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[Data: 23/06/2011] [Categorie: Alimentazione ] [Fonte: Valore alimentare] |
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Cosa sono veramente gli OGM? CLo diceva il Lessona, grande traduttore di Darwin, quando raccontava l’aneddoto che qui parafraso: “c’è stato un tempo in cui in Italia si discuteva su quale poeta fosse il migliore fra l’Ariosto e il Tasso e le dispute a volte finivano in duelli. In uno di questi, il difensore del Tasso fu colpito a morte e prima di morire si lamentò: “Muoio, e pensare che non ho mai letto né l’Ariosto né il Tasso!”. Qualcosa di simile avviene in Italia nelle dispute sugli OGM: tutti litigano ma pochissimi sanno cosa veramente sono le piante geneticamente modificate (le “PGM”), quante sono, se derivano da una tecnologia innovativa o no, chi le produce, chi ci guadagna, quali effetti hanno su salute, ambiente, agricoltura, occupazione, economia. Tutto comincia nel 1981, quando una ricercatrice americana inventa un metodo per inserire nel corredo genetico delle piante pezzi di DNA che appartengono a specie diverse (anche non vegetali) da quella da modificare. Dieci anni prima si erano inventate tecniche per trasformare i batteri, organismi molto più semplici delle piante, con l’obiettivo di inserirvi geni per far loro produrre sostanze utili. Così è stato per l’insulina, proteina prodotta nel pancreas e necessaria per curare il diabete, il cui gene è stato introdotto in un batterio. L’idea di base era, allora, che il DNA, una catena di miliardi di piccole molecole (che si indicano generalmente con le lettere A, T, G, C), contenesse “messaggi scritti” con quelle lettere, prima trascritti in modo fedele in un’altra molecola, lo RNA (costituita da sostanze leggermente diverse (indicate con le lettere A, U, G, C), poi tradotti ancora fedelmente in un altro linguaggio, quello delle proteine, gli strumenti con cui ci “autocostruiamo”. Si “estrasse” quindi il frammento di DNA che negli esseri umani “contiene” il messaggio che serve a costruire l’insulina e si inserì in un batterio. L’esperimento riuscì, e l’insulina “geneticamente modificata” è utilizzata dal 1985 senza problemi al posto di quella suina che invece provoca allergie. Dopo il 1980 si cominciò a lavorare sulle piante e sugli animali, ma le cose non sono andate altrettanto bene. Il primo topo modificato con il gene per l’ormone della crescita di ratto o umano era molto più grande della madre, ma era sterile e morì presto. Esperimenti sui maiali riuscirono anche peggio e tuttora non esistono in commercio animali geneticamente modificati, perché essi non resistono alle modificazioni del loro corredo genetico. Nel caso delle piante, nel 1994 fu immesso sul mercato un pomodoro che non marciva, prodotto dall’americana Calgene. Fu un fallimento perché il pomodoro era cattivo, attaccato da parassiti e produceva poco. Nel 1996 furono lanciati mais, soia, colza e cotone resistenti ognuno a un tipo di insetto e a un diserbante. Incredibilmente nessuna altra PGM da allora ha occupato spazi di mercato consistenti, ma si è verificata una serie di fallimenti, nonostante i continui annunci di mirabolanti novità. L’ultimo prodotto, un mais che resiste non a uno ma a più insetti e diserbanti, ha causato una perdita del 47% del titolo dell’impresa produttrice Monsanto, perché non funziona bene in campo. I fallimenti derivano dall’impossibilità di sapere, quando si inserisce un gene in una pianta, quante copie del gene si inseriscono, se possono inattivare un gene utile alla pianta, se questa li modifica, come interagirà il gene con la rete genetica esistente, ecc. Succede così che molto spesso le piante modificate stanno male e risultano improduttive per interazioni negative fra il gene e l’organismo ricevente. La tecnologia è ancora quella usata all’inizio ed è evidentemente imperfetta. Nonostante questo, le imprese hanno diminuito l’intensità di ricerca e sembrano però prosperare. Il motivo di questa situazione risiede nella struttura assurda dell’economia mondiale. |
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