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[Data: 10/05/2011] [Categorie: Alimentazione ] [Fonte: Altreconomia] |
[Autore: Luca Martinelli] |
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La disputa della fonte Sull’Appennino parmense dai rubinetti esce minerale, la stessa che Norda vuole imbottigliare e vendere, sottraendola ai cittadini. Che non ci stanno Zia Ida apre il rubinetto e mi versa un bicchiere di acqua minerale. Sembra fredda di frigorifero, ma sono sicuro di non aver visto nessuna bottiglia. Una spiegazione c’è: l’acqua che ha attraversato i 900 metri di tubature che separano la casa della signora Bricca, a Tarsogno, sull’appennino parmense, sgorga da una sorgente naturale, che alimenta dal 1915 l’acquedotto di famiglia. È la stessa acqua che, a qualche centinaio di metri dall’abitazione, Norda spa imbottiglia in vetro con i marchi Ducale, Reale (private label per Alisea, un’azienda specializzata nella ristorazione ospedaliera) e in boccioni da 5 e 18,9 litri con il marchio Imperiale (per Aquapoint, una società controllata al 50% dalla stessa Norda). Ida Bricca, che ha 89 anni, non è l’unica ad ricevere l’acqua minerale in casa: a Tarsogno, meno di 500 abitanti, una frazione del Comune di Tornolo al confine tra Emilia e Liguria, oltre 800 metri sul livello del mare, esistono altri 3 o 4 acquedotti privati, e poi c’è il Consorzio acquedottistico rurale “Senato-Villa-Moglie”, che serve una trentina di famiglie. Negli ultimi anni, per la prima volta, a tutti è capitato di restare a secco. Senz’acqua in casa. Renato Zappettini, nipote della signora Ida, mi accompagna a visitare il “campo delle sorgenti”. Le sorgenti da cui partono i tubi degli acquedotti privati e di quello consortile sono tutti vicini, in località Pozzato. È un grande prato che in estate viene coltivato ma a metà febbraio è ancora coperto di neve. Qualche centinaio di metri più su ci sono due pozzi che la provincia di Parma ha dato in concessione a Norda spa, la società della famiglia Pessina che ha chiuso il 2009 con 67 milioni di euro di fatturato e circa 600 milioni di litri d’acqua imbottigliati. I pozzi sono entrati in funzione nel 2008, un’estate da incubo per le famiglie di Tarsogno. “Appennino, la guerra dell’acqua” titolò Repubblica Parma, dopo aver mandato un’inviata fin quassù, a 80 chilometri dal capoluogo provinciale. Zappettini, che quassù e nato per poi emigrare in pianura, è più pragmatico: “Nessuna guerra. L’acqua è ovunque, e ce n’è in abbondanza. Se l’amministrazione provinciale, prima di rilasciare le concessioni, avesse inviato i suoi tecnici a Tarsogno, si sarebbe resa conto che a valle c’erano gli acquedotti ‘privati’. Ma i tecnici della Provincia devono aver guardato solo le carte”. È preoccupato, spiega che in paese sul suo conto girano voci strane sul suo conto: “Si è creato allarmismo, si dice ai dipendenti della Norda che io cerco di far chiudere la fabbrica. Ma le nostre 37 famiglie non vogliono arrivare ad una conclusione di questo tipo. La presenza della società è un bene per la comunità, ma lo sviluppo commerciale non può gravare sull’accesso all’acqua delle famiglie”. Chi è rimasto senz’acqua ha pagato di tasca propria uno studio geoidrologico. Il risultato è che esiste un “nesso causale tra l’emungimento della società Norda ed il ricorrente inaridimento delle sorgenti in localizata ‘Pozzato’, dislocati a valle dei medesimi”. Presentato nel maggio del 2009, a fine giugno dello stesso anno è stato inoltrato alle autorità competenti, l’assessorato all’Ambiente difesa del suolo e della costa della Regione Emilia Romagna e al Servizio tecnico Bacini affluenti Po. Lo stesso messaggio è stato reiterato il 4 dicembre 2009, il 5 febbraio 2010, il 15 aprile 2010 e un’ultima volta il 28 settembre 2010. “Non abbiamo ottenuto alcuna risposta. Ho smesso di sperarci” spiega Zappettini, che attende ancora l’intervento del Corpo forestale dello Stato, cui ha indirizzato un esposto nel gennaio del 2006, oltre cinque anni fa. “Il vice-comandante provinciale, quando mi vede allarga le braccia. Dice che è sotto organico, che non ha modo di affrontare la situazione”. Se salisse a Tarsogno, potrebbe vedere con i suoi occhi il Rio Lubianella in secca. È un affluente del torrente Lubiana, che a sua volta finisce nel fiume Taro, la cui corsa finisce nel Po La richiesta dei cittadini è la tutela del proprio diritto all’acqua. Di ripristinare quello che appare un ordine logico. Prima l’acqua per i cittadini, poi (e se avanza) quella per le bottiglie. “Anche perché -spiega Zappettini-, la fonte principale per Norda è un’altra, e si trova ai piedi del macigno dello Zuccone”, la montagna che domina il paese. Solo in questo Comune l’azienda ha ben 3 concessioni, che le permettono di imbottigliare oltre 20 litri d’acqua al secondo. In cambio di un contributo di meno di 4mila euro, visto che in Emilia Romagna, almeno fino all’approvazione del progetto di legge che modifica la legge regionale che disciplina le acque minerali, la 32 del 1988 (vedi box), si paga solo per la concessione. L’acqua di Tarsogno scende a valle lungo la val di Taro insieme a quella che Norda spa imbottiglia a Masanti, 25 chilometri e qualche valle più in là. “27 litri al secondo” spiega Pier Luigi Mori, di Legambiente, animatore del comitato “Difesa monte Pelpi”. A Masanti, frazione del Comune di Bedonia (Pr), Norda è subentrata nella gestione a Lynx. “Abbiamo raccolto 423 firme contro una nuova concessione sul monte Pelpi. Tutto è fermo dal 2004. Vogliamo poter discutere di problemi legati al trasporto, all’inquinamento, alla sicurezza. Non vorremmo trovarci a vivere la stessa situazione dei cittadini di Tarsogno” conclude Mori. Norda spa avrebbe infatti presentato richiesta per un nuovo permesso di ricerca, denominato “Vetta”. Una richiesta “inopportuna” e “intempestiva”, secondo il Comitato. “Vorremmo almeno vedere un Piano industriale -spiega Mori-. Lo chiediamo da 6 anni”. Senza successo. Le risposte, in questa storia, tardano ad arrivare.
Dopo l’approvazione della legge, chi imbottiglia sarà tenuto a versare “un canone annuo per ogni metro cubo o frazione di metro cubo di acqua minerale o di sorgente imbottigliata”, come accade in molte altre Regioni. In particolare, il progetto di legge modifica l’articolo 16 della l.r. 32/88, stabilendo un importo “pari a 3,00 euro per l’acqua imbottigliata in contenitori di plastica, a un euro per l’acqua imbottigliata in contenitori di vetro a perdere e a 0,50 Euro per l’acqua imbottigliata in contenitori di vetro a rendere”.
Quello di Melfi (Pz), è il quinto stabilimento del gruppo, che oltre ai due dell’Appennino parmense, ne ha uno a Valli del Pasubio (Vi), dove imbottiglia i marchi Dolomiti e Norda Nuova Acquachiara, e uno a Primaluna (Lc). Come gli stabilimenti emiliani anche quest’ultimo, inaugurato nel 1969, è al centro di una querelle legata alla costruzione di un acquedotto che attraverserebbe la val Biandino, per collegare la concessione “Lago di Sasso” allo stabilimento del gruppo. La Provincia di Lecco ha ricevuto tre documenti di osservazioni da parte di cittadini contrari al progetto |
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