c Uragani e clima: come lottare contro il “dio del male” - 31/08/2011 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 31/08/2011]
[Categorie: Ecologia ]
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Uragani e clima: come lottare contro il “dio del male”
Un esperto climatologo analizza l’intensità dell’uragano Irene e spiega come, alla base di tale forza, possa esserci il costante riscaldamento dell’Oceano.

Negli ultimi giorni la devastante forza dell’uragano Irene ha occupato le prime pagine di tutti i quotidiani, anche se pochi riescono a dare una spiegazione a fenomeni naturali tanto pericolosi quanto incontrollabili. Non a caso il nome “huracan”, di origine caraibica, designa il tradizionale "dio del male": titolo degno di uragani atlantici in grado di spazzare via interi villaggi.

 
E se il verificarsi di tali fenomeni è piuttosto comune nel bacino che si divide tra Oceano Atlantico, Mar dei Caraibi e Golfo del Messico, è da sottolineare come, negli ultimi 40 anni, solo una mezza dozzina di uragani si siano spinti fino a New York. Il più recente, di classe 1, è del 2008, Hanna, mentre quelli più forti sono stati Floyd, nel 1999, che provocò 30 morti e 3 milioni di persone evacuate dalla costa orientale,  e Gloria, nel 1985, che lasciò dietro di sé 16 morti e 47 milioni di dollari di danni. Entrambi furono classificati nella categoria 5, la massima della scala di Saffir-Simpson che misura l'intensità dei venti al suolo.
 
Ora, a terrorizzare i cieli della costa orientale degli Stati Uniti, c’è Irene, uragano definito «particolarmente anomalo» da Giampiero Maracchi, ordinario di climatologia all'Università di Firenze: «gli uragani difficilmente arrivano così a nord – spiega l’esperto - via via che si sale di latitudine, infatti, aumenta l'accelerazione di Coriolis che è dovuta alla rotazione terrestre e man mano che aumenta, gli uragani, che sono fenomeni di tipo circolare, tendono a perdere potenza e a dissolversi. Il fatto che Irene, che è stata appena declassato al primo livello, non si sia ancora estinto così a nord, testimonia l'enorme quantità di energia alla sua origine».
 
E mentre scienziati di tutto il mondo tentano di dare un nome alle cause di questo disastro, il numero delle vittime accertate sale a 18, nonostante Irene sia ormai retrocessa a “tempesta tropicale” e gli aeroporti di New York si apprestino a riaprire. Risale infatti a poche ore fa la decisione di declassare l’uragano americano dalla categoria 3, “forte” alla categoria 1, “minimo”, nonostante i venti sia ancora piuttosto forti, con una capacità di arrivare a 119 a 153 chilometri orari, creando onde fino a un metro e mezzo di altezza. È lo stesso Maracchi a sottolineare la questione “acqua”: «il problema sono anche i fortissimi rovesci d'acqua che accompagnano l'uragano, che possono provocare gravi danni. Anche le onde marine spinte dal vento (parlare di Tsunami – ricorda l’esperto - è una licenza giornalistica visto che vengono provocati dai terremoti), possono avere un grave impatto, come abbiamo visto con l'uragano Katrina, soprattutto per le città moderne a ridosso del mare, con un tessuto urbano complesso che si rivela sempre più fragile davanti a eventi come questi».
 
Molte sono le teorie che accompagnano questi eventi catastrofici, il climatologo Giampiero Maracchi non nasconde, però, che proprio il cambiamento climatico possa nascondersi dietro l’intensificarsi di questi fenomeni: «Irene è un segnale del forte riscaldamento dell'oceano di questi ultimi anni. L'indice di dissipazione di energia sta crescendo in modo drammatico e oggi é quattro volte di più rispetto all'inizio degli anni Novanta. È evidente che qualcosa sta cambiando. Lo testimoniano, se si vuole una prova oggettiva, anche i risarcimenti pagati dalle assicurazioni per questo tipo di danni, cresciuti 6-7 volte dagli anni Novanta».

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