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[Data: 07/09/2011] [Categorie: Ecologia ] [Fonte: Corriere.it] |
[Autore: Marta Serafini] |
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Centrali a biomasse con alberi del Sud del mondo per le «nostre» rinnovabili Multinazionali hanno acquisito terreni nel Terzo mondo per piantare alberi da trasportare in patria MILANO - Alberi che arrivano via nave in impianti realizzati sulle coste per ricavare energia dalla biomassa forestale. Sta capitando in Gran Bretagna dove, in accordo con la direttiva europea che prevede entro il 2020 di aumentare la percentuale di rinnovabili, e dunque anche la biomassa, e in un bilancio dell'Unione europea che vede il suo contributo attuale a quota 5 per cento, sono stati approvati una serie di progetti. Obiettivo, la costruzione di «centrali» da biomassa agroforestale, con un aumento del fabbisogno di legname previsto al 600 per cento.
AFRICA E SUD DEL MONDO - Conifere, ma anche bambù, truciolati e residui industriali. Tutto può servire a riscaldare le case e produrre elettricità. Un paper dello Iied, International for Environment and Development, istituto di ricerca indipendente britannico, analizza le implicazioni di questo progetto. E un ricercatore italiano, Lorenzo Cotula, a capo del Land Rights Team del centro, spiega: «È inevitabile chiedersi come saranno assicurati gli approvvigionamenti. Finora l'attenzione si è concentrata su fornitori “tradizionali”, quali il Canada, gli Stati Uniti o la Russia. Ma è da vedere se questi Paesi riusciranno a stare al passo con la crescente domanda internazionale. Infatti alcuni operatori del settore hanno cominciato ad acquisire terreni in Africa, America Latina e Asia per creare piantagioni di alberi». A partire dalla premessa che le biomasse rappresentano potenzialmente il 77 per cento delle energie rinnovabili, i vantaggi nel medio termine sono immediati: riduzioni delle emissioni di CO2, minor impatto ambientale. Nel lungo periodo, invece, è prevista la diminuzione delle tariffe, una volta ammortizzati gli investimenti negli impianti. Francia, Germania e Usa stanno già utilizzando questo sistema, soprattutto a livello domestico. Data la situazione, come si legge nel paper dello Iied, ci si aspetta un aumento della domanda internazionale del legno. Il tutto mentre le multinazionali di ogni bandiera hanno fatto acquisizioni nel sud del mondo. Qualche esempio? Le company americane si sono assicurate migliaia di ettari in Guyana, Congo, Ghana, India. L’Europa ha investito in Mozambico, la Corea del sud in Cambogia e in Indonesia.
IMPLICAZIONI PER LE POPOLAZIONI LOCALI - Una realtà che è produttiva in termini energetici, di accesso all’energia e di posti di lavoro, certo. Ed è facile dire che la strategia «acquisto di terreni all’estero per piantare alberi da trasportare in patria» potrebbe essere un buon esempio per tutta l’Europa. Ma è altrettanto facile girare la medaglia e guardare il suo lato meno splendente. «Se il progetto va avanti, molte domande poste finora su acquisizioni di terreni per biocarburanti e agroalimentare si porrebbero anche in questo settore - in particolare riguardo agli impatti sulle popolazioni locali», spiega Cotula. Che tradotto significa: «Il crescente interesse esterno in terreni africani per progetti agroalimentari o bioenergetici crea rischi importanti per le popolazioni locali». In molti Paesi africani la terra appartiene allo Stato, con i governi che negoziano i contratti di affitto a lungo termine con gli investitori. «Le popolazioni possono aver occupato le terre per generazioni, ma formalmente hanno spesso solo deboli diritti di uso, vengono poco consultate e dispongono di fragili meccanismi di ricorso. Dove i diritti locali sono più forti, invece, ci sono problemi di attuazione, spesso legati a mancanza di know-how e rapporti di forza». Per gli esperti è necessario dunque, a livello preliminare, un «dibattito aperto sugli impatti sociali che le politiche energetiche dei Paesi del Nord del mondo possono avere sui Paesi in via di sviluppo». E non solo sui carburanti, come è capitato per la vicenda del delta del Niger o per la questione delle dighe in Sudamerica. Importante, poi, è imparare dall’esperienza passata. Perché, come sottolinea Cotula, «nel settore dei biocarburanti e dell'agroalimentare, ci sono operatori attivi in Africa che lavorano con i contadini locali, e molto si può imparare da queste esperienze».
AUTOSUFFICIENZA PER L’ITALIA? – Da noi l’argomento biomasse è meno noto, soprattutto a livello industriale. Ma secondo l'Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano che ha da poco presentato la seconda edizione del Biomass Energy Report, le biomasse agroforestali hanno contribuito nel corso dell'ultimo anno alla produzione di energia primaria per 5,6 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio), pari a 65,1 TWh di produzione termica o 25,4 TWh di produzione elettrica, circa il 2,9 per cento del fabbisogno totale del nostro Paese, in crescita del 7% rispetto all'anno 2009. All'inizio del 2011 in Italia esistevano inoltre più di 500 impianti a biogas con una potenza complessiva superiore ai 550 MWe e una produzione annua complessiva di 2.891 TWh. Si tratta di dati che ci mettono al terzo posto in Europa dopo la Germania (12 TWh) e il Regno Unito (con oltre 7 TWh, che però costituiscono il 31 per cento del totale di produzione di elettricità da fonti rinnovabili). E si può parlare di un buon risultato, che va però guardato in un’ottica a lungo termine e tutta nostrana, senza pensare di seguire l’esempio di Gran Bretagna e altre potenze mondiali che cercano concessioni all’estero per piantare alberi. Secondo Matteo Monni, vice presidente di Itabia, Italian Biomass Association, «le foreste non ci mancano, sebbene siano spesso trascurate e mal gestite. Ma è necessaria una premessa: in questo momento soffriamo a causa di una normativa molto complessa, con difficoltà perfino nel trovare una definizione condivisa di biomassa». Altro tasto dolente è poi, come spesso accade, quello degli incentivi («troppo pochi»). Non mancano, infine, problemi a livello organizzativo: «Andrebbero coinvolti gli agricoltori per recuperare i residui delle potature perché ogni anno sono 15-20 milioni le tonnellate di residui legnosi ed erbacei che si potrebbero utilizzare». |
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