Orgoglio siciliano, a trent'anni dall'assassinio di Peppino Impastato
Italia - 09.5.2008
A Cinisi tre giorni di Forum sociale antimafia in nome di Peppino Impastato, nel trentennale della morte per mano mafiosa
"Sono tre giorni importanti quelli che stiamo vivendo a Cinisi, in questo Forum
sociale contro la mafia riproponiamo parole, azioni, lotte e pensieri che Peppino
perseguiva quarant'anni fa. Quello che
mio fratello andava dicendo negli anni Settanta, quello che gridava dai microfoni
della sua radio decenni
orsono è quanto di più attuale si possa dire oggi. E' sorprendente per quanto
è attuale". Giovanni Impastato, fratello
minore di Giuseppe, ucciso dalla Mafia siciliana trent'anni fa per le sue temerarie
denuncie lanciate da Radio Aut, ha un tono deciso e gentile. Lo raggiungiamo telefonicamente
a Cinisi dove si sta svolgendo il Forum sociale antimafia (9-11 maggio), organizzato
dalla Fondazione intitolata all'eroe siciliano per eccellenza, a colui che, figlio
e nipote di mafiosi, ha sentito dentro di sé il fuoco della ribellione ed è vissuto
e morto per il suo no alla Mafia.
"Il 9 maggio di trenta anni fa - spiega Giovanni - ce lo ammazzarono come un
cane, ma il suo pensiero vive ancora ed è più forte e più deciso che mai. In questi
tre decenni troppo poco è cambiato in questa regione, in questo stato. Sì, fra
i siciliani si è mosso qualcosa a livello di costume, di coscienza, di conoscenza,
di consapevolezza e, d'accordo, ci sono stati cambiamenti anche a livello di Giustizia:
l'istituzione del reato di associazione mafiosa, i tanti processi finiti con l'ergastolo,
il tramonto, dunque, di quell'assoluzione per insufficienza di prove che prima
era la garanzia di impunità per tutti i boss... passi avanti innegabili, certo,
ma è
ancora troppo poco!". Secondo Impastato si tratta di passi troppo piccoli per
cambiare
le cose, per questo la fondazione e tutta la gente che le gravita attorno
continua a denunciare, organizzare, raccontare. "Abbiamo ideato i percorsi
sulla legalità nelle scuole, in modo da costruire dal basso una cultura antimafiosa.
Abbiamo lavorato molto nel sociale, ottenendo risultati ottimi. Ma è ancora roba
piccola, perché non mi tiro indietro nel dire che la nostra classe politica era
e resta collusa con la Mafia. Per cambiare davvero le cose c'è bisogno di una
mobilitazione
differente. Il movimento antimafia deve diventare capillare, penetrare nei meandri
della società e rinnovarla dall'interno. Ma ora come ora questo processo stenta".
Giovanni Impastato prende l'esempio del movimento dei Senza casa di Palermo,
gruppo
forte e determinato, in cui la fondazione è molto radicata, in cui è penetrata
per aiutare questa gente a restare fuori da gangli mafiosi e anzi approfittare
delle leggi anti-mafia per ottenere quanto spetta loro. In base alla legge 109
sui beni confiscati ai mafiosi, infatti, una volta diventata definitiva la confisca,
gli immobili dovrebbero passare a quei siciliani bisognosi. "Ma questo avviene
troppo di rado ancora! Purtroppo questa legge viene soffocata dai tentacoli della
burocrazia, tanto che per una confisca definitiva ci vogliono anche 15 anni. E'
assurdo e ingiusto - incalza il fratello di Peppino - ma questa è la Sicilia del
2008, questa l'Italia". Eppure
secondo il movimento antimafia di Cinisi e anche secondo l'associazione che fa
capo a Don Ciotti, Libera, è solo muovendo un'economia sana, equo-solidale, che
si combatte il marciume mafioso. E lavorare e produrre nei terreni dei boss è
un ottimo primo passo.
"Molte cose devono ancora cambiare e da questo appuntamento di Cinisi in occasione
del trentennale noi cominceremo
con la vera svolta - incalza - Basta con la lotta alla Mafia. Da troppi anni in
troppi si sciacquano la bocca con il concetto di lotta ai mafiosi. Mi sto stancando,
ci stiamo stancando. Da oggi il nostro obiettivo è ben diverso: superare la lotta
per arrivare a sconfiggerla questa Mafia. Sconfiggiamola, punto e basta". Impastato
è convinto che sia arrivato il momento di iniziare un progetto rivoluzionario
antimafia,
che parta dal basso, dalle esigenze e dai bisogni urgenti della gente comune,
la gente semplice. "Coltivare la memoria è importante, denunciare lo è altrettando,
ma non basta più. Occorre mettere su un progetto sociale, civile, economico serio,
pulito, costruttivo, sano e vincente da opporre a quello mafioso, altrimenti non
vinciamo.
Dobbiamo agire sul medesimo piano dei mafiosi, che sguazzano nella privatizzazione
neoliberista, nella globalizzazione. Rendiamoci conto che il volume d'affari della
Mafia è salito a cento miliardi di euro all'anno. E' dunque un problema globale,
che sconfina le coste siciliane e i confini italiani. Per annientarla occorre
creare reti di solidarietà, di economia onesta, di gente che sceglie la
legalità e la giustizia, creando alla Mafia terra bruciata intorno. Questa è la
nostra idea e in questo lungo fine settimana siciliano lo comunicheremo al mondo,
con orgoglio".
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