una conferma dell’avvenuto progresso sociale. Una storia che si ripete uguale in tutto il mondo, basterebbe dare una scorsa alla modifica dei consumi italiani negli anni del boom economico. Il salutismo e il vegetarianesimo e le diete dovranno attendere ancora molti anni in quei Paesi, se mai arriveranno prima che la crisi alimentare blocchi e riporti ai giusti termini l’insostenibile industria mondiale della carne.
La Pew Commission on Industrial Farm Animal Production´s, che è composta da 15 scienziati, politici e rappresentanti delle industrie, da anche altri 5 consigli: eliminare gradualmente i sistemi di confinamento degli animali, divieto di dare antibiotici agli animali senza diagnosi della malattia, attuazione di un programma di monitoraggio nazionale sul disagio animale negli allevamenti, consolidamento del rispetto delle leggi nazionali, aumento dei finanziamenti per la ricerca.
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