Genova2001: Bolzaneto, tutelata la catena di comando
il manifesto del 16 Luglio 2008
Il tribunale di Genova ha riconosciuto che le vittime hanno raccontato la verità, a Bolzaneto vi sono state le violenze che abbiamo ascoltato in questi mesi nelle aule del tribunale ligure. La stessa verità che da quel maledetto luglio il Genoa social forum (Gsf) e tutto il movimento hanno continuato a ripetere. Decidendo che le vittime hanno diritto a un risarcimento, che sarà poi definito in sede civile, i giudici hanno riconosciuto come verità giudiziaria quanto fino a ora era una verità affermata da chi quelle violenze le aveva subite. Nessuno d'ora in avanti potrà più mettere in dubbio quello che è accaduto dentro quella caserma trasformata in un girone infernale. L'obbligo rivolto ai ministeri dell'Interno e della Giustizia di partecipare direttamente ai risarcimenti acquista un preciso significato politico: vi sono anche responsabilità politiche per quello che in quei giorni è accaduto a Bolzaneto e queste responsabilità vanno ricercate nei ministeri diretti allora da Scajola e Castelli. E infatti l'Avvocatura dello stato, proprio per evitare di ritrovarsi in questa imbarazzante situazione dai forti significati politici, aveva dichiarato, durante il dibattimento, di non voler assumersi alcuna responsabilità nei risarcimenti. Per questo appaiono ingiustificate le dichiarazioni con le quali Castelli cerca di far emergere dalla sentenza del tribunale un'assoluta estraneità e una piena assoluzione per i vertici politici di allora. Ma proprio il fatto che la Corte non abbia messo in discussione le testimonianze delle vittime rende ancora più inaccettabile la sentenza; appaiono evidenti le compatibilità dentro le quali si è mossa la Corte e il loro preciso significato politico. I fatti sono veri, le violenze vi sono state, ma nella maggioranza dei casi non sappiamo chi le ha commesse e comunque sono episodi che non prevedono delle aggravanti a carico di chi è stato giudicato colpevole. Questa in estrema sintesi è stata la posizione del collegio giudicante; quindi per i giudici il taglio di capelli di Taline Ender e Saida Teresa Magana, lo strappo della mano divaricata a forza di Giuseppe Azzolina, il cappellino con falce e un pene al posto del martello fatto indossare a Thorsten Meyer Hinnric, la testa nella tazza del cesso, le minacce di morte, di sodomia e di stupro non sono reati gravi, non sono comportamenti in contrasto con le convenzione internazionale sui diritti umani, non sono violenze per le quali deve essere contestato il reato di abuso d'ufficio doloso, indicato dai pubblici ministeri in sostituzione del reato di tortura non ancora previsto dal nostro ordinamento giudiziario. Solo a Antonio Biagio Gugliotta, ispettore della polizia penitenziaria, infatti, i giudici hanno confermato l'impostazione accusatoria, confermando il reato di abuso d'ufficio. In nessun altro paese dell'Europa occidentale potrebbero essere accettate simili affermazioni. Quando nella commissione Diritti umani del Parlamento europeo discutiamo ad esempio della Turchia comportamenti simili a quelli verificatisi a Bolzaneto e nelle giornate genovesi vengono considerati in contrasto con l'acquis comunitario (l'insieme dei diritti e degli obblighi dei paesi Ue) e vanno a aggiungersi ai molti ostacoli che fino ad ora hanno reso impossibile dare il via libera all'entrata della Turchia nell'Ue. Risibile appare l'entità delle condanne attribuite, solo per fare alcuni esempi, a Perugini e al dott. Toccafondi, se paragonate con la quantità delle precise e documentate testimonianze a loro carico. Per non parlare dell'assoluzione dell'allora colonnello della polizia penitenziaria, oggi generale, Oronzo Doria, non a caso il più in alto in grado tra gli ufficiali presenti a Bolzaneto. Sono stati condannati, e con il minimo della pena, solo coloro per i quali non vi era alcuna possibilità di negare le responsabilità dirette in atti di assoluta illegalità L'omertà diffusa a tutti i livelli tra le varie forze dell'ordine coinvolte a Bolzaneto, omertà più volte denunciata dai pubblici ministeri, anziché essere indicata dai giudici come colpa grave da addebitare anche ai piani alti dei responsabili dell'ordine pubblico è stata utilizzata per attribuire trenta assoluzioni. I giudici, con il già citato coinvolgimento di due ministeri nell'obbligo del risarcimento, hanno lasciato aperto, ma senza entrare nel merito, il dibattito su eventuali responsabilità politiche, ma hanno tutelato in ogni modo tutta la catena di comando delle forze dell'ordine. E è questo l'aspetto più grave di quanto accaduto lunedì a Genova e fortemente sottovalutato dagli organi d'informazione. Come avviene da decenni in Italia ogni volta che sotto processo finiscono degli uomini in divisa scattano, dentro e fuori dalle aule del tribunale, meccanismi ormai ben collaudati tesi a negare ogni responsabilità e a evitare ogni permanenza in carcere, dei poliziotti, dei carabinieri e degli agenti dei servizi segreti. Potremmo riempire una pagina per ricordare tali episodi: da piazza Fontana alla morte di Roberto Franceschi, dall'assassinio di Luca Rossi a quello di Carlo Giuliani e di Federico Aldrovandi, solo per citarne alcuni. E quando qualcuno tra i tutori dell'ordine finisce in carcere il più delle volte è per aver perso il confronto interno con una cordata più forte. Ma questa volta la partita è ancora più grande; la sentenza di ieri guarda ostinatamente al processo della Diaz che arriverà a conclusione tra qualche mese: lì la catena di comando della polizia è direttamente coinvolta fino al massimo grado. Fino agli intoccabili. Coloro che nel luglio del 2001 avevano la responsabilità massima dell'ordine pubblico a Genova e che poi in questi anni, con la compiacenza di tutti i governi che si sono succeduti, hanno dispiegato una ragnatela che non lascia fuori nessun settore delle nostre forze dell'ordine e dei nostri servizi. Questa è la linea invalicabile di fronte alla quale si è fermata la sentenza su Bolzaneto; una sentenza che colpisce pesantemente anche tutti coloro, e ce ne sono tanti, che nella magistratura o tra le forze dell'ordine cercano di far rispettare i valori della nostra Costituzione. Questa è la linea di fronte alla quale il mondo politico, quasi nella sua totalità, si arresta impaurito o deferente come si è potuto vedere per l'ennesima volta in occasione della mancata istituzione della commissione d'inchiesta. Questo è un aspetto non secondario della questione democratica in Italia, che in troppi si ostinano a non voler vedere.
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